Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14737 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14737 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15094/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 12094/2023 depositata il 08/05/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza pubblicata in data 4 maggio 2020, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il Tribunale di Milano aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME, avente per oggetto l’accertamento che la scultura in bronzo di sua proprietà denominata ‘Natura 59 -60 n. 5’, conosciuta come ‘scultura COGNOME‘, era stata realizzata dall’autore NOME COGNOME ancora in vita, nonché la conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE, detentrice dell’elenco delle opere originali del Maestro, al rilascio di una dichiarazione di autenticità della suddetta opera, all’inserimento della stessa in qualità di opera madre tratta dalla terracotta originale nell’archivio dell’autore tenuto dalla RAGIONE_SOCIALE e al risarcimento del danno subito dall’attore, in conseguenza dell’avvenuta contestazione, ad opera della RAGIONE_SOCIALE, dell’autenticità dell’opera. La Corte di appello riteneva: a) sussistente l’interesse ad agire del COGNOME, identificabile nella rimozione dello stato di incertezza dell’effettiva portata del suo diritto di proprietà sulla scultura, determinato dal preannuncio di possibili iniziative legali da parte della RAGIONE_SOCIALE connesse alla contestazione dell’autenticità della c.d. ‘RAGIONE_SOCIALE‘; b) inaccoglibile l’istanza di acquisizione di nuovi documenti in appello formulata dal COGNOME, atteso che il rinvenimento casuale dei predetti atti in luoghi che comunque rientravano nella sua disponibilità non poteva costituire causa non imputabile, giustificativa della rimessione in termini, rispetto all’avvenuta decadenza dal termine di produzione in giudizio, non sussistendo alcuna ipotesi di caso fortuito o forza maggiore; c) infondato il motivo di appello con cui il COGNOME lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado per aver
il Tribunale attribuito rilevanza decisiva all’accertamento dell’autenticità della firma apposta sulla scultura, atteso che del tutto condivisibili dovevano ritenersi le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, secondo cui non potevano essere esperiti confronti tecnici attendibili sulle sottoscrizioni riferibili all’autore sulla statua, in assenza di altre firme autentiche dell’autore medesimo apposte con le medesime modalità di esecuzione su materiale ed in epoche affini; d) infondato il motivo di appello con cui il COGNOME lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado, per non aver il Tribunale ripartito l’onere probatorio ai sensi dell’articolo 8 della Legge sul diritto d’autore e per non aver correttamente valutato gli elementi probatori prodotti dal COGNOME al fine di dimostrare l’autenticità dell’opera, atteso che la presunzione di cui all’articolo 8 sulla Legge sul diritto d’autore può operare solo in assenza di contestazioni sull’attribuzione della firma, ovvero laddove sia possibile verificarne con certezza l’autenticità, circostanza esclusa nel caso di specie, con conseguente applicabilità del principio generale di cui all’art. 2697 del codice civile; laddove, sotto diverso profilo, irrilevanti dovevano ritenersi le prove prodotte dal COGNOME al fine di dimostrare la datazione del metallo e della fusione della scultura in oggetto, atteso che il complessivo materiale probatorio prodotto era inidoneo a dimostrare univocamente l’attribuzione della paternità dell’opera al maestro COGNOME; e) infondato il motivo di appello con cui il COGNOME contestava il giudizio del Tribunale che, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica, aveva escluso l’autenticità della ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME‘, in relazione alla sua attribuibilità al maestro COGNOME.
Avverso detta sentenza, NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo, a sua volta resistito dal COGNOME con controricorso.
Con ordinanza n.12094/2023, pubblicata l’8 maggio 2023, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso principale e riteneva assorbito il ricorso incidentale, condannando il ricorrente principale al pagamento delle spese di lite.
La Corte di Cassazione, per quanto ora di interesse, riteneva: a) infondato il secondo motivo ‘ laddove lamenta l’omessa considerazione della firma apposta sull’opera del suo presunto autore, posto che (a pagina 9) la Corte territoriale prende espressamente in considerazione la circostanza in questione, affermando di condividere le conclusioni del consulente tecnico di ufficio che, in assenza di firme di comparazione autenticamente attribuite al Maestro COGNOME e utilizzabili pertanto come elementi di comparazione, ha concluso per l’impossibilità di esperire la perizia grafologica. Per altro verso, il motivo è inammissibile, poiché tenta di indurre questa Corte a una non consentita riedizione del giudizio in fatto sul punto, segnatamente sulle conclusioni di merito della consulenza di ufficio ‘; c) infondato il terzo motivo relativo alla correttezza dell’indagine peritale con riguardo al consenso, mai reso esplicito dalla difesa del COGNOME al confronto dell’opera in questione con altra realizzata dopo la morte dell’artista, atteso che il ricorrente dava atto che in sede di operazioni peritali non era stata sollevata alcuna obiezione alla comparazione, e che la sentenza impugnata dava conto dei rilievi critici mossi alla consulenza d’ufficio dal consulente di parte e argomentava le ragioni di condivisione delle conclusioni peritali e di rigetto delle tesi del consulente di parte.
Avverso questa ordinanza, NOME COGNOME propone ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., resistito con controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., con riferimento all’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., denuncia, con il primo motivo, l’errata affermazione circa l’inesistenza di firme di comparazione, avendo la stessa relazione del C.T.U. ammesso esplicitamente l’esistenza di fusioni con firma autentica dell’Artista, come assume essere stato diffusamente illustrato nei precedenti scritti difensivi e da ultimo nel secondo motivo del ricorso dinanzi a questa Corte. Denuncia, inoltre, l’omessa considerazione circa l’applicabilità dell’art. 8 della legge n. 633/1941, in relazione al soggetto gravato dell’onere probatorio sulla non autenticità della firma, in quanto con l’ordinanza ora impugnata non era stato preso in considerazione detto profilo, sempre inerente alla firma sulla fusione COGNOME. Rimarca che l’art. 8 della legge n. 633/1941 attribuisce una decisiva rilevanza al fatto costituito dall’esistenza di una firma dell’Artista su un’opera creativa, in quanto a tale circostanza consegue un’inversione dell’onere probatorio a carico della RAGIONE_SOCIALE. Rileva che costituisce errore revocatorio l’omessa considerazione di un motivo del gravame in sede di legittimità. Denuncia, infine, l’omessa considerazione circa l’applicabilità degli artt. 2697 e 2728 cod. civ., in relazione alla mancata ammissione di una consulenza affidata a un perito grafologo.
2. Con il secondo motivo, riferito alla disamina del terzo motivo del ricorso per cassazione, il ricorrente denuncia l’omessa considerazione della documentata sussistenza di un dissenso del C.T.P. riguardo le modalità di svolgimento dell’indagine peritale, a fronte dell’erronea affermazione circa una condivisione delle parti sul punto, e deduce che la circostanza risulta documentata dalla comunicazione indirizzata al C.T.U. in data 28 aprile 2015 (acquisita agli atti il 17 settembre 2015 e allegata sub All. 17 alla Relazione del C.T.U. v. All. D), laddove il C.T.P. precisava testualmente: ‘non sono d’accordo circa la proposta del C.T.U. di voler confrontare
questa opera (realizzata in vita da NOME) con opere postume realizzate dopo la morte di NOME COGNOME. Esprimo, quindi, la mia contrarietà ad approntare una comparazione con i tre esemplari fusi dopo la morte dell’artista’.
3. Il primo motivo è inammissibile.
L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, citati, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. S.U. 31032/2019). Si è altresì precisato che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. 3760/2018).
Nella specie, come si è detto, il primo motivo censura l’errore nel quale sarebbe incorsa questa Corte nel dichiarare infondato il
secondo motivo di ricorso, per avere ritenuto che la Corte d’appello avesse esaminato la questione della firma del maestro COGNOME, dalla quale deriverebbe la paternità dell’opera, e in particolare per avere il giudice di appello affermato di condividere le conclusioni del c. t. u., in base alle quali, in assenza di firme di comparazione autenticamente attribuite al Maestro COGNOME, era impossibile disporre la chiesta perizia grafologica, risultando così assorbita la questione dell’onere della prova dell’autenticità della firma, che secondo il ricorrente – questa Corte non avrebbe esaminato.
Orbene, il preteso errore revocatorio denunciato dall’odierno ricorrente sarebbe caduto non su un atto interno del giudizio di legittimità, essendo stato il motivo di ricorso esaminato, bensì sulle risultanze della c. t. u., che è atto del giudizio di merito. Pertanto, l’errore di fatto denunciato si risolve in un errore revocatorio compiuto, se del caso, dalla Corte d’appello, non da lla Corte di Cassazione , che non avrebbe potuto – di certo – effettuare un nuovo giudizio di merito, rivalutando le risultanze della consulenza di ufficio e di quella di parte.
Sotto tale profilo, per l’appunto, con l’ordinanza ora impugnata il motivo di cui trattasi è stato ritenuto infondato, ma anche inammissibile, proprio in quanto sollecitava un riesame del merito, e tale ulteriore ratio non è censurata, sicché il vizio revocatorio prospettato difetta anche del requisito della decisività.
Occorre, infatti, ribadire che, in tema di revocazione dei provvedimenti della Corte di cassazione, la contestazione dell’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 1 n. 4 citato, presuppone la sua decisività, requisito che deriva dalla natura straordinaria del rimedio e dall’esigenza di stabilità del giudicato, in ossequio al “principio di ragionevole durata del processo” e al connesso divieto di protrazione all’infinito dei giudizi; tale decisività non sussiste qualora l’impugnato provvedimento trovi fondamento anche in ulteriori ed autonome rationes decidendi
rispetto alle quali non sia contestato alcun errore percettivo (Cass. 4678/2022).
Le medesime considerazioni valgono anche per il secondo motivo di revocazione, che è inammissibile per le identiche ragioni suesposte.
L’errore revocatorio denunciato, ancora una volta, non è riferibile ad atti interni del giudizio di legittimità, ma sarebbe stato commesso, se del caso, dalla Corte d’appello, che non avrebbe valutato il dissenso espresso dal c.t.p. rispetto al metodo da seguire nelle operazioni peritali. Peraltro, nell’ordinanza ora impugnata non solo si è affermato – del tutto correttamente – che il dissenso è una valutazione, non un fatto storico il cui omesso esame può rientrare nella previsione di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., ma si è aggiunta, quale ulteriore ragione fondante il rigetto del motivo del ricorso per cassazione di cui trattasi, anche la considerazione che la sentenza di appello aveva ampiamente motivato sull’adesione alla c.t.u. e sul rigetto dei rilievi critici proposti dalla c.t.p., sicché la sentenza non era affetta dalla dedotta nullità. Queste ulteriori rationes decidendi non sono state censurate, per cui il dedotto errore revocatorio difetta del requisito della decisività.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Non si ravvisano sussistenti nella specie, in relazione alla condanna ex art.96 cod. proc. civ. chiesta dalla controricorrente, i presupposti della mala fede o colpa grave, da intendersi quale espressione di scopi o intendimenti abusivi, ossia strumentali o comunque eccedenti la normale funzione del processo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per
cassazione, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2024.