Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3540 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3540 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24156/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
COGNOME,
PIEDIMONTE
NOME
-intimati-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 14595/2023 depositata il 25/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2108 del 17/01/2014, sulla base della valutazione complessiva degli esiti istruttori, alla luce della prova testimoniale e della documentazione prodotta dalla parte attrice RAGIONE_SOCIALE accolse integralmente la domanda che questa aveva avanzato nei confronti degli ex dipendenti COGNOME NOME, COGNOME, inibendo le condotte di concorrenza sleale denunziate e condannando gli ex dipendenti convenuti al risarcimento dei danni da esse causati come richiesti, oltre interessi dalla domanda e spese di lite.
Tale decisione venne riformata nel giudizio d’appello sul presupposto che le deposizioni testimoniali ivi richiamate erano inidonee a comprovare l’attività di concorrenza sleale addebitata agli appellanti, tanto più che tra le parti non risultava stipulato un patto di non concorrenza. Quanto all’ulteriore documentazione depositata per dimostrare che gli originari convenuti conoscevano i prezzi praticati dall’attrice/appellata, tanto da essere autorizzati ad applicarli alla clientela della società, la Corte capitolina rilevò la mancanza del fascicolo di primo grado della società, sicché ritenne insussistente qualsivoglia ulteriore riscontro probatorio, sia rispetto all’effettiva sussistenza dei lamentati atti di concorrenza sleale, sia relativamente ai danni invocati.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14595/2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società avverso la decisione di secondo grado.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso, chiedendo la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. 14595/2023 con tre motivi, illustrati con memoria.
Piedimonte Michele e COGNOME sono rimasti intimati.
È stata disposta la trattazione camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Il primo motivo denuncia un errore revocatorio, assumendo una svista percettiva per avere la Corte di legittimità ritenuto inesistente nel ricorso per cassazione originario l’allegazione/l’indicazione della precisa collocazione nel fascicolo d’ufficio degli atti e dei documenti su cui era fondata la censura, riguardante i documenti contenuti nel fascicolo di primo grado in allegato alla citazione.
A parere della ricorrente la Corte di legittimità aveva tutte le indicazioni per individuare l’esatta collocazione del fascicolo di primo grado della parte appellata su cui era fondato il ricorso, di cui aveva la completa disponibilità materiale, essendo stati specificatamente depositati in sede di iscrizione nel c.d. fascicoletto ex art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., con precisa indicazione del contenuto di tutti i documenti presenti nel fascicolo stesso, sfuggito perché rimosso dalla sua originaria collocazione.
2.2. -Il secondo motivo denuncia un errore revocatorio, assumendo una svista percettiva per avere ritenuto esistente una doglianza di omesso esame di documento decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., invero mai formulata come palese dalla lettura dell’unico motivo del ricorso ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., quale riportato anche nell’ordinanza revocanda.
2.3. -Il terzo motivo denuncia un errore revocatorio per una svista percettiva per essere stato ricostruito dalla Corte di legittimità in termini presuntivi, un accertamento compiuto in termini certi ed univoci dalla Corte territoriale in relazione al fatto che la sentenza del Tribunale avesse posto a fondamento dell’accoglimento della citazione introduttiva i documenti depositati nel fascicolo del primo giudizio dalla deducente (attrice in primo grado, appellata nel giudizio di impugnazione e ricorrente nel giudizio di legittimità), sia in punto di accertamento delle condotte di concorrenza sleale, che del quantum risarcitorio.
Sostiene la ricorrente che tale fatto, per come accertato in appello, era insindacabile in sede di legittimità.
3.1. -I tre motivi, da trattare congiuntamente atteso il carattere unitario della statuizione impugnata, che espone i principi di legittimità di rilievo nel caso di specie e ne dà applicazione al caso concreto, sono inammissibili, in quanto non vengono in evidenza sotto alcun profilo i prospettati errori percettivi.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di chiarire che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
Le medesime Sezioni Unite hanno più di recente precisato, sempre in tema di revocazione delle pronunce di questa Corte, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass. Sez. U. n. 20013/2024).
Invero, non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico -giuridico (Cass. n. 8180/2009).
In particolare, non possono costituire vizi revocatori delle sentenze della Suprema Corte, ex artt. 391 bis e 395 c.p.c., n. 4, l’errore di diritto sostanziale o processuale o l’errore di giudizio/ di valutazione (Cass. n. 30994/2017; Cass. Sez. U. n. 8984/2018).
E’, inoltre, inammissibile il ricorso per revocazione che, dietro la parvenza dell’allegazione di un errore di fatto rilevabile ictu oculi e in maniera incontrovertibile alla luce delle risultanze di causa, censuri, ai sensi degli artt. 391 -bis, comma 1, e 395, n. 4 c.p.c., l’interpretazione che il provvedimento impugnato, sulla scorta di un’esatta percezione dei fatti, abbia dato del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, corollario di quello di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6 del codice di rito (Cass. n. 29750 /2022; Cass. n. 13109/2024).
3.2. -Nel caso in esame, la prima e la seconda censura non colgono nel segno, perché la Corte di legittimità non ha motivato la declaratoria di inammissibilità del ricorso assumendo la mancata produzione nel giudizio di legittimità del fascicolo di primo grado e dei documenti ivi inseriti -circostanza su cui, invece, diffusamente si sofferma la ricorrente, che invoca a suo favore l’applicazione del principio secondo il quale «In materia di prova documentale nel processo civile, il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” -che opera anche per i documenti, prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo -comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, e non può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che detti documenti abbia inizialmente offerto in comunicazione.» affermato da Cass. Sez. U. n. 4835/2023.
Invero, il profilo di inammissibilità evidenziato nella statuizione di legittimità impugnata si pone su un piano del tutto diverso e distinto ed è direttamente ricollegato alla ravvisata ‘carenza
descrittiva del motivo’. Ed infatti, dopo una ampia panoramica giurisprudenziale nell’ambito della quale la Corte di legittimità ha evidenziato la necessità che gli atti e documenti richiamati debbano essere riprodotti nel ricorso di legittimità per consentire di apprezzare la decisività del motivo di doglianza, ha affermato « 1.4. Orbene, l’odierna doglianza della ricorrente non descrive minimamente la tipologia e l’effettivo contenuto dei documenti che il tribunale aveva valorizzato, unitamente alle risultanze della prova testimoniale, per giungere alla pronuncia di accoglimento della domanda risarcitoria della prima (alla pagina 3 della sentenza oggi impugnata si legge solo che: “L’attrice aveva depositato documentazione attestante le disdette effettuate nel giro di meno di un anno, proprio a ridosso delle dimissioni dei due convenuti; La documentazione prodotta aveva dimostrato che i due convenuti conoscevano i prezzi della RS, tanto che erano autorizzati ad applicarli”). Documenti, poi, come si è detto, non rinvenuti dalla corte distrettuale, che, pertanto, dopo aver totalmente smentito la valutazione della prova orale come effettuata in prime cure (negando che da essa potesse trarsi la dimostrazione di condotte degli appellanti costituenti sviamento della clientela ai danni della RAGIONE_SOCIALE, ha escluso la sussistenza di qualsivoglia altro riscontro alla effettiva configurabilità dello sviamento di clientela predetta e, soprattutto, della quantificazione del danno lamentato dalla menzionata società. 1.4.1. Ne deriva, quindi, che la riportata carenza descrittiva della censura in esame, quanto alla documentazione suddetta, preclude a questa Corte di ponderarne la sua decisività, o non (soprattutto, giova ripeterlo, dopo che le risultanze della prova testimoniale si erano rivelate, nell’ottica del giudice di appello, assolutamente inconcludenti ed irrilevanti), così rivelandosi in contrasto con i principi, qui condivisi, riportati nei precedenti pp. 1.3 e 1.3.1. 1.5. Proprio la carenza di prova della decisività di quella documentazione rende, peraltro,
inapplicabili, nella specie, gli insegnamenti della recente sentenza resa da Cass., SU, 16 febbraio 2023, n. 4835…».
Come si evince dalla lettura della motivazione, ciò che rileva, ai fini della declaratoria di inammissibilità, è la ‘carenza descrittiva’ della tipologia e dell’effettivo contenuto dei documenti nell’originario motivo di ricorso, descrizione che sarebbe stata necessaria alla Corte di legittimità per apprezzarne la decisività e, quindi, la ricorrenza dei presupposti applicativi dei principi invocati e recentemente affermati dalle Sezioni Unite, carenza che, peraltro, si palesa anche dalla trascrizione del motivo contenuta nell’odierno ricorso per revocazione.
3.3. -Il terzo motivo, nella parte in cui è focalizzato sull’utilizzo dell’avverbio ‘presumibilmente’ laddove è sintetizzata la decisione di secondo grado (par.1.2.), è inammissibile anche perché la ricorrente non illustra su quali circostanze fondi l’assunto, posto a base della doglianza , secondo il quale « Dalla lettura della decisione di seconde cure emergeva infatti che la Corte d’Appello in sede di impugnazione avesse già accertato in termini certi ed unici, e non già presuntivi, il fatto che la decisione del primo Giudice fosse stata fondata su documenti prodotti nel fascicolo di primo grado della parte appellata…» (fol. 16 del ric.): va rimarcato, in proposito, che la Corte di appello stessa aveva dato atto di non aver potuto esaminare questi documenti, non prodotti in quella sede, come da circostanza incontestata.
4. -In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva degli intimati.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima