Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30626 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30626 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11896-2024 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, e COGNOME NOME, procuratore distrattario della predetta società nel giudizio di primo grado, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrenti –
nonchè contro
SPINELLO GAETANO e LA SPINA BIAGIO
– intimati –
avverso la sentenza n. 139/2024 della CORTE DI APPELLO di MESSINA, depositata il 13/02/2024;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di accertamento tecnico preventivo, ex art. 696 c.p.c., COGNOME NOME evocava in giudizio, con atto di citazione notificato il 17.10.2002, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché il loro dante causa COGNOME NOME, innanzi il Tribunale di Messina, invocando la condanna dei convenuti ad eliminare l’allaccio degli scarichi a servizio della loro abitazione, eseguito dagli stessi a carico della condotta fognaria afferente all’immobile dell’attore, ad eseguire una serie di opere atte a mettere in sicurezza e consolidare l’immobile, ad eliminare le immissioni a carico del fondo dell’attore ed al risarcimento del danno cagionato dalle modifiche dello stato dei luoghi realizzate dai convenuti stessi.
Questi ultimi resistevano alla domanda e, nelle more del giudizio di prime cure, la RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE cedevano la proprietà del loro immobile alla società RAGIONE_SOCIALE, con atto di
vendita del 18.4.2011. Si costituiva dunque in giudizio anche detta società, aderendo alle posizioni dei suoi danti causa.
Con sentenza n. 1473/2018 il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda concernente l’allaccio alla fognatura, condannava i convenuti ad eliminare le immissioni di fumo a carico del fondo dell’attore e rigettava tutte le altre domande di quest’ultimo, regolando le spese del grado.
Interponeva appello avverso detta decisione il COGNOME e la Corte di Appello di Messina, con sentenza n. 878/2019, rigettava il gravame, compensando le spese del secondo grado.
Avverso detta decisione interponeva impugnazione per revocazione l’originario attore, che si concludeva con sentenza n.139/2024, la quale ha dichiarato inammissibile il rimedio, per assenza dell’errore revocatorio dedotto dal COGNOME.
Propone quindi ricorso avverso la predetta decisione COGNOME NOME, affidandosi a due motivi.
Resistono con separati controricorsi COGNOME NOME, nonché RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME (quest’ultimo, coinvolto nel giudizio in veste di procuratore distrattario della predetta società nel giudizio di prime cure).
Gli altri intimati, COGNOME NOME e COGNOME NOME, non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con istanza del 9.7.2024 la parte ricorrente ha chiesto la riunione del ricorso a quello distinto dal numero RNUMERO_DOCUMENTO, avente ad oggetto la sentenza della Corte di Appello di Messina n. 878/2019, oggetto della domanda di revocazione dichiarata inammissibile dalla predetta Corte con la sentenza oggi impugnata.
Con provvedimento in calce a detta istanza il Presidente di Sezione ha rimesso la decisione sulla stessa al collegio.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale, la controricorrente COGNOME ha depositato memoria. Ha del pari depositato memoria COGNOME NOME, ancorché lo stesso non avesse notificato controricorso nel presente giudizio di legittimità.
In data 28.10.2024 è stato depositato in via telematica il certificato di morte del difensore della parte ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va rigettata l’istanza di riunione depositata dalla parte ricorrente, in quanto il ricorso distinto dal numero R.G. 5630/2024, che ha ad oggetto la sentenza della Corte di Appello di Messina n. 878/2019, è stato dichiarato inammissibile. Va dunque esclusa la contemporanea pendenza di due giudizi, i quali, comunque, non avrebbero potuto essere riuniti, in quanto aventi ad oggetto sentenze diverse.
Va parimenti evidenziato che il decesso del difensore della parte ricorrente non impedisce la decisione del ricorso, attesa la natura ufficiosa che contraddistingue il giudizio di legittimità e considerato che, in ragione dell’esito del ricorso, non appare giustificato un rinvio per consentire alla parte la nomina di un nuovo procuratore (in ossequio a quanto affermato da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21608 del 20/09/2013, Rv. 627660 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 477 del 13/01/2006, Rv. 585538), in ragione dell’esigenza di assicurare la ragionevole durata del giudizio, che ‘… impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla
partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018, Rv. 648755 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013, Rv. 626969).
Egualmente in via preliminare, va rilevata l’inammissibilità della memoria depositata da COGNOME NOME, poiché lo stesso non ha depositato controricorso nel termine previsto dall’art. 370, primo comma, c.p.c.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del procedimento e la violazione o falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la configurabilità dell’errore revocatorio, consistente nell’aver ritenuto che la domanda di condanna al distacco dalla condotta fognaria dell’attore fosse stata rivolta contro tutti i convenuti, e dunque non soltanto contro la COGNOME ed il COGNOME, ma anche contro il loro dante causa COGNOME NOME, in relazione agli artt. 889 e 873 c.c., e non anche all’art. 137 del D. Lgs. n. 152/2006. La Corte distrettuale, dunque, avrebbe erroneamente affermato la novità della proposizione della domanda di distacco in relazione alla norma da ultimo citata, in quanto quest’ultima sarebbe stata invocata soltanto in sede di comparsa conclusionale, e non anche in atto di citazione. Ad avviso del ricorrente, la Corte avrebbe errato nel ritenere che detto errore costituisca una svista interpretativa della domanda, poiché in realtà esso inciderebbe sulla inesatta percezione delle risultanze di fatto derivanti dagli atti processuali e dagli accertamenti tecnici condotti nel corso del giudizio di merito.
La censura è inammissibile.
L’errore revocatorio si configura esclusivamente in presenza dell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si configura quindi in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo può coinvolgere l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. Ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per pretesi vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logicogiuridico (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 19/06/2007, Rv. 596982; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7778 del 27/03/2017, Rv. 644833; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27570 del 30/10/2018, Rv. 651070).
Nel caso di specie, la Corte di Appello si è limitata ad interpretare il contenuto della domanda spiegata dall’odierno ricorrente, ritenendo che essa, in funzione della sua formulazione, fosse stata rivolta avverso tutti i convenuti e fosse stata fondata, in atto di citazione, esclusivamente sulle norme del codice civile, e non anche dell’art. 137 del D. Lgs. n. 152/2006, peraltro intervenuto in epoca successiva all’introduzione del giudizio. Dallo stesso ricorso, che riporta stralci della sentenza impugnata, risulta che la Corte distrettuale ha evidenziato come la domanda in esame fosse stata formulata mediante richiesta di ‘distacco della condotta fognaria’ sulla base di un presunto ‘abusivo ed illegittimo innesto’ e dunque in relazione a lavori eseguiti dai convenuti, e non invece in connessione all’esercizio dell’attività di
scarico in quanto tale, alla quale si riferisce invece la disposizione di cui all’art. 137 del D. Lgs. n. 152/2006, peraltro concernente gli scarichi di acque reflue industriali.
Peraltro, la Corte di Appello ha anche evidenziato come, in ogni caso, la doglianza proposta dal COGNOME non si riferisce comunque ad un errore revocatorio, poiché la questione di fatto, concernente la legittimità o meno dell’allaccio alla fog na, è stata esaminata dal giudice di merito, il quale non si è pronunciato, al riguardo, sulla base dell’affermazione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti indiscutibili, rispettivamente esclusi o accertati in base al tenore degli atti e dei documenti di causa, bensì ha interpretato la domanda proposta dall’odierno ricorrente, rilevando la novità delle deduzioni allegate soltanto in sede di comparsa conclusionale, e comunque oltre i termini previsti dalle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c.
Trattasi, dunque, di attività di interpretazione del contenuto della domanda, in relazione alla quale va ribadito il principio generale secondo cui ‘L’interpretazione della domanda deve essere diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3041 del 13/02/2007, Rv. 594291). Peraltro, in relazione alla predetta operazione ermeneutica non si configura errore revocatorio, ma semmai errore di giudizio, denunziabile in sede di legittimità nei soli limiti consentiti, e precisamente soltanto: ‘… a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui,
se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078). In ogni altro caso, la censura relativa all’interpretazione della domanda va dichiarata inammissibile perché essa attinge essenzialmente un accertamento di merito.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto a carico dell’odierno ricorrente le spese del giudizio di revocazione.
La censura è inammissibile, in quanto si risolve in un ‘non motivo’ : essa infatti attinge il governo delle spese di lite non in relazione all’esito del giudizio come definito dal giudice di merito, il quale ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza, ma in ragione dell’esito invocato dal ricorrente quale conseguenza dell’auspicato accoglimento del ricorso, che di per sé travolgerebbe anche la statuizione sulle spese (cfr . Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25278 del 2020; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26959 del 2017).
Il ricorso, di conseguenza, va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, rispettivamente:
in € 3.500 per compensi, oltre ad € 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati, in favore della controricorrente COGNOME;
in € 3.000 per compensi, oltre ad € 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati, in favore della parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda