Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12193 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12193 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avv. NOME COGNOME del foro di Rovigo
-ricorrente-
Contro
COOPERATIVA RAGIONE_SOCIALE COGNOME , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME pec: EMAIL -controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 3437/2020 depositata il 30.12.2020, notificata l’11. 1.2021.
Oggetto: cooperativa socio
Società esclusione
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-NOME COGNOME conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE proponendo opposizione alla delibera assembleare del 10 aprile 2012 con cui era stato escluso dalla cooperativa ai sensi dell’art. 11 dello Statuto della stessa, ossia per conflittualità con i rimanenti soci ed inadempimenti contrattuali.
Assunte le testimonianze indicate dalle parti, con sentenza n. 270/2019 il Tribunale di Rovigo riteneva che l’esclusione del socio fosse legittima, poiché deliberata all’unanimità dall’assemblea e, sempre in data 10 aprile 2012, anche dal consiglio di amministrazione della cooperativa.
2.─ COGNOME COGNOME proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Venezia.
3 .─ La Corte adita con la sentenza qui impugnata, ha respinto l’appello .
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
a) il primo motivo, per come formulato, è inammissibile poiché non si confronta con la motivazione dell’impugnata sentenza, secondo cui, poiché il potere degli amministratori deriva dall’assemblea, questa può validamente deliberare l’esclusione del socio in luogo dell’organo amministr ativo anche se lo statuto nulla disponga in proposito.
In altre parole, l’art. 2533, co mma 2, c.c. deve essere letto nel senso che lo statuto può rimuovere il potere in capo agli amministratori, assegnandolo in via esclusiva all’assemblea, e non anche nel senso che, in assenza di tale previsione statutaria, l’assemblea non possa deliberare l’escl usione del socio in via concorre nte con l’organo amministrativo;
b) i n ogni caso, alla delibera dell’assemblea è seguita la delibera del consiglio di amministrazione. Se la prima fosse nulla, poiché il potere di esclusione competeva esclusivamente all’organo amministrativo, la seconda costituirebbe comunque un valido esercizio del relativo potere;
c) nessuna disposizione dello statuto richiede che la deliberazione assunta dal consiglio sia firmata da tutti e tre gli amministratori. Deve pertanto escludersi l’invalidità della delibera firmata dal presidente e dal segretario, ma non anche dal terzo consigliere;
d) il testimone NOME COGNOME, commercialista della società, ha precisato che la convocazione dell’assemblea fu compiuta dal consiglio di amministrazione. All’assemblea, peraltro, parteciparono tutti i sette soci, compreso COGNOME, e quindi l’adunanza era vali damente costituita ai sensi del 2° co. dell’art. 26 dello statuto, secondo il quale ‘in mancanza dell’adempimento delle suddette formalità , l’assemblea si reputa validamente costituita quando ad essa partecipano tutti i soci con diritto di voto e nessuno si oppone alla trattazione degli argomenti’ (nel caso di specie, nessuno, neppure l’attore, si oppose al la trattazione degli argomenti);
e) l ‘esclusione di COGNOME dalla cooperativa è stata legittima, poiché il predetto tenne comportamenti incompatibili con la prosecuzione del rapporto sociale e lavorativo. L’attore si rese , inoltre, inadempiente agli obblighi che derivavano dal rapporto di lavoro, assentandosi ingiustificatamente ed ha rifiutato di consegnare alla cooperativa il certificato penale. Ed ulteriore conferma dell’incompatibilità tra COGNOME e gli altri soci, dovuta alla litigiosità del primo, si desume dalle cause che egli ha promosso nei confronti della cooperativa, definite con sentenze a lui sfavorevoli (causa risarcitoria per mobbing e risarcimento danni decisa dalla sezione lavoro di questa Corte con sent. n. 211/2020, dopo che le domande erano già state rigettate dal Tribunale di Rovigo; ed ulteriore causa decisa con
sent. n. 15/2014 del Tribunale di Rovigo, divenuta definitiva, promossa sempre da COGNOME per rivendicazioni retributive);
il licenziamento, conseguenza automatica della perdita della qualità di socio (cfr. Cass. civ. 13 maggio 2016, n. 9916; Cass. civ. 12 febbraio 2015 n. 2802 e Cass. civ., sez. un., 20 novembre 2017, n. 27436), è stato disposto con la medesima delibera del consiglio di amministrazione che lo escludeva dalla cooperativa;
neppure è accoglibile il quarto motivo di impugnazione, con cui NOME COGNOME si lamenta che non sia stato espletato il suo interrogatorio formale.
La convenuta ha rinunciato al mezzo di prova e la rinunzia non richiede l’accettazione di controparte, atteso che l’interrogatorio formale tende ad ottenere la confessione dell’interrogato, il quale non potrebbe in alcun modo avvalersi delle risposte da lui stesso fornite per provare le proprie allegazioni difensive.
─ COGNOME Bruno ha presentato ricorso per cassazione con cinque motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
─ Con il primo motivo: Violazione dell’art. 132, n.4, c.p.c. in relazione all’art. 360, n.4, c.p.c. La motivazione è viziata dall’apparenza, in quanto elude il dato normativo con una motivazione che, seppur formalmente visibile, è da considerare ‘tamquam non esset’ dal punto di vista sostanziale.
5.1 ─ L a Corte ha rilevato l’inammissibilità della censura posta alla sentenza di I grado perché non coerente con la motivazione della sentenza che ha fondato il suo convincimento sulla circostanza che il potere degli amministratori deriva dall’assemblea, e quindi questa
può validamente deliberare l’esclusione del socio in luogo dell’organo amministrativo anche se lo statuto nulla dispone in proposito.
A tale motivazione la Corte ha ulteriormente precisato che: « l’art. 2533 2° comma C.c. deve essere letto nel senso che lo Statuto può rimuovere il potere in capo agli amministratori assegnandolo in via esclusiva all’assemblea, e non anche che in assenza di una previsione statutaria l’assemblea non possa deliberare i n via concorrente con l’organo amministrativo ».
La motivazione, così, non presenta il vizio previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. che sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., n. 3819/2020, Cass., n. 6758/2022). E non è nemmeno apparente perché è tale la motivazione, carente del giudizio di fatto e basata su una affermazione generale e astratta (Cass., n. 4166/2024). La censura è infondata.
6. -Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 2533 c.c., nonché degli artt. 32 e 33 dello Statuto della RAGIONE_SOCIALE in relazione all’ art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c. La riforma del diritto societario d.lgs. n. 6/2003 costituisce un evento di rilievo giuridico che ha ridefinito e puntualizzato compiti e poteri degli organi della compagine societaria della cooperativa. In particolar modo, ha previsto in senso rigoroso e inderogabile la ripartizione dei compiti e dei poteri dell’assemblea dei soci e dell’organo amministrativo (CDA o AU). L’art. 2533 c.c. statuisce che l’esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se l’atto costitutivo lo prevede, dall’assemblea. Lo Statuto della cooperativa agli artt. 32 e 33 non deroga, in alcun modo, al dettato normativo.
7. -Con il terzo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 2381 c.c. e dell’art. 34 dello Statuto della cooperativa RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE in relazione all’art. 360, n.3 e n. 5, c.p.c. Il CDA non è stato convocato secondo la procedura dell’art. 34 dello statuto e non è prevista la possibilità della riunione totalitaria così come previsto dagli artt. 2366 e 2479 bis c.c. per l’assemblea.
7.1 -Il secondo e il terzo motivo sono collegati e possono essere trattati unitariamente. Le censure sono inammissibili perché prive di decisività, come già detto la ratio decidendi di inammissibilità del motivo di appello è fondata sulla mancata impugnazione della ratio decidendi della sentenza del Tribunale. La corte ha anche motivato che: « In ogni caso, alla delibera dell’assemblea è seguita la delibera del consiglio di amministrazione. Se la prima fosse nulla, poiché il potere di esclusione competeva esclusivamente all’organo amministrativo, la seconda costituirebbe comunque un valido esercizio del relativo potere ». Tale ratio decidendi non viene aggredita efficacemente. I n violazione dell’art. 366 , n. 6, c.p.c. non risulta specificato se tale motivo abbia costituito oggetto dell’opposizione proposta , il cui termine di sessanta giorni per la proposizione, a parte il divieto di novum in sede di legittimità, impedisce di proporre altre ragioni di opposizione oltre il termine.
8. -Con il quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 2533 c.c. in combinato disposto con l’art. 11 dello Statuto della cooperativa RAGIONE_SOCIALE, nonché dell’art. 7 l. n. 300/1970, in relazione all’art. 360, n.3 e n. 5, c.p.c. Nel valutare la sussistenza del giustificato motivo per l’esclusione del ricorrente la Corte non ha tenuto conto delle risultanze istruttorie, documentali e testimoniali addotte dal ricorrente.
8.1 -La censura è inammissibile. La censura, in primo luogo, concerne il giudizio di fatto, non sindacabile in sede di legittimità. Tale apprezzamento è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a
fondare la sua decisione (Cass., n. 16467/2017; Cass., n. 11511/2014; Cass., n. 13485/2014; Cass., n. 16499/2009).
Quanto alla censura sulla mancata comunicazione al lavoratore del licenziamento va precisato che, in primo luogo, in violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c. non risulta specificato se la circostanza della mancata comunicazione sia stata tempestivamente introdotta nel giudizio di merito; in secondo luogo va rammentato che, in base all’ultimo comma dell’art. 2533 c.c., lo scioglimento del rapporto sociale determina di diritto la risoluzione del rapporto (mutualistico) di lavoro.
-Con il quinto motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 230, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, n.3, c.p.c. l’interrogatorio del ricorrente era stato ammesso dal GI e doveva essere disposto.
9.1 -La censura, rilevando la mancata assunzione della prova, è da intendere come denuncia dell’ omesso esame di un fatto storico che ne sarebbe stato oggetto, delineando, così, una violazione ai sensi dell’art. 360, n.5, c.p.c. La sentenza della Corte qui impugnata è conforme alla sentenza di primo grado, sicché trova applicazione l’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c. (qui applicabile ratione temporis -pur essendo stato abrogato dall’art. 3, comma 26, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 -ai sensi dell’art. 35, commi 1 e 4, d.lgs. cit., trattandosi di ricorso per cassazione proposto in data anteriore al 28 febbraio 2023), a mente del quale in caso di ‘doppia conforme’ non è ammesso il ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Sarebbe stato, dunque, onere non assolto -della ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. U., n. 8053/2014; Cass., n. 5528/2014; Cass., n. 26774/2016; Cass., n.2630/2024; e successive conformi). A tale onere dimostrativo, invece, la ricorrente si è completamente
sottratta (Cass., n. 5947/2023; Cass., n. 26934/2023; Cass., n.31028/2024; Cass., 30413/2024). Il motivo è quindi inammissibile.
10. -Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 4.500 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione