Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18062 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18062 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2333-2022 proposto da:
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 57/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/01/2021 R.G.N. 105/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Rapporto lavoro privato
R.G.N. 2333/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di L’Aquila (sentenza n. 57/2021) ha accolto il ricorso di Poste Italiane spa ed ha revocato in parte la sentenza della medesima Corte, n. 737 del 2019, per errore di fatto concernente la prova del pagamento eseguito dalla società nei confronti dei signori NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in merito a somme di cui era stata chiesta la restituzione. Ha respinto il ricorso di Poste nei confronti di NOME COGNOME per mancata prova del pagamento nei suoi confronti. In primo grado, sul presupposto della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro, Poste era stata condannata al risarcimento del danno liquidato in misura pari alle retribuzioni dovute dalla data di cessazione dei rapporti di lavoro e fino al loro ripristino. La Corte d’appello, con la citata sentenza n. 737/2019, aveva ridotto il risarcimento a tre mensilità di retribuzione ma non aveva disposto la restituzione, pure richiesta dalla società, delle maggiori somme versate ritenendo che non vi fosse prova documentale del relativo pagamento.
In sede di revocazione, la Corte territoriale ha accertato che, alla data della decisione d’appello (21.11.2019), risultava prodotta da Poste copia degli assegni comprovanti i suddetti pagamenti, produzione avvenuta a mezzo PEC nelle date 30.9.2019 e 4. 11.2019. Ha ritenuto che l’erronea affermazione sulla mancata prova dell’avvenuto pagamento delle maggiori somme costituisse un errore revocatorio, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME
COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Poste Italiane spa ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza e degli atti in cui si articola il procedimento nonché violazione dell’art. 24 Cost. e degli artt. 102, 137, 138, 139, 183, 338, 350, 392 e 393 c.p.c. Si assume che il ricorso per revocazione, al pari del precedente ricorso in riassunzione dopo la cassazione con rinvio, non sarebbe mai stato notificato al sig. NOME COGNOME che la notifica di entrambi i ricorsi era stata chiesta dalla società indicando come residenza del lavoratore Taranto, INDIRIZZO, mentre il predetto risiedeva in INDIRIZZO come da certificato storico di residenza prodotto; che il predetto era venuto casualmente a conoscenza dell’ulteriore pendenza di un contenzioso promosso da Poste Italiane spa attraverso l’atto di rinuncia della società al ricorso per cassazione (avverso la sentenza d’appello n. 737/2019) notificatogli all’indirizzo di residenza.
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e degli artt. 102, 137, 138,139, 183, 338, 350, 392 e 393 c.p.c. Si censura la sentenza per avere erroneamente dichiarato la rituale costituzione del sig. NOME COGNOME nel giudizio di revocazione. Si eccepisce, comunque, la nullità della notifica del ricorso a causa dell’omesso deposito dell’avviso di ricevimento della raccomandata informativa circa il deposito dell’at to presso
l’ufficio postale (cd. CAD), per non essere sufficiente la prova della spedizione dell’avviso medesimo, secondo quanto statuito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 10012 del 2021.
Con il terzo motivo di ricorso si imputa alla sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dall’eccezione sollevata dagli attuali ricorrenti nel giudizio di rinvio, definito con la sentenza 737/2019 poi revocata, di tardivo deposito dei documenti (copia degli assegni) comprovanti il pagamento effettuato da Poste. Si afferma che gli assegni erano datati 19.11.2017 e che potevano e dovevano essere depositati unitamente al ricorso in riassunzione (dopo la cassazione con rinvio) del 20.12.2018 e che essi non costituiscono prova adeguata del credito restitutorio azionato da Poste non essendo dimostrato il collegamento degli assegni con i crediti oggetto di causa.
I primi due motivi di ricorso, che riguardano la posizione del sig. NOME COGNOME possono essere esaminati congiuntamente perché logicamente connessi e in parte sovrapponibili.
La censura di omessa notifica del ricorso in riassunzione è inammissibile. Occorre considerare che avverso la sentenza n. 737/2019, pronunciata dalla Corte d’appello in sede di rinvio, Poste Italiane ha proposto, oltre al ricorso per revocazione dinanzi alla medesima Corte d’appello, anche ricorso in cassazione; il procedimento in cassazione è stato definito con ordinanza n. 13903 del 2022; questa ordinanza dà atto che, al ricorso di Poste, hanno resistito con controricorso i Signori COGNOME COGNOME e COGNOME mentre ‘non hanno svolto attività difensiva gli intimati COGNOME e COGNOME e che ‘la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata
comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale’. L’ordinanza n. 13903 del 2022, nel definire intimato il sig. NOME COGNOME presuppone l’avvenuta rituale notifica al medesimo del ricorso della società RAGIONE_SOCIALE La medesima ordinanza dà inoltre atto della avvenuta rinuncia al ricorso per cassazione da parte della società e del fatto che tale rinuncia sia stata ‘notificata alle parti costituite ed agli avvocati delle stesse nonché alle parti intimate’. Lo stes so sig. NOME COGNOME riconosce di avere avuto conoscenza del procedimento pendente in cassazione attraverso la notifica dell’atto di rinuncia di Poste (v. p. 10 dell’attuale ricorso in cassazione). In base ai dati finora riportati (non risultando proposto ricorso per revocazione avverso l’ordinanza n. 13903/2022 che dichiarava il sig. NOME COGNOME ‘intimato’), questi deve considerarsi ritualmente convenuto nel giudizio di cassazione avverso la sentenza d’appello n. 737/2019, con la conseguenza che in quella sede avrebbe dovuto far valere gli eventuali vizi della notifica del ricorso in riassunzione.
Parimenti inammissibile è la censura che investe la notifica al sig. NOME COGNOME del ricorso per revocazione proposto da Poste Italiane spa e definito dalla Corte d’appello con la sentenza n. 57/2021, ora impugnata.
Il motivo sul punto è inammissibile per più profili.
Questa Corte ha statuito che, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia
stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate, al riguardo, dal codice di rito, in particolare negli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 41465 del 2021). Nel caso in esame, il ricorso in cassazione reca l’elen co dei documenti allegati e, al n. 10, include la ‘copia avviso di accettazione atto giudiziario del 27.5.2020 della notificazione a mezzo posta richiesta da Poste Italiane spa nei confronti di NOME COGNOME NOME del ricorso per revocazione’. Tale documento non risulta, tuttavia, depositato unitamente al ricorso e ciò preclude ogni verifica sulla questione della nullità della notifica.
Sotto altro profilo, l’attuale ricorrente allega la nullità della notifica del ricorso per revocazione a fronte di una sentenza, la n. 57/2021, di accoglimento del ricorso per revocazione, che nel descrivere lo svolgimento del processo afferma: ‘si sono costituiti in giudizio COGNOME NOME COGNOME COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME.
L’art. 403 c.p.c. stabilisce che ‘non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione’ e che ‘contro di essa sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revoc azione’. La norma in parola detta un principio generale, volto ad evitare che la definizione di una lite sia oggetto di ripetute contestazioni, che impediscono la formazione di una statuizione idonea a concludere definitivamente la controversia (Cass., S.U. n. 7584 del 2004; Cass. n. 18120 del 2010). Questa Corte ha sottolineato che nel ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non sono deducibili censure diverse da quelle previste dall’art. 360 c.p.c. e, in particolare, non sono denunciabili ipotesi di
revocazione ex art. 395 c.p.c., non rilevando in contrario la circostanza che la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione non possa essere a sua volta impugnata per revocazione (Cass. n. 6441 del 2007; n. 15386 del 2010; n. 28452 del 2020).
Nel caso in esame, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato: ‘Si sono costituiti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME Marcello e COGNOME NOME ed hanno eccepit o l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso per revocazione ex art. 395 comma 1 n. 4 c.p.c. per insussistenza del dedotto errore revocatorio’ (ricorso p. 9 e 11). Assume l’erroneità di tale statuizione sul rilievo che in quel giudizio si erano costitui ti ‘solo i signori COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME mentre rimanevano contumaci ( rectius : non si costituivano) COGNOME NOME e COGNOME NOME‘ (ricorso, p. 5). In tal modo, nonostante la formale denuncia di un error in procedendo in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., il ricorrente addebita alla sentenza un errore di fatto revocatorio, per averlo considerato costituito in giudizio sebbene la memoria di costituzione non includesse il suo nominativo, ma ciò inammissibilmente, ai sensi del citato art. 403 c.p.c. Né la censura di nullità della notifica tramite il servizio postale può considerarsi autonoma rispetto al denunciato errore revocatorio poiché la costituzione in giudizio è in sé idonea a sanare eventuali difetti del procedimento notificatorio in ragione del raggiungimento dello scopo (cfr. Cass., S.U. n. 14916 del 2016). 7. Il terzo motivo di ricorso, che concerne tutti i ricorrenti, è anch’esso inammissibile. La tardività della produzione documentale eseguita da Poste nel giudizio di rinvio doveva essere dedotta nel giudizio di cassazione, promosso dalla
società e definito con ordinanza n. 13903 del 2022 la quale dà atto, come sopra esposto, della rituale intimazione del sig. NOME COGNOME Comunque, il motivo è inammissibile perché censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. sul rilievo, no n dell’omesso esame di un fatto storico decisivo (su cui cfr. Cass., S.U. 8053 e n.8054 del 2014), bensì dell’errata soluzione di una questione giuridica, qual è quella che concerne appunto l’ammissibilità di documenti tardivamente prodotti.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 2 aprile 2025