Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3054 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 3054  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
sul ricorso  6506/2022 proposto da:
COGNOME NOME, elett.te domic. p resso l’AVV_NOTAIO dalla quale è  rappres. e difesa, per procura speciale  in atti; -ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale  rappres.  p.t,  elett.te domicilia ta, in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, rappres. e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
 avverso l’ordinanza n. 4384 /2022 della Corte di Cassazione, pubblicata in data 10.2.2022;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 10/11/2023 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
Con  ordinanza  emessa  il  22.2.08,  il  Tribunale  di  Milano  accolse    la domanda di NOME COGNOME, la quale aveva lamentato di aver ricevuto da RAGIONE_SOCIALE, a titolo di liquidazione di due buoni postali emessi l’8.11.86 – acquisiti a seguito di successione del padre-  per  lire  5  milioni  cadauno,  una  somma  inferiore  a  quanto indicato nel retro degli stessi buoni postali e promesso in sottoscrizione.
Al riguardo, la ricorrente allegava che i due buoni riportavano, sul loro retro, una tabella indicante interessi progressivi dal 9 al 16% fino al 20° anno, capitalizzati annualmente, e poi dal 21° anno una rendita fissa bimestrale di lire 1.777.400 fino al 31 dicembre del 30° anno di conservazione.
Il Tribunale dichiarava dovuta, a titolo di rendimento dei due suddetti buoni, la somma complessiva di euro 40.527,24 lordi- al netto delle somme già incassate- osservando che: tali buoni postali erano stati emessi quando i rendimenti stampati sul retro erano già variati, in diminuzione, ad opera del dm 13.6.86 che, all’art. 5 aveva stabilito che erano a tutti gli effetti buoni della nuova serie Q anche i precedenti buoni della serie P sui quali avrebbe dovuto essere apposta la dicitura ‘serie Q/P’ e sul retro la tabella dei nuovi rendimenti; RAGIONE_SOCIALE aveva rispettato parzialmente tale previsione, non impedendo l’applicazione del citato decreto il fatto che in origine i buoni fossero marcati con la serie O, perché già riqualificati come della serie P, rilevando il timbro relativo ai rendimenti della serie TARGA_VEICOLO/P- come previsto dalla suddetta norma- che aveva superato la precedente classificazione della serie P/O; RAGIONE_SOCIALE aveva applicato un timbro relativo alla misura degli interessi per i primi 20 anni, ma nulla diceva circa i
rendimenti dei successivi 10 anni che però erano da regolare secondo la tabella a stampa, unica che regolava la materia.
Con sentenza del 2020 la Corte d’appello accoglieva l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE e, in parziale riforma dell’ordinanza impugnata, accertava  che,  in  applicazione  del  dm  13.6.86  nulla  era  più  dovuto dall’appellante rispetto a quanto già versato in favore della COGNOME, condannandola a restituire la maggior somma ricevuta in esecuzione del provvedimento riformato.
La Cassazione rigettava il ricorso presentato dalla COGNOME avverso la predetta sentenza d’appello.
Avverso  quest ‘ultima  sentenza  della  cassazione ,  NOME COGNOME propone ricorso per vizio revocatorio, ex art. 391 bis e 395, n.4, c.p.c.,  affidato  a tre motivi, illustrato da memoria.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo deduce che nella parte della sentenza, relativa ai ‘fatti di  causa’,  si  leggeva  che  la  domanda  era  riferita  ai  buoni  della precedente  serie  P,  e  che  la  Corte  d’appello aveva  ritenuto  che  i rendimenti dovessero essere calcolati nel minor importo fondato sul dm del 1986 e non in quello risultante dalla scritturazione a stampa concernente i buoni della serie P,
Il secondo motivo deduce errore sui fatti di causa avendo la Cassazione ritenuto che il timbro di dimensioni inferiori alla precedente stampigliatura, non coprendo integralmente la tabella stampata sui buoni, si era concretizzato solo in una mera imperfezione dell’operazione materiale irrilevante sul piano negoziale, così decidendo in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite del 2007 in ordine all’obbligo di chiara informazione incombente su RAGIONE_SOCIALE, nonché ritenuto che le due clausole st avano ‘per proprio conto’.
La ricorrente assume altresì che la Corte era incorsa in grave equivoco basato  sui  fatti  e  documenti  di  causa,  essendo  stata  data  per presupposta la circostanza positiva che i moduli offerti alla ricorrente nel novembre del 1986 fossero della serie P, trasformati e resi efficaci come Q, trasformazione non contemplata dall’art. 173 cod. postale, e dal dm 13.6.86, ma anche vietata dalla direzione delle RAGIONE_SOCIALE.
Il terzo motivo deduce errore sulla sopravvenienza del decreto estensivo dei rendimenti, avendo la Corte ritenuto esistente un fatto escluso dai documenti di causa, atteso che rispetto alla data di sottoscrizione dei moduli non c’era stata alcuna sopravven ienza di dm. Il primo motivo è inammissibile. In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass., n. 20635/17; n. 17179/20).
Nel caso concreto, la ricorrente, anzitutto, non trascrive la parte della sentenza che sarebbe affetta dal vizio revocatorio, per cui emerge il difetto di autosufficienza. Infatti, la domanda di revocazione della sentenza della Corte di cassazione per errore di fatto deve contenere, a pena di inammissibilità, oltre all’indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall’art. 398, comma 2, c.p.c., anche l’esposizione dei fatti di causa, richiesta dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., al fine di rendere agevole la comprensione della questione controversa e dei profili di censura formulati, in immediato
coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata (Cass., n. 30720/22).
Inoltre, la doglianza è espressa poco chiaramente, senza specificazione della decisività dell’asserita erronea percezione dei fatti di causa. Infatti, il motivo, che pone in luce il mancato rilievo dell’originaria riconduzione del modulo conten ente il buono alla lettera ‘o’ invece che ‘p’ , difetta radicalmente di decisività contrariamente a ciò che afferma la ricorrente. La O è stata pacificamente corretta, la Corte ha implicitamente rigettato il rilievo della contrarietà della correzione a circolare interna concentrando la parte motiva sulle rationes decisive che riguardano i buoni QP, e l’indicazione dei rendimento a tergo solo per i primi venti anni, svolgendo una argomentazione in diritto che non è inficiata dal mancato espresso riliev o dell’originaria indicazione ‘COGNOME‘ , poi corretta in ‘P’ perché i buoni di cui si discute sono inconfutabilmente i QP. Dunque l’omissione non è dovuta ad errore percettivo ma a valutazione d’irrilevanza ai fini della decisione.
Il  secondo  motivo,  consequenziale  al  primo,  è  inammissibile  perché tende  a  censurare  la  motivazione  dell’ordinanza  impugnata,  senza bene esplicitare i presupposti normativi d ell’asserito errore revocatorio, riguardando in sostanza un errore di diritto
Il terzo motivo, non chiaramente sviluppato, è carente di autosufficienza, non trascrivendo o riportando il contenuto dell’ordinanza impugnata attinto dalla censura, e comunque si traduce in un’inammissibile critica dell’interpretazione collegiale, anche considerando  che  non  è  mai  stato  profilo  affrontato  quello  della necessità di un nuovo decreto ministeriale oltre quello del 1986.
Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 3.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 novembre 2023.