Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26442 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26442 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8935/2020 R.G. proposto da :
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE),
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 24595/2019, depositata il 02/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Questa Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza n. 24595/2019, pubblicata il 2/10/2019, ha respinto il ricorso principale di NOME COGNOME e, accogliendo il ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2086/2016, resa, a sua volta, in sede di rinvio (a seguito di sentenza di questa Corte di Cassazione n. 29864/2011, che aveva cassato una pregressa decisione d’appello del 2009) in un giudizio promosso dal COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (con domanda riconvenzionale di quest’ultima per la condanna dell’attore alla corresponsione di un importo « pari a Euro 334.862,06 in linea capitale », oltre interessi), per sentire accertare la responsabilità dell’intermediario finanziario nella prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, in relazione all’acquisto di « titoli ad alto rischio », tra il 1996 e il 2001.
In particolare, questa Corte ha dichiarato inammissibile il quinto motivo del ricorso principale del COGNOME (con il quale si lamentava l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ex art.360 n. 5 c.p.c., perché la Corte territoriale « non aveva esaminato la questione della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale »), essendo stata l’eccezione di nullità negoziale proposta in appello dal COGNOME, ritenuta improponibile da questa Corte nella sentenza n. 29864/2011, come del resto ha affermato lo stesso ricorrente (pag. 4 del ricorso), in quanto il Giudice d’appello non avrebbe « in nessun caso potuto esaminarla e accoglierla nel merito, stante il divieto di introdurre domande nuove in secondo grado », cosicché « tale domanda non faceva parte del thema decidendum demandato al Giudice di rinvio ».
Avverso la suddetta pronuncia, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, notificato il 28/2/2020, affidato un motivo, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (che resiste con controricorso).
E’ stata depositata il 29/3/2024 dal ricorrente istanza di sollecita fissazione dell’udienza.
A seguito di rinuncia del difensore originario, si è costituito per il ricorrente un nuovo difensore.
Il PG ha depositato memoria scritta, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria. Ha depositato memoria anche Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE incorporante per fusione RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il ricorrente lamenta un errore di fatto nella ordinanza impugnata del 2019, in cui sarebbe incorsa questa Corte per non aver considerato che la richiamata eccezione di nullità negoziale delle operazioni del c.d. « Primo Periodo », da un lato, sarebbe stata avanzata dal COGNOME sin dal primo grado di giudizio e, dall’altro lato, sarebbe stata rilevabile ex officio in ogni stato e grado del procedimento in quanto stabilita ex lege (cfr. ricorso, pagg. 15 e ss.).
Quindi il ricorrente deduce, nel presente giudizio, l’errore di questa Corte sia per avere ritenuto che l’eccezione sarebbe stata sollevata dallo stesso soltanto in appello, mentre sarebbe stata proposta anche in primo grado, con la memoria di replica ex art. 6 D. Lgs. 3/2003 e ribadita successivamente nella comparsa conclusionale, sia per non avere rilevato d’ufficio la nullità, essendo la stessa rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e quindi anche in sede di legittimità.
Si deve rilevare che, con sentenza del 29 dicembre 2011, n. 29864, questa Corte di Cassazione, dando atto che la Corte
d’appello aveva scomposto l’esecuzione del contatto inter partes in due distinte fasi (« la prima, relativa agli anni dal 1996 al 2000, caratterizzata da ordini d’investimento (e disinvestimento) riguardanti titoli obbligazionari o comunque titoli a basso rischio; la seconda, relativa agli anni 2000 e 2001, nella quale invece il cliente ha investito in titoli azionari (della c.d. RAGIONE_SOCIALE economy) caratterizzati da un livello di rischio molto elevato »), aveva accolto il secondo motivo del ricorso principale proposto dal COGNOME e il terzo motivo del ricorso proposto in via incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto l’operatività in titoli azionari del c.d. « Secondo Periodo (2000-2001 )», con particolare riferimento al tema del concorso di colpa del cliente e ai criteri di quantificazione del danno risarcibile, enunciando i seguenti principi, ai quali la Corte di Appello si sarebbe dovuta attenere nel giudizio di rinvio: a) « Nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, e questi non rientri in alcuna delle categorie d’investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno per non essersi egli stessi informato tramite la stampa della rischiosità dei titoli acquistati »; b) « nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, il danno risarcibile consiste nell’essere stato posto a carico di detto cliente un rischio che presumibilmente egli non si sarebbe accollato; tale danno può essere liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello degli stessi titoli al momento della domanda risarcitoria solo se non risulti che, dopo l’acquisto ma prima della proposizione di detta domanda, il cliente, avendo avuto la possibilità con l’uso
dell’ordinaria diligenza di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli acquistati, né sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, li abbia tuttavia conservati nel proprio patrimonio: nel qual caso il risarcimento dev’essere commisurato alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell’acquisto e quello in cui l’investitore si è reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità ».
Questa Corte respingeva i motivi di ricorso presentati dal COGNOME con riferimento all’operatività in titoli obbligazionari del c.d. « Primo Periodo (1996 -2000) », incluso quello relativo alla domanda di nullità delle operazioni poste in essere nel c.d. « Primo Periodo» , rilevando, in particolare, per quanto interessa in questa sede, che: « nessuna domanda di accertamento di nullità risulta sia stata proposta nell’atto introduttivo del giudizio, né comunque la difesa del sig. COGNOME indica di averla proposta, limitandosi nel ricorso a far cenno a questioni in proposito prospettate nel corso del giudizio di gravame. Se è vero, dunque, che di tale domanda la corte d’appello ha omesso di occuparsi, è vero altresì che non avrebbe in nessun caso potuto esaminarla ed accoglierla nel merito, stante il divieto d’introdurre domande nuove in secondo grado. Donde l’irrilevanza del dedotto vizio di omessa pronuncia (ed a maggior ragione, ovviamente, di omessa motivazione sul punto) ».
Il COGNOME depositava ricorso per revocazione, ex art.395 n. 4 c.p.c., avverso tale sentenza, dichiarato inammissibile con ordinanza n. 20484/2015 di questa Corte.
In particolare, il COGNOME proponeva due motivi di revocazione, il secondo dei quali denunciava che la Corte di Cassazione sarebbe incorsa in errore ritenendo proposta tardivamente la domanda di nullità delle operazioni poste in essere dal COGNOME e che la mancata proposizione in primo grado della domanda di declaratoria di nullità delle suddette operazioni precludesse alla Corte di merito ed alla stessa Corte di legittimità di accertare tale nullità d’ufficio
sulla base degli elementi già dedotti in sede di merito . Questa Corte con l’ordinanza del 2015 rilevava l’inammissibilità del secondo motivo, in quanto con esso non si denunciavano errori di fatto (avendo peraltro il ricorrente, nel ricorso per revocazione, fatto « piuttosto generico riferimento a quanto allegato in primo grado ») e si denunciava anche un errore di diritto sulla non rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale, nel giudizio di cassazione, che non costituiva un errore di fatto revocatorio, evidenziandosi, peraltro, come la allegazione del ricorrente di aver eccepito tale nullità (senza che questa Corte ne abbia dato atto) risultava inconferente perché priva di specifiche indicazioni sulla sede processuale e sul modo in cui tale eccezione sarebbe stata sollevata.
Tale premessa è necessaria per cogliere il senso di quanto statuito da questa Corte nella ordinanza n. 24595/2019, in questa sede impugnata per revocazione.
Questa Corte ha dichiarato inammissibile il quinto motivo del ricorso principale del COGNOME (con il quale si lamentava l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ex art.360 n. 5 c.p.c., perché la Corte territoriale « non aveva esaminato la questione della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale »), « essendo stata l’eccezione di nullità negoziale proposta in appello dal COGNOME, ritenuta improponibile da questa Corte nella sentenza n. 29864/2011, come del resto ha affermato lo stesso ricorrente (pag. 4 del ricorso) in quanto il Giudice d’appello non avrebbe «in nessun caso potuto esaminarla e accoglierla nel merito, stante il divieto di introdurre domande nuove in secondo grado», cosicché «tale domanda non faceva parte del thema decidendum demandato al Giudice di rinvio ».
Il COGNOME denuncia in questa sede due errori revocatori, sostenendo che la Corte di Cassazione avrebbe erroneamente supposto che l’eccezione di nullità negoziale non fosse stata
proposta in primo grado, sulla base di una travisata lettura degli atti processuali, e che comunque la nullità sarebbe stata rilevabile ex officio in ogni stato e grado del procedimento in quanto stabilita ex lege.
4.Il ricorso è inammissibile.
4.1.Invero l’improponibilità della eccezione di nullità negoziale è stata dichiarata per la prima volta con la sentenza di questo giudice di legittimità n. 29864/2011 e questa Corte con l’ordinanza del 2019 si è limitata a richiamare la precedente decisione del 2011, rilevando, implicitamente, che la questione non potesse essere più esaminata (non facendo parte del thema decidendum rimesso al giudice del rinvio) perché coperta da giudicato interno.
Come osserva anche il PG la sola sentenza n. 29864 del 2011 poteva essere impugnata per prospettare che la declaratoria di improponibilità della eccezione di nullità giudiziale fosse illegittima in quanto frutto di una svista percettiva.
Analoga impugnazione non poteva, invece, essere reiterata avverso una pronuncia che ha esaminato la censura, rilevando la formazione di un giudicato interno.
Peraltro, come esposto sopra e come dedotto dalla controricorrente, il COGNOME ha già proposto un ricorso per revocazione avverso la sentenza n. 29864 del 2011 contestando la decisione adottata sulla eccezione di nullità negoziale, anche lamentando che spettava alla stessa Corte di legittimità accertare tale nullità d’ufficio sulla base degli elementi già dedotti in sede di merito.
Tale ricorso non è stato accolto, avendo questa Corte, con l’ordinanza n. 20864 del 2015, rilevato che il ricorrente aveva inammissibilmente veicolato, con il rimedio di cui all’art. 391 bis c.p.c., un errore di giudizio, estraneo al rimedio revocatorio esperito. Questa Corte con l’ordinanza del 2015 rilevava l’inammissibilità del secondo motivo, in quanto con esso non si
denunciavano errori di fatto (avendo peraltro il ricorrente, nel ricorso per revocazione, fatto « piuttosto generico riferimento a quanto allegato in primo grado ») e si denunciava anche un errore di diritto sulla non rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale, nel giudizio di cassazione, che non costituiva un errore di fatto revocatorio, evidenziando, peraltro, come la allegazione del ricorrente di aver eccepito tale nullità (senza che questa corte ne abbia dato atto) risultava inconferente perché priva di specifiche indicazioni sulla sede processuale e sul modo in cui tale eccezione sarebbe stata sollevata.
Nessun rilievo assume la circostanza che, solo con il secondo (il presente) ricorso per revocazione, il COGNOME ha per la prima volta prospettato che la declaratoria di improponibilità della eccezione di nullità negoziale era il frutto di un errore percettivo, in quanto il diritto a proporre il ricorso ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. si è consumato alla scadenza del termine di legge decorrente dalla sentenza del 2011.
In definitiva, l’errore invocato è riferibile al primo arresto del 2011 e non può rimettere in termini il ricorrente.
4.2.In ogni caso, gli errori denunciati non attengono a errori fattuali revocatori ex art.395 n. 4 c.p.c., che non possono riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, ma ad errori di diritto.
Invero, non costituisce errore di fatto revocatorio l’eventuale omessa considerazione da parte della Corte di una questione processuale, quand’anche essa fosse stata rilevabile anche d’ufficio e, come pi ù volte affermato da questa Corte di legittimit à , l’omesso esame di una circostanza processuale non corrisponde alla falsa percezione, sostrato dell’errore revocatorio, perché , mentre quest’ultima comporta l’erronea supposizione, la prima resta un fatto che non si traduce in alcuna attivit à , cui la legge collega unicamente l’effetto dell’eventuale vizio motivazionale, o
della violazione processuale, non ulteriormente rilevabili in relazione alle sentenze emesse dalla Cassazione (v. Cass. n. 14610 del 2021).
Quanto all’errore per travisamento del giudicato, esterno o interno, questa Corte (Cass. SU 23242/2005) ha chiarito che « il giudicato, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche; pertanto l’erronea presupposizione dell’esistenza del giudicato, equivalendo ad ignoranza della “regula juris” rileva non quale errore di fatto, ma quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, inidoneo, come tale, a integrare gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 395, numero 4, cod. proc. civ. » (conf. Cass. 10930/2017; Cass. 28138/2019).
Nella sentenza delle Sez. Un. n. 11501 del 09/05/2008, resa in fattispecie riguardante proprio una sentenza rescindente, si è precisato, in motivazione, che la sentenza rescindente costituisce giudicato interno: la Corte ha affermato che, ai fini dell’interpretazione di provvedimenti giurisdizionali, si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e ss. preleggi, in ragione dell’assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), al pari del giudicato interno ed esterno e della sentenza rescindente, in quanto dotati di vis imperativa e indisponibilità per le parti; di conseguenza, la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore.
Ne consegue che un errore nella lettura del testo di una precedente sentenza di legittimità resa nell’ambito dello stesso procedimento, ai fini della rilevazione del giudicato interno, ove esistente, si traduce inevitabilmente in un preteso errore di diritto, del tutto equiparabile, alla stregua dell’indirizzo sopra ricordato, all’errore nell’individuazione della norma giuridica, non emendabile con il ricorso per revocazione.
Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 12 settembre