Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6159 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6159 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/03/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso n. 16161/2022
promosso da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ;
intimata
avverso la sentenza n. 40788/2021 della Corte Suprema di cassazione, pubblicata il 20/12/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOME ha chiesto pronunciarsi la revocazione dell’ordinanza n. 40788/2021 di questa Corte (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 40788 del 20/12/2021), con la quale era stato respinto il ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello di Roma che aveva rigettato l’impugnazione della
Consigliere
Consigliere
Ud. 29/11/2023-CC
Consigliere rel. R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Consigliere
Rep.
-FATTISPECIE.
deliberazione di esclusione della ricorrente dalla RAGIONE_SOCIALE a causa del mancato pagamento della quota su di lei gravante di preammortamento del mutuo fondiario relativo all’alloggio sociale alla medesima assegnato, ritenendo, in particolare, che questa Corte fosse incorsa in un errore revocatorio nel capo della decisione in cui ha respinto la censura formulata avverso la mancata sospensione del processo per pregiudizialità.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
In data 28/11/2023 l’intimata ha depositato procura notarile del difensore ai fini dell’eventuale discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente ha dedotto che questa Corte è incorsa in un errore di fatto, idoneo a costituire un vizio revocatorio ex artt. 391 bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., nella parte in cui, con riferimento alla censura relativa alla mancata sospensione del processo, nell’ordinanza n. 40788/2021 ha ritenuto quanto segue: «6. Il primo e terzo motivo, che vanno esaminati congiuntamente perché connessi, sono inammissibili per difetto di interesse e genericità delle doglianze che mancano di confrontarsi con il contenuto della sentenza impugnata. 6.1 … la doglianza circa la mancata sospensione del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. risulta in concreto infondata, perché nulla di specifico ha dedotto la ricorrente, né nel ricorso, né nella memoria, sulla attuale pendenza di quel giudizio, avendo genericamente richiamato, a pag. 25 del ricorso per cassazione, un diverso procedimento riguardante un’altra socia esclusa, tale COGNOME NOME; la Corte di appello, peraltro, richiama, nel provvedimento impugnato, una causa (diversa da quella avente ad oggetto la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.) che aveva ad oggetto la determinazione del prezzo massimo di cessione, attualmente pendente in grado di appello dopo che il Tribunale di Roma aveva rigettato le domande
spiegate dalla COGNOME ed aveva confermato la legittimità ed esattezza del prezzo massimo di cessione determinato dalla RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).»
La ricorrente ha, in particolare, dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, costituiva una circostanza non controversa (anche per effetto della mancata costituzione della controparte) che vi fosse un ulteriore giudizio tra le parti di questa causa, avente ad oggetto l’accertamento del prezzo massimo di cessione dell’alloggio assegnato dalla RAGIONE_SOCIALE a COGNOME NOME e la connessa domanda di trasferimento ex art. 2932 c.c. dello stesso alloggio, il quale era ancora pendente in grado di appello (R.G.N. 5372/2016 della Corte d’appello di Roma), come riferito a p. 20 e 25 del ricorso per cassazione e risultante dall’ordinanza del 07/02/2017 adottata in quel processo, menzionata e prodotta nel giudizio di legittimità.
La dedotta erronea asserzione, riferita al diverso giudizio sopra indicato, secondo la ricorrente, è stata decisiva, perché la determinazione del prezzo massimo di cessione dell’alloggio costituiva ex lege un accertamento preliminare e dirimente, ai fini della decisione in ordine al se vi fosse stato o meno l’inadempimento della stessa agli obblighi sociali e statutari su di lei gravanti, poiché gli oneri di preammortamento erano una componente essenziale del prezzo massimo di cessione, come già dedotto dalla COGNOME nel ricorso per cassazione, poi deciso con l’ordinanza oggetto di revocazione.
Il motivo è inammissibile.
2.1. Com’è noto, l’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. consente l’impugnazione per revocazione delle sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto
la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare» .
Tale disposizione è applicabile anche alle statuizioni del giudice di legittimità in virtù del disposto dell’art. 391 bis c.p.c.
Questa Corte ha specificato che l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione deve consistere in una falsa percezione della realtà, ovvero in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, la quale abbia portato il giudice ad affermare o a supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa di situazioni processuali controverse, esattamente percepite nella loro oggettività (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 1562 del 26/01/2021, riguardante la ritenuta mancata produzione di alcuni documenti, invece presenti nel fascicolo di parte; cfr. anche Cass., Sez. 2, n. 20113 del 24/09/2020, riferita alla ritenuta mancanza di prova dell’avvenuta notifica, documentata invece in atti).
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla statuizione impugnata per revocazione e l’altra dagli atti o documenti processuali, sempreché la realtà desumibile da tale statuizione sia frutto di supposizione e non di giudizio formatosi sulla base della valutazione di situazioni controverse tra le parti (così Cass., Sez. 5, n. 442 dell’11/01/2018, ove la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso in cui era stata prospettata l’erronea affermazione dell’intervenuta prescrizione del diritto al recupero di dazi doganali, in ragione del fatto che gli errori indicati
non riguardavano la percezione ma la valutazione, in fatto e in diritto, delle risultanze processuali).
È infatti evidente che, ove l’errata rappresentazione del fatto abbia costituto un punto controverso della causa, su cui le parti abbiano discusso, che il giudice abbia valutato ai fini della decisione, non si tratta di errore revocatorio ma di un eventuale errore di giudizio (cfr. Cass., Sez. U, n. 15227 del 30/06/2009).
L’errore che giustifica l’impugnazione per revocazione è, dunque, un errore determinato dall’inesatta percezione da parte del giudice di merito di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, poiché consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale, che porti ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso o l’inesistenza di un fatto positivamente accertato, senza che quel fatto abbia costituito un punto controverso tra le parti su cui il giudice si è pronunciato (così Cass., Sez. L, n. 24395 del 03/11/2020).
Ovviamente, come anticipato, la contestazione dell’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 1 n. 4 c.p.c., presuppone la sua decisività, requisito che deriva dalla natura straordinaria del rimedio e dall’esigenza di stabilità del giudicato, in ossequio al “principio di ragionevole durata del processo” e al connesso divieto di protrazione all’infinito dei giudizi. Tale decisività non sussiste, dunque, quando l’impugnato provvedimento trovi fondamento anche in ulteriori ed autonome rationes decidendi rispetto alle quali non sia contestato alcun errore percettivo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4678 del 14/02/2022).
2.2. Nella specie, la decisività dell’errore di fatto, dedotto dalla ricorrente, presuppone il riconoscimento della pregiudizialità del processo pendente davanti alla Corte di appello, avente ad oggetto la domanda proposta dalla ricorrente di accertamento del prezzo massimo di cessione dell’alloggio assegnato, unitamente alla
richiesta di trasferimento ex art. 2932 dello stesso, pendente in grado di appello.
Questa Corte, nell’ordinanza impugnata per revocazione, ha tuttavia respinto tale prospettazione.
Infatti, la Corte ha, prima di tutto, evidenziato quanto segue: «6.1 Ed invero, la ricorrente assume, erroneamente, la rilevanza, nel presente giudizio, del prezzo massimo di cessione dell’alloggio, determinata dal valore del mutuo contratto dalla RAGIONE_SOCIALE, ed una frazione che la ricorrente si sarebbe dovuta accollare, in funzione del costo effettivo del proprio alloggio, di cui si discute in un diverso giudizio…».
Inoltre, dopo avere ritenuto, con la statuizione in questa sede oggetto di revocazione, che la ricorrente non aveva dedotto nulla di specifico sulla attuale pendenza di tale giudizio (v. supra ), la stessa Corte ha affermato che «6.2. La Corte di appello, sul punto, dopo avere affermato che il titolo negoziale dal quale traeva origine l’obbligo di pagare le rate di preammortamento del mutuo era l’art. 16 del contratto di prenotazione di alloggio e che lo stesso contratto prevedeva la possibilità per la RAGIONE_SOCIALE di esclusione del socio, qualora non avesse regolarmente adempiuto alle obbligazioni ivi previste, ha messo in rilievo che la delibera di esclusione del 23 ottobre 2015 aveva evidenziato che la COGNOME non aveva adempiuto ad una serie di obbligazioni pecuniarie, che erano state tutte indicate nella motivazione della delibera, per un totale di euro 227.133,47; che la COGNOME non aveva pagato nemmeno nel termine di 60 giorni concesso dalla stessa delibera e che era stato il Tribunale ad esaminare soltanto una delle obbligazioni elencate nella motivazione della delibera, ovvero quella di pagare gli interessi di preammortamento del mutuo ammontanti ad euro 5.209,95; che il debito non pagato aveva un ammontare esattamente determinato, perché si trattava di rate di preammortamento del mutuo stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE per
costruire gli alloggi, di cui la COGNOME era stata resa edotta e come era stato specificato nel contratto di prenotazione dell’alloggio; l’ammontare degli interessi, inoltre, dipendeva dall’ammontare del mutuo richiesto dalla COGNOME ed era quindi possibile effettuare in qualsiasi momento il calcolo degli stessi, non essendo necessario conoscere il prezzo dell’alloggio e il piano finanziario finale.». Poi, ha aggiunto che « 6.3 La ricorrente, a fronte di ciò, pur insistendo sulla mancata determinazione delle somme da corrispondere, peraltro sotto il profilo formale dell’assenza di una delibera assembleare, la cui assunzione non risulta prevista dalle norme regolanti l’RAGIONE_SOCIALE convenzionata richiamate, lamenta, nella sostanza, che i dati considerati dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE fossero falsi, senza tuttavia fare riferimento ad alcun elemento oggettivo specifico.»
A fronte di tali statuizioni, parte ricorrente ha dedotto che il prospettato errore di fatto ha inciso sull’esito del giudizio, perché, come evidenziato nel ricorso per cassazione, in mancanza della esatta determinazione del prezzo massimo di cessione dell’alloggio non era possibile determinare l’esatto ammontare degli oneri di preammortamento e, quindi, non era nemmeno possibile stabilire se l’odierna ricorrente fosse stata effettivamente inadempiente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
È tuttavia evidente che tale deduzione presuppone una valutazione giuridica, e non in fatto, che è diversa da quella operata dal nell’ordinanza oggetto di revocazione. E per di più tale valutazione, per le ragioni suesposte non era decisiva ai fini della risoluzione della controversia.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata non essendosi la parte intimata difesa con controricorso.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione