Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27125 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
Corte di Cassazione, ex art. 395 c.p.c.
NOME COGNOME
Presidente
CLOTILDE COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 26/09/2024 CC Cron. R.G.N. 23388/2023
NOME COGNOME
Consigliere-COGNOME.
RITA NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 23388/2023 proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t., elett.te domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso gli AVV_NOTAIO, dai quali è rappresentato e difeso, per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
TRIPI MONICA, nella qualità di amministratore giudiziario nel procedimento R.G. N. 162/2021 -M.RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE NOME– elett.te domiciliata presso l’AVV_NOTAIO dal quale è rappres. e difesa, per procura speciale in atti, autorizzata dal g.d. del Tribunale di RomaSezione Misure di Prevenzione- con provvedimento del 21.1.2023;
-controricorrente-
FALLIMENTO DELL’RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.;
-intimato- a vverso l’ordinanza n. 27703/2023 della Corte di Cassazione, pubblicata il 2.10.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
Con ricorso depositato in data 07/04/2016 al Tribunale di Roma, NOME COGNOME chiedeva il fallimento dell’impresa individuale ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ adducendo il mancato pagamento della somma di € 110.000,00 d a parte di NOME COGNOME. Il creditore istante sosteneva di essere creditore della somma di € 114.564,223 in forza di un decreto ingiuntivo n. 12863/2015, di cui asseriva la rituale notifica unitamente al precetto, ma di cui il COGNOME ha avuto per la prima volta conoscenza con la notifica dell’istanza fallimentare e del decreto di fissazione di udienza dell’istruttoria prefallimentare.
Avverso tale decreto ingiuntivo n. 12863/2015, posto dal COGNOME a sostegno della propria istanza di fallimento, il RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, proposto immediata opposizione ex art. 650 c.p.c.
Costituitosi nel giudizio di fallimento, NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di titolare della ditta individuale ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , contestava integralmente quanto dedotto dalla parte istante.
In ragione di una nuova istanza di fallimento conosciuta dal RAGIONE_SOCIALE solo in sede di udienza, e dei nuovi presunti titoli esibiti solo in tale sede, quest’ultimo ha espressamente domandato la concessione di un termine per difesa per esame della nuova documentazione versata in
atti dal COGNOME e della nuova istanza di fallimento, mai notificata al debitore.
il Tribunale di Roma, con sentenza del 2016, dichiarava il fallimento dell’impresa individuale di NOME COGNOME.
Avverso la sentenza di primo grado il COGNOME interponeva reclamo dinanzi alla Corte di Appello, che rigettava l’opposizione al fallimento con sentenza del 2018.
Con ricorso in cassazione, il COGNOME impugnava la sentenza della Corte di Appello di Roma, con i seguenti motivi:
1 Violazione dell’art. 16 L.f., dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: la carenza assoluta della motivazione nella sentenza dichiarativa di fallimento il richiamo a meri principi di diritto, l’omissione delle ragioni di fatto della decisione e delle conclusioni della parte resistente;
2 Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 L.f in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: violazione dei criteri legislativi di determinazione della competenza territoriale -la sede risultante dalla visura camerale e la sede di effettivo esercizio dell’attiv ità;
3 Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L.f in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: l’insussistenza della qualità di imprenditore commerciale, l’insussistenza dei requisiti di fallibilità, il deposito dei bilanci.
4 Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 e art. 15 L.F.: sullo stato di insolvenza e sulle ragioni di contestazione dei decreti ingiuntivi fondanti i presunti debiti scaduti;
Con ordinanza depositata il 2.10.2023, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, rilevando che: non era stato dimostrato il superamento della presunzione di corrispondenza tra la sede legale e
quella effettiva dell’impresa individuale debitrice, ex art. 9 l .f., atteso che la diversa invocata attività in Capena (rientrante nel circondario del Tribunale di Tivoli) aveva riguardato la gestione di attività relativa ad altra società; il concreto riscontro della qualità di imprenditore commerciale senza dubbio si risolveva in un accertamento ‘di fatto’, censurabile ai sensi del n. 5 del 1° co. dell’art. 360 cod. proc. civ.; al riguardo, la corte distrettuale, con motivazione esaustiva, aveva esplicitato le ragioni per le quali il ricorrente aveva atteso allo svolgimento in forma professionale di un’attività economica organizzata concernente la cessione di partecipazioni finanziarie e immobiliari; dato che l a persona fisica acquista con l’esercizio effettivo dell’attività la qualità di imprenditore commerciale (cfr. Cass. 14.12.2016, n. 25730) , non rilevavano le risultanze della ‘certificazione Unica da Lavoro dipendente’ ; la corte territoriale aveva in maniera congrua ed inappuntabile evidenziato ulteriormente che la documentazione allegata dal reclamante, onde dar ragione del mancato superamento delle soglie dimensionali, era costituita da ‘semplici fogli di una facciata privi di intestazione’ (così sentenza impugnata, pag. 12) , ove non risultava alcun riferimento alle complesse operazioni poste in essere (così sentenza impugnata, pag. 13) , sicché trattavasi di documentazione del tutto inattendibile; in questi termini la Corte capitolina aveva specificato che l’omesso deposito delle scritture contabili ed in particolare dei bilanci relativi agli ult imi tre esercizi non poteva che risolversi in danno dell’impugnante (Cfr. Cass., 24.10.2017, n. 25188) ; la Corte d’appello aveva altresì indubitabilmente provveduto all’incidentale riscontro delle pretese creditorie addotte a fondamento dei ricorsi ex art. 6 l.fall., specificando che ‘ le contestazioni prospettate dal COGNOME non appaiono, almeno in questa sede di valutazione sommaria e incidentale, manifestamente
fondate anche perché si riferiscono per lo più a questioni meramente formali, quali quelle relative alla notifica delle ingiunzioni ‘ (così sentenza impugnata, pag. 17) ; su tale scorta doveva reputarsi, conseguentemente, che la corte territoriale aveva acclarato in maniera congrua ed ineccepibile lo stato di decozione; al riguardo, la circostanza poi che il COGNOME ed il ricorrente COGNOME NOME siano stati ‘partecipi e antagonisti direttamente o indirettamente (…) in plurimi rapporti’ è, se del caso, fatto che potrebbe rivestire valenza ad altri fini.
Avverso tale ordinanza della Cassazione NOME RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per revocazione, ex artt. 391 bis e 395, n.4, c.p.c. con tre motivi, chiedendo di cassare ed annullare la impugnata sentenza n. 2954/2018 pronunciata dalla Corte di Appello.
L’amministratore giudiziario della procedura n. 162/21, relativa a misure di prevenzione, resiste con controricorso.
Non svolge difese la curatela fallimentare.
RITENUTO CHE
Con il primo motivo il ricorrente deduce l’errore revocatorio in relazione all’accertamento avente ad oggetto la sede dell’attività.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che nel giudizio del fatto concernente l’effettività della sede della ricorrente, la Suprema Corte abbia sostenuto che ‘ non possono dirsi acquisite prove univoche, idonee a consentire il superamento della presunzione ‘iuris tantum’ di coincidenza della sede effettiva con la sede legale –INDIRIZZO -risultante dal registro delle imprese al dì -7.4.2016 – del deposito da parte del COGNOME del ricorso di fallimento ‘, in tal modo, compiendo, a suo dire, due errori percettivi che avrebbero determinat o l’erroneità del giudizio, ritenendo che : a) la sede del ricorrente fosse in Roma sulla base di un unico atto, la cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE, non avvedendosi della
irrilevanza dello stesso in quanto risalente a tre anni prima (al 15.11.2013) la data del ricorso per fallimento; b) era stata depositata la visura camerale storica (all. 34)- protocollo n. NUMERO_DOCUMENTO del 22/11/1999 -attestante ‘ attività prevalente in Capena INDIRIZZO -cambiata per variazione toponomastica, in Capena, INDIRIZZO -protocollo n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO del 25/08/2003.
Il ricorrente espone altresì che: dall’estratto depositato della visura fiscale storica (all.35) si evinceva incontrastabilmente che la sede della RAGIONE_SOCIALE era stata ubicata dal 1997 al 9.12.2014 a Capena, INDIRIZZO, poi trasferita al RAGIONE_SOCIALE il 9.12.2014, INDIRIZZO; risultava la sede in Capena anche dalle allegazioni documentali consistente nei bilanci (all. 26, 27, 28, 29) e nei contratti di gestione con condominio e il RAGIONE_SOCIALE (all. 22 -23 e 24); la Cassazione non si era avveduta che il ricorrente aveva depositato in atti documentazione consistente in certificato anagrafico rilasciato dal Comune di Roma (all. 32) attestante inequivocabilmente che nell’anno 2016, alla data di deposito del ricorso per dichiarazione di fallimento, presso il INDIRIZZO di INDIRIZZO in Roma, risiedevano la madre dell’odierno ricorrente, NOME COGNOME , e le sorelle, NOME e NOME COGNOME (all.32 fasc.to); anche dal cassetto fiscale emergeva che la ditta individuale aveva presentato i modelli unici con la corretta indicazione della residenza e del domicilio fiscale in Capena, alla INDIRIZZO, già INDIRIZZO (cambio per toponomastica – all. 26 -27 – 28 e 29).
Pertanto, il ricorrente deduce che l’errore era stato decisivo in quanto, al netto di questo, dalle risultanze processuali emergeva evidente che al 7 aprile dell’anno 2016 la sede dell’attività imprenditoriale del RAGIONE_SOCIALE
era ubicata in Capena (RM), con conseguente competenza territoriale inderogabile in materia di fallimento in favore del Tribunale di Tivoli. Il secondo motivo deduce la svista percettiva in relazione alla di documentazione dimostrativa dell’insussistenza della qualità imprenditore.
Invero, nella ordinanza n. 27703/2023, oggetto del presente ricorso per revocazione, la Cassazione ha qualificato la censura nell’ambito della anomalia motivazione censurabile ai sensi del n. 5 del co. 1° dell’art. 360 c.p.c. , e rigettato il motivo sulla base della considerazione che ‘ la corte distrettuale con motivazione esaustiva e -si aggiunge -ineccepibile in diritto ha esplicitato le ragioni alla luce delle quali ha affermato che il ricorrente avesse atteso allo svolgimento in forma professionale di un’attività economica organizz ata concernente la cessione di partecipazioni finanziarie immobiliari ‘ (cfr. sentenza impugnata, All. I – pagg. 10 -11).
Il ricorrente lamenta che la Corte perviene a tale conclusione ritenendo che il ricorrente abbia acquisito la qualità di imprenditore commerciale con l’esercizio effettivo dell’attività imprenditoriale che sarebbe consistita nella attività economica organizzata concernente la cessione di partecipazioni finanziarie e immobiliari, mentre risultava agli atti di causa che la RAGIONE_SOCIALE avesse preso parte ad un’unica cessione avente ad oggetto non astratte partecipazioni finanziarie o immobiliari con attività imprenditoriale, ma le partecipazioni sociali della società RAGIONE_SOCIALE
Invero, la Cassazione ha rilevato che ‘ la disamina degli atti evidenzia che la cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE, cessione alla cui effettuazione la corte di merito ha altresì ancorato
l’affermazione della qualità di imprenditore del ricorrente (cfr. sentenza impugnata, pag. 10), risulta compiuta – in data 15.11.2013 -in Roma ‘. Il terzo motivo deduce un errore revocatorio in relazione alla documentazione dimostrativa dell’insussistenza dei requisiti di fallibilità.
Al riguardo, nel ricorso in cassazione ( cfr. ALL. II) il ricorrente aveva censurato la sentenza pronunciata a definizione del reclamo per aver la Corte di Appello ritenuto che le attività intellettuali di consulenza e gestione condominiale siano assimilabili ad attività imprenditoriali suscettibili di fallimento ed che i bilanci depositati sotto forma di rendiconti siano strutturalmente inidonei a rappresentare le scritture contabili ai fini della determinazione dei requisiti fallimentari senza valutare il merito degli stessi (cfr. All. II ricorso cassazione pag. 21 e ss.).
Ora, il ricorrente adduce che, secondo la Cassazione, ai fini della qualifica dei requisiti dimensionali per la fallibilità, la documentazione contabile depositata sarebbe ‘ costituita da semplici fogli di una facciata privi di intestazione’, e ciò costituirebbe il risultato di una evidente svista percettiva.
Il primo motivo è inammissibile perché esorbitante dall’ambito della revocazione ex artt. 391 bis e 395, c.p.c.
Va osservato che, in tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e
dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass., SU, n. 20013/24).
Inoltre, è stata osservato che, in tema di ricorso per cassazione, l’errore percettivo sul contenuto oggettivo della prova è censurabile in sede di legittimità in caso di avvenuta utilizzazione, da parte del giudice di merito, di prove che non esistono nel processo (ovvero che abbiano un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito) e che, tuttavia, sostengono illegittimamente la decisione assunta (non già in base a una motivazione viziata, bensì) in violazione di un parametro di fonte legislativa, qualora le stesse abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti, diversamente dall’errore revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c., che consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, qualora il fatto non sia stato un punto controverso oggetto della sentenza impugnata (Cass., n. 37382/22).
E’ stato altresì rilevato che l ‘impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la
pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass., SU, n. 31032/2019).
Nella specie, il ricorrente lamenta che la Cassazione abbia, in sostanza, male interpretato i vari documenti richiamati, o abbia omesso l’esame di alcuno.
Tale doglianza, in applicazione dei richiamati orientamenti di legittimità, non attiene ad un errore revocatorio, perché si concretizza in una supposta erronea valutazione dei documenti prodotti, oggetto di discussione tra le parti, o in un’omessa decisione, e non invece in una svista materiale, considerando altresì che non è stato allegato che il fatto in questione (cioè l’effettiva sussistenza della sede dell’impresa in Capena) la cui verità sarebbe positivamente stabilita dagli atti, non aveva costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, come è necessario per la configurazione dell’errore revocatorio a norma dell’art. 395, c.1, n.4, c.p.c.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto afferente ad una sostanziale censura dell’attività valutativa della Cassazione, e comunque priva di decisività, atteso che la suddetta cessione, di per sé, ben potrebbe integrare la qualifica di imprenditore. Al riguardo, occorre richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio, mentre l’illegittima utilizzazione di prove inesistenti, perché
riferite a fonti mai dedotte in giudizio oppure a informazioni probatorie prive di alcuna possibile o immaginabile connessione con le fonti appartenenti al processo, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto integrante violazione dell’art. 115 c.p.c., ma non rileva quale errore revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., trattandosi di un fatto su cui il giudice si è espressamente pronunciato (Cass., n. 13918/22, n. 37382/22).
Il terzo motivo è parimenti inammissibile, essendo diretto ad una sostanziale critica dell’attività valutativa della Cassazione, che onde dar ragione del mancato superamento delle soglie dimensionali , ha rilevato che la documentazione prodotta era costituita da ‘ semplici fogli di una facciata privi di intestazione’ (così sentenza impugnata, pag. 12), ove non risultava alcun riferimento alle complesse operazioni poste in essere ‘ (così sentenza impugnata, pag. 13) , in quanto trattavasi di documentazione del tutto inattendibile.
Nell’ordinanza impugnata la Cassazione ha altresì specificato che l’omesso deposito delle scritture contabili , ed in particolare dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, non poteva che risolversi in danno dell’impugnante (cfr. sentenza impugnata, pagg. 12 -13. Cfr. Cass. (ord.) 24.10.2017, n. 25188) , quale omissione grave e significativa.
Il ricorrente lamenta dunque l’evidenza della svista percettiva concernente il modo in cui sarebbero stati redatti i rendiconti (riferiti privi di intestazione) laddove dall’esame degli atti di causa è evidente la sussistenza dell’int estazione, svista ritenuta decisiva, in quanto dalla circostanza che la documentazione contabile era costituita da semplici fogli di una facciata privi di intestazione la Corte ha fatto conseguire il rilievo dell’inattendibilità della stessa documentazione contabile, decisiva a i fini della dimostrazione dell’insussistenza dei requisiti per la fallibilit à dell’impresa individuale.
Invero, tali doglianze non afferiscono ad una svista percettiva, ma ad un errore di giudizio in cui sarebbe incorsa l’ordinanza impugnata in ordine alla rilevanza probatoria delle scritture contabili (circa la questione dell’intestazione dei fogli), essend o stato peraltro pronunciato sui punti controversi della controversia, come esposto nel ricorso.
Ne consegue l’irrilevanza , ai fini della configurabiità dell’errore revocatorio in esame, della doglianza relativa alle modalità di redazione delle scritture contabili.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 5.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 26