Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14274 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14274 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35520/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
COGNOMENOME e NOMECOGNOMENOMECOGNOME rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrenti-
COGNOME COGNOMENOME COGNOME NOME e NOME COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MESSINA n. 647/2019 depositata l’8 agosto 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nella controversia promossa da COGNOME NOME nei confronti della sorella COGNOME NOME, avente per oggetto, per quanto interessa in questa sede, la gestione di un’azienda compresa nell’eredità della comune genitrice COGNOME NOME, il
tribunale di Messina ha rigettato la domanda di rendiconto. La Corte d’appello ha confermato la decisione e contro la sentenza d’appello (n. 867/2013) COGNOME NOME ha proposto istanza di revocazione, che la Corte d’appello ha rigettato con sentenza n. 647 del 2019.
Senza che sia necessario ripercorrere le vicende della causa, è sufficiente rimarcare che la domanda di rendiconto riguardava la gestione dell’azienda curata dalla convenuta prima e dopo la morte di NOME. La Corte d’appello di Messina, nel confermare la decisione di rigetto, ha ritenuto che, in relazione alla gestione antecedente alla morte, il rendiconto non fosse dovuto «in conseguenza della connotazione parentale e gratuita dell’affidamento che NOME fece della propria azienda alla figlia NOME», mentre, quanto al periodo successivo, il diniego della resa del conto è stato giustificato in base al rilievo che «sostanzialmente non esiste periodo di attività aziendale riconducibile all’appellata COGNOME NOMECOGNOME sia per tempestiva apposizione dei sigilli, sia per il successivo sequestro giudiziario».
Contro la sentenza è stata proposta istanza di revocazione per errore di fatto, che la Corte d’appello ha rigettato con sentenza n. 647 del 2019. Essa ha ritenuto che l’errore denunziato, identificato nella riconosciuta inesistenza di una gestione posteriore all’apertura della successione, non rientrasse nell’ipotesi prevista dall’art. 395, n. 4, c.p.c., né per il periodo precedente al sequestro, trattandosi di punto controversia oggetto di pronunzia, né per il periodo successivo al sequestro, non essendo stato il medesimo periodo oggetto di domanda giudiziale.
Contro la sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo.
COGNOMENOME a NOME COGNOME eredi di Forastiero NOMECOGNOME hanno resistito con controricorso.
Gli altri eredi di NOME, chiamati nella fase di merito per l’integrazione del contraddittorio, sono rimasti intimati.
Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 395 c. p.c. La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto delle vicende del procedimento di sequestro, in particolare non avrebbe tenuto conto del fatto che la convenuta COGNOME NOME, originariamente nominata custode con il provvedimento che aveva accordato la cautela, fu poi sostituita a causa di irregolarità nella gestione. La considerazione di tale provvedimento avrebbe permesso di accertare che, per oltre un anno dalla morte di COGNOME NOME non era stato possibile esercitare «quel controllo giudiziale che la misura del sequestro avrebbe dovuto garantire». Si pone inoltre l’accento sulla dichiarazione dei redditi presentata da COGNOME NOME per l’anno 1998, in cui erano denunziati ricavi da lavoro autonomo per l’importo di lire 28.652,000, il che confermava l’esercizio di un’attività aziendale personale della ‘custode’, tale da giustificare l’obbligo della resa del conto.
Il ricorso è inammissibile. L’ambito della decisione investito dalla denunzia dell’errore revocatorio riguardava la domanda di resa del conto per la gestione dell’azienda comune nel periodo successivo all’apertura della successione. La domanda di resa del conto era stata rigettata sulla base della considerazione che non ci sarebbe stata alcuna gestione, essendo tempestivamente intervenuti dapprima l’apposizione dei sigilli e poi il provvedimento di sequestro giudiziario. Nella prospettiva del ricorrente tale decisione sarebbe stata assunta in contrasto con ‘la verità emersa dagli atti
di causa e dalla copiosa documentazione prodotta in giudizio, nonché dai provvedimenti assunti in ordine al sequestro giudiziario dell’azienda, dai quali risulta in materia inconfutabile, che nel periodo successivo alla morte di COGNOME NOME la sig.ra NOME COGNOME ha continuato a detenere in proprio l’azienda e, anche quando è sopravvenuto il sequestro giudiziario concesso su istanza della germana NOMECOGNOME essa ha proseguito l’attività commerciale quale custode nominata dal Tribunale fintantoché è stata estromessa dal G.I. a causa delle sue accertate e ripetute inadempienze».
Con la sentenza impugnata in questa sede la corte d’appello ha rigettato l’istanza di revocazione, evidenziando, da un lato, che la gestione aziendale nel periodo compreso fra l’apertura della successione e il provvedimento di sequestro, aveva costituito un aspetto controverso sul quale la sentenza aveva pronunziato, dall’altro, che «quanto al periodo successivo al provvedimento di sequestro il profilo relativo all’obbligo di rendiconto per la gestione dell’azienda in qualità di custode non aveva costituito oggetto di domanda di accertamento giudiziale, sicché va escluso in radice la sussistenza di un errore revocatorio sul punto».
Il ricorrente si duole di tale decisione, ribadendo che l’errore di fatto sussisteva, perché la gestione c’era invece stata ed era proseguita anche dopo il provvedimento di sequestro fino al provvedimento di sostituzione del custode.
In questi termini, però, è evidente che il ricorrente non denunzia in effetti nessuna violazione della norma dell’art. 395 c.p.c. Di contro, le considerazioni della sentenza impugnata sono coerenti, in linea di principio, con la nozione di errore revocatorio precisata dalla giurisprudenza di questa Corte, che, per essere tale, non deve cadere su un punto controverso della decisione (Cass. n.
2236/2022; Cass. n. 26890/2019). Quelle stesse considerazioni, inoltre, sono coerenti con il contenuto della decisione impugnata con l’istanza di revocazione, che in effetti aveva espressamente statuito sul punto, negando l’obbligo della resa del conto per l’intero periodo successivo all’apertura della successione: quindi anche per il segmento temporale compreso fra la morte e il sequestro. La corte d’appello ha aggiunto, quanto al periodo successivo al provvedimento di sequestro, che esso non aveva costituito oggetto di domanda, essendo quindi a priori non configurabile l’errore denunziato. È chiaro che, così identificata in parte qua la ratio decidendi , la stessa riflette una interpretazione della originaria domanda da parte della corte d’appello, che, di per sé, non rileva alcuna violazione delle norme in materia di errore revocatorio. Si può ancora aggiungere, in linea teorica, che, una volta intervenuto il provvedimento di sequestro, l’obbligo di resa del conto grava sul custode in quanto tale e non può costituire oggetto di domanda in senso tecnico, essendo irrilevante, a questi effetti, che la nomina sia caduta su una delle parti in causa (Cass. n. 2004/23465).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con addebito di spese in favore delle controricorrenti. Nulla sulle spese di lite nei confronti delle parti intimate che non hanno svolto difese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle controricorrenti,
liquidate in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda