Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21176 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21176 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22101/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, come da procura speicale in atti.
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 6140/2024 depositata il 07/03/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla premessa di aver ereditato dal Maestro NOME COGNOME le quote della società RAGIONE_SOCIALE (costituita il 18 giugno 2007) pari all’11,67% ciascuna, adivano la Camera Arbitrale presso la Camera di Commercio di Roma, così come previsto nello Statuto della società RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che: a) venisse dichiarata l’invalidità della delibera assembleare della RAGIONE_SOCIALE del 25 gennaio 2016, con la quale era stato deliberato lo scioglimento della società, per mancanza dei requisiti formali richiesti e del quorum deliberativo; b) venisse dichiarata l’invalidità dell’iscrizione nel Registro Imprese della causa di scioglimento dichiarata con atto sostitutivo di atto notorio in data 25 gennaio 2016 e per l’effetto disporne la revoca e cancellazione; c) venisse dichiarata l’invalidità della delibera assembleare del 21 aprile 2016 assunta senza regolare previa deliberazione di scioglimento della società; d) venisse dichiarata l’invalidità della eventuale iscrizione nel Registro Imprese della cancellazione della società e per l’effetto disporne l’immediata revoca e cancellazione; e) venisse accertata e dichiarata la responsabilità dell’Amministratore Unico e Liquidatore NOME COGNOME per i fatti di cui ai punti precedenti e dei successivi atti di liquidazione della società; f) venisse disposta la condanna della società e del Daniele al risarcimento dei danni subiti e comunque non inferiori ad € 12.000,00 riferibili alla perdita delle edizioni cedute ed accertate.
Con lodo arbitrale parziale del 31/7/2017, il Collegio, nominato a seguito della domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi del NOME NOME COGNOME, dinanzi alla Camera arbitrale presso la C.C.I.A. di Roma, riteneva rituale l’arbitrato previsto dall’art.24 dello Statuto sociale della RAGIONE_SOCIALE, dichiarava l’invalidità della delibera assembleare di messa in liquidazione della suddetta società del 25 gennaio 2016 e del 21 aprile 2016 e dichiarava la responsabilità di NOME COGNOME ed il conseguente obbligo al risarcimento dei danni, che si riservava di quantificare con il lodo definitivo, così come pure le spese legali, disponendo con separata ordinanza per il prosieguo del
giudizio. Con lodo definitivo del 27/6/2018 il Collegio Arbitrale condannava NOME COGNOME al risarcimento in favore della RAGIONE_SOCIALE dei danni cagionati nell’attività di liquidazione in misura pari a € 43.023,07, oltre rivalutazione ed interessi dal marzo 2016 al giugno 2018, ponendo integralmente a carico dello stesso le spese del giudizio arbitrale, quelle di C.T.U. e le spese legali.
Con sentenza n.2193/2022 la Corte d’appello di Roma rigettò l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso i citati lodi, segnatamente respingendo, per quanto di interesse, il motivo di appello con cui era stata denunciata la ‘nullità del lodo in quanto ritenuto rituale anziché irrituale in contrasto con la volontà delle parti.’.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME propose ricorso per cassazione nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME che resistettero con controricorso, affidato a due motivi con i quali contestò la qualificazione della natura del lodo come rituale compiuta dalla Corte capitolina.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6140/2024, pubblicata il 7 marzo 2024, accolse il primo motivo di impugnazione, enunciando il principio di diritto in base al quale l’arbitrato doveva ritenersi irrituale e cassò la sentenza della Corte di appello di Roma cui rinviò il giudizio per l’esame della questione di nullità proposta ex art.829, n.4, c.p.c.
NOME COGNOME e NOME hanno impugnato l’ordinanza di legittimità chiedendone la revocazione con un motivo di ricorso, illustrato con memoria.
NOME COGNOME ha replicato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. -Il ricorso è ammissibile perché il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante
per condurre all’annullamento per vizio di motivazione (Cass. n. 12046 del 17/05/2018; Cass. n. n. 7758 del 17/03/2023).
Trattandosi di giudizio di revocazione, è opportuno ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di chiarire che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
Le medesime Sezioni Unite hanno più di recente precisato, sempre in tema di revocazione delle pronunce di questa Corte, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass. Sez. U. n. 20013/2024).
Invero, non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico -giuridico (Cass. n. 8180/2009).
In particolare, non possono costituire vizi revocatori delle sentenze della Suprema Corte, ex artt. 391 bis e 395 c.p.c., n. 4, l’errore di diritto sostanziale o processuale o l’errore di giudizio/ di valutazione (Cass. n. 30994/2017; Cass. Sez. U. n. 8984/2018).
-Con l’unico motivo le ricorrenti propongono un motivo di revocazione con il quale prospettano la ricorrenza di quattro errori revocatori.
Le ricorrenti hanno ricordato che l’ordinanza di legittimità impugnata ha ribaltato le precedenti decisioni assunte in sede di lodo arbitrale (parziale e poi definitivo) e in sede di appello, che avevano qualificato
l’arbitrato come rituale, avendo ritenuto legittimo entrare nel merito della questione in quanto rilevante ai fini della statuizione sull’ammissibilità dell’impugnazione per nullità del lodo, ed ha ritenuto che l’arbitrato in esame fosse di natura irrituale.
Le ricorrenti deducono che la decisione concernente la qualificazione del lodo come irrituale è frutto di errore revocatorio in relazione a quattro punti da cui emergerebbero errori di fatto rilevanti ex art.395, n.4, c.p.c.
4.1. -I primi tre errori -secondo la tesi delle ricorrenti – si collocano nel seguente articolato passaggio motivazionale « 7.2. Alla stregua di detti principi, dunque, va interpretata la scrittura compromissoria di cui si tratta, ed al riguardo ritiene il Collegio, all’esito del suo complessivo esame, che le parti abbiano inteso dare vita ad un arbitrato irrituale, non potendo attribuirsi alcuna valenza di segno contrario a quello che è stato il comportamento degli Arbitri, con le scelte procedimentali da questi ultimi seguite (cfr. Cass. 23629/2015).
Il tenore della clausola statutaria di cui si discute è il seguente: ‘Le controversie insorgenti tra la società e i soci, l’organo amministrativo ed il liquidatore, in dipendenza delle presenti norme di funzionamento della società, purché compromettibili, saranno decise dalla Camera Arbitrale presso la CCIAA competente per territorio. Il Collegio arbitrale funzionerà con poteri di amichevole compositore e provvederà anche sulle spese e competenze spettanti agli arbitri’. Nel caso di specie, al chiaro riferimento ai ‘poteri di amichevole compositore’ si aggiunge, in modo dirimente, la volontà manifestata dalle stesse odierne controricorrenti, circa la scelta del ricorso a strumenti esclusivamente negoziali, nel momento in cui avevano proposto alla Camera Arbitrale domanda di arbitrato irrituale, come dedotto con sufficiente specificità dal ricorrente e non posto in discussione dalle controricorrenti, e ciò in un contesto, altrettanto pacifico, caratterizzato dalla composizione ‘familiare’ della società 55 Ave Entertainment, nel senso che la compagine era costituita da figli e moglie del Maestro NOME COGNOME. Inoltre non risultano evocate nella clausola specifiche attività procedimentalizzate degli arbitri, né puntuali criteri di nomina degli stessi tali da poterne inferire l’oggettivo carattere di terzietà, né, infine, risulta compiutamente precisato l’ oggetto dell’attività concretamente affidata al collegio arbitrale, stante il
generico richiamo a controversie sorte ‘in dipendenza delle presenti norme di funzionamento della società’, sì da rendere non significativa, in senso contrario, la previsione della ‘compromettibilità’. Pertanto, nel caso di specie, la natura irrituale dell’arbitrato voluto dalle parti si evince non solo dalla circostanza che le funzioni attribuite agli arbitri fossero quelle di ‘amichevole compositore’ (e perciò si verte in fattispecie diversa da quella esaminata da Cass. 18973/2023, citata nella memoria delle ricorrenti), ma anche da tutti gli altri elementi suesposti, da cui emerge l’intenzione delle parti di pervenire alla pronuncia di un lodo irrituale, inidoneo a produrre gli effetti di cui all’art.825 cod. proc. civ., tant’è che nessuna delle parti ne ha richiesto l’esecutività, in base a quanto risulta dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi.
Né infine potrebbe giustificarsi il riferimento all’orientamento espresso nelle pronunce di questa Corte n.6909/2015 e n.21059/2019, di favor nei confronti dell’arbitrato rituale, dato che nella specie non residuano dubbi sull’effettiva scelta dei contraenti.» (fol.8/9 della ord. imp.).
4.2. -Sotto un primo aspetto, a parere delle ricorrenti, questa Corte avrebbe errato a pronunciarsi sulla natura irrituale del lodo ed a affermare « non risultano evocate nella clausola specifiche attività procedimentalizzate degli arbitri, né puntuali criteri di nomina degli stessi tali da poterne inferire l’oggettivo carattere di terzietà, né, infine, risulta compiutamente precisato l’ oggetto dell’attività concretamente affidata al collegio arbitrale, stante il generico richiamo a controversie sorte ‘in dipendenza delle presenti norme di funzionamento della società’, sì da rendere non significativa, in senso contrario, la previsione della ‘compromettibilità» , perché l’insufficienza della clausola compromissoria aveva costituito oggetto del primo motivo di impugnazione in appello per contrarietà agli artt.829 nn. 1 e 2 c.p.c., era stato respinto e non era stato riproposto nel ricorso per cassazione.
La censura non coglie nel segno e non prospetta alcun errore revocatorio.
Come si evince dallo stesso ricorso, il passaggio motivazionale della Corte di appello preso in considerazione dalle ricorrenti ebbe a riguardare il primo motivo di impugnazione che NOME COGNOME aveva proposto
deducendo la nullità della clausola compromissoria nella parte in cui era stato previsto il deferimento della risoluzione della controversia relativa al rapporto societario alla Camera Arbitrale di Roma; questo motivo venne respinto, escludendo la violazione dell’art.34 del d.lgs. n.5/2003, in ragione della previsione di deferimento delle controversie societarie, alla Camera Arbitrale presso la Camera di Commercio di Roma contenuto nell’art.24 dello Statuto sociale, con statuizione non ricorsa per cassazione, come deducono le ricorrenti.
Tale circostanza risulta tuttavia ininfluente.
Invero, a differenza di quanto reputano le ricorrenti, la questione esaminata dalla Corte di legittimità con la statuizione impugnata ha riguardato la natura rituale o meno del lodo: si tratta della questione sollevata da NOME COGNOME con il secondo motivo di impugnazione dinanzi alla Corte di appello, anch’esso respinto, che è stata ritualmente riproposta in sede di legittimità, denunciando con il primo motivo di ricorso la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale e la nullità del lodo per avere pronunciato fuori dai limiti della convenzione d’arbitrato (fol. 3 della ord. imp.), e sulla quale la Corte di legittimità ha ritualmente statuito.
Non ricorre, pertanto, alcun errore percettivo e la statuizione risulta immune da vizi.
4.3. -Sotto un secondo aspetto, a parere delle ricorrenti, questa Corte avrebbe errato ad affermare che la scelta dell’arbitrato irrituale sarebbe stata giustificata dal contesto «…. altrettanto pacifico, caratterizzato dalla composizione ‘familiare’ della società RAGIONE_SOCIALE, nel senso che la compagine era costituita da figli e moglie del Maestro NOME COGNOME.» (fol.8 dell’ord. imp.).
Sotto questo profilo, la censura è inammissibile.
Il tenore letterale della frase in cui è inserito il passaggio in esame evidenzia il chiaro fraintendimento delle ricorrenti in merito all’uso del termine ‘pacifico’, che non riguarda affatto la qualità dei rapporti intercorrenti tra i diversi familiari cointeressati alla società – come sembrano avere inteso le ricorrenti che si diffondono ad illustrare i molteplici contenziosi esistenti -ma la circostanza che la società fosse a
‘base familiare’ (circostanza di fatto incontestata): ne consegue che non ricorre alcun errore revocatorio.
4.4. -Sotto un terzo aspetto, a parere delle ricorrenti, questa Corte avrebbe errato a ritenere che l’intenzione di pervenire ad una pronuncia sulla base di un lodo irrituale inidoneo a produrre gli effetti di cui all’art.825 c.p.c. emergeva anche dalla circostanza che nessuna delle parti ne aveva richiesto l’esecutività.
Il motivo è inammissibile perché non prospetta alcun errore percettivo, ma critica un’argomentazione giuridica posta a corredo della più ampia motivazione sulla scorta della quale è stata affermata la natura irrituale dell’arbitrato.
Dalla lettura della decisione in esame si evince chiaramente che la natura irrituale dell’arbitrato è stata individuata in ragione del chiaro riferimento ai ‘poteri di amichevole compositore’ contenuto nella clausola compromissoria e, in modo dirimente, della volontà manifestata dalle stesse odierne ricorrenti, circa la scelta del ricorso a strumenti esclusivamente negoziali, nel momento in cui avevano proposto alla Camera Arbitrale domanda di arbitrato irrituale (fol.5 della Domanda di arbitrato depositata il 26 aprile 2016) e va osservato che queste specifiche affermazioni non sono state attinte da alcuna censura.
Il passaggio motivazionale in esame, che collega la qualificazione dell’arbitrato come ‘irrituale’ anche alla inidoneità a produrre gli effetti del titolo esecutivo, costituisce un ulteriore argomento giuridico a sostegno delle plurime circostanze già individuate ed illustrate come rilevanti per la qualificazione del lodo come irrituale e non integra alcun errore percettivo.
5. -Il motivo di ricorso propone un quarto profilo con cui si deduce l’errore percettivo in relazione alla seguente statuizione «…è pacifico che gli arbitri avevano emesso due lodi rituali (il primo parziale e il secondo definitivo), tali qualificati da essi stessi, all’esito delle contestazioni sollevate in tal senso nel giudizio arbitrale; conseguentemente era ammissibile l’impugnazione per nullità proposta davanti alla Corte d’appello…» (fol. 10 dell’ord. imp.).
Le ricorrenti deducono che la decisione sul punto sarebbe fondata su un errore di percezione perché, secondo la loro tesi, gli arbitri avevano
qualificato gli arbitrati come rituali ‘senza che fossero state sollevate contestazioni dalle parti’ (a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di legittimità) in quanto il momento storico in cui venne definita la scelta risaliva alla costituzione del Collegio Arbitrale (17/10/2016) e contestano che l’impugnazione dei lodi sia stata ritenuta ammissibile, con riferimento alla causa di nullità di cui all’art.829, n.4, c.p.c. (nullità per avere pronunciato gli arbitri ‘fuori dei limiti della convenzione di arbitrato’) evocata nella ordinanza impugnata.
Il motivo è inammissibile perché la questione sollevata risulta del tutto nuova, atteso che le stesse ricorrenti riferiscono di averla prospettata con la memoria ex art.378 c.p.c. depositata nel primo giudizio di cassazione e quindi tardivamente.
-In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
-Condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 6.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione