Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3945 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 3945 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11447/2018 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2343/2017 depositata il 10/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
La vicenda trae origine dalla domanda proposta da NOME COGNOME, alla cui morte è subentrata NOME COGNOME, avente ad oggetto la riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie effettuate dal de cuius NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME.
Il Tribunale di Bologna, con sentenza non definitiva N. 2639/06, accolse la domanda, ridusse la donazione in favore di NOME COGNOME dell’immobile sito in Bologna ed accertò il diritto di NOME a percepire i frutti civili in misura proporzionale alla riduzione. Il Tribunale dispose la remissione della causa sul ruolo per calcolare l’esatto ammontare delle somme dovute a titolo di frutti civili in favore di NOME COGNOME.
Per quel che rileva nel giudizio di legittimità, va evidenziato che il Tribunale aveva nominato c.t.u. l’AVV_NOTAIO COGNOME, che aveva calcolato l’indennità di occupazione derivante dal godimento dell’immobile da parte di NOME COGNOME, determinandola nella misura del 3% sul valore dell’immobile.
La sentenza non definitiva N. 2639/06 venne impugnata da NOME COGNOME, che contestò, con il quarto motivo, il metodo di calcolo adottato dal AVV_NOTAIO nel giudizio di primo grado, ritenendo che dovesse applicarsi la legge 392/1978.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza numero N.651/2012, nonostante che il Tribunale non avesse statuito sulla determinazione dei frutti, rigettò il motivo d’appello con cui NOME COGNOME si doleva del metodo di calcolo dei frutti civili.
Successivamente, il Tribunale pronunciò sentenza definitiva N. 2480/2010, e, sulla base di una nuova CTU, affidata al’AVV_NOTAIO COGNOME, determinò l’indennità di occupazione sulla base della L. 392/78 sull’equo canone.
La sentenza definitiva venne impugnata da entrambe le parti, e parzialmente riformata, con sentenza numero N. 1210/ 2014, dalla Corte d’appello di Bologna.
Quanto alla determinazione dell’indennità di occupazione, la Corte rilevò che la questione era stata già decisa con la sentenza della Corte d’appello N.651/ 2012, aggiungendo, però, che la valutazione del c.t.u. sull’indennità di occupazione non si era basata sulle norme della legge 392 del 1978, ma sulla valutazione di mercato inerente alla redditività dell’immobile stimato; il c.t.u. aveva, infatti, ritenuto che i canoni di locazione percepibili dall’immobile corrispondessero al 3% del suo valore e tali conclusioni avevano trovato conferma nelle valutazioni espresse dalla rivista specializzata RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza della Corte d’appello propose ricorso per revocazione, ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., NOME COGNOME, lamentando l’errore revocatorio in cui era incorso la Corte distrettuale nella percezione della sentenza del Tribunale di Bologna N.2480 del 2010, che aveva confermato ritenendo che fosse conforme a quanto statuito dalla medesima Corte con la pronuncia n.651/2012; al contrario, mentre la sentenza definitiva del Tribunale del 2010 farebbe riferimento alla CTU dell’AVV_NOTAIO COGNOME ( che adottava la legge 392/1978 per determinare l’indennità di occupazione), la sentenza non definitiva della Corte d’appello avrebbe determinato l’indennità di occupazione in base al valore di mercato dell’immobile.
L’appellante dedusse, inoltre che la sentenza oggetto di revocazione sarebbe contraria alla sentenza non definitiva della Corte d’appello di Bologna, che aveva autorità di giudicato.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza N.2343 / 2017, rigettò la domanda di revocazione; in primo luogo, evidenziò che l’errore di fatto verteva sulla quantificazione dell’importo spettante a titolo di frutti sull’immobile ovvero su questioni che, essendo state oggetto di discussione e contestazioni tra le parti, non potevano costituire errore revocatorio, ma dare luogo a conflitto tra giudicati, da far valere attraverso il ricorso per cassazione.
La Corte distrettuale precisò, inoltre, che il denunciato contrasto tra la sentenza definitiva della Corte d’appello del 2014 e la precedente sentenza non definitiva riguardasse la violazione del giudicato interno, da far valere attraverso il ricorso per cassazione e non il giudizio di revocazione.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello che ha rigettato la domanda di revocazione sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memorie illustrative.
Il Sostituto Procuratore Generale in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 e 4 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 395, comma 1, n. 4 c.p.c. e la nullità della sentenza impugnata; la
Corte di merito avrebbe errato nel non riconoscere la sussistenza dell’errore revocatorio contenuto nella sentenza della Corte d’appello N.1210/2014, che, nel determinare l’indennità di occupazione avrebbe fatto riferimento alla sentenza definitiva N. 2480/2010, ritenendo che la statuizione fosse conforme a quanto statuito dalla medesima Corte con la pronuncia 651/2012, cui ha dichiarato di aderire, mentre, invece, non lo sarebbe affatto. Da un semplice raffronto tra la sentenza del definitiva del Tribunale N. 2480/2010, oggetto dell’appello, e quella della Corte d’Appello N. 51/2012, cui la pronuncia successiva della medesima Corte ha dichiarato di volersi uniformare, risulterebbe evidente l’errore di fatto di attribuire alla sentenza definitiva del Tribunale il contenuto della sentenza della Corte d’appello del 2012; infatti, mentre la sentenza definitiva del Tribunale del 2010 farebbe riferimento alla CTU dell’AVV_NOTAIO COGNOME ( che adottava la legge 392/1978 per determinare l’indennità di occupazione), la sentenza non definitiva della Corte d’appello avrebbe determinato l’indennità di occupazione in base al valore di mercato dell’immobile. Vi sarebbe stato, pertanto, un errore percettivo della Corte d’appello perché le risultanze delle CTU erano diverse.
Con il Secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 395, comma 1, n.5, 324 e 329 c.p.c., nonché dell’art6. 2909 c.c., con conseguente nullità della sentenza, per non avere la Corte d’appello ravvisato il contrasto tra la sentenza del n. 1210/2014 e la precedente 651/2012, entrambe rese dalla medesima Corte d’Appello.
I motivi, che per la loro connessione vanno affrontati congiuntamente, sono infondati.
L’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa ( ex multis Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, n.16439)
L’errore di fatto previsto dall’art.395 c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione non deve cadere su un punto controverso, né sull’errata valutazione delle risultanze processuali ma sostanziarsi in una affermazione – positiva o negativa – di un fatto, in contrasto con le evidenze di causa. (Cassazione civile sez. II, 23/10/2014, n.22584; Cass. Sez. Unite; 12.6.1997, n.5303).
A tali principi di diritto si è uniformata la Corte d’appello nel rigettare la domanda di revocazione.
Come si legge nella sentenza N.1210/2014, la Corte d’appello, nel rispondere alla doglianza di NOME COGNOME, che aveva impugnato la sentenza definitiva nella parte in cui il Tribunale aveva fatto riferimento alla Legge N.392/1978 per la determinazione del canone, dopo aver aderito alla sentenza non definitiva della Corte d’appello N. 651/2012, ha spiegato che la valutazione del CTU sull’indennità di occupazione non era basata sulla Legge N.392/78 sicché il parametro
dell’equo canone costituiva un ‘mero riferimento come termine di paragone’, avendo la Corte adottato il criterio della valutazione di mercato inerente la redditività dell’immobile stimato. Nella sentenza si aggiunge infatti: ‘ il c.t.u. ha infatti ritenuto che i canoni di locazione percepibili dall’immobile corrispondono al 3% del valore dello stesso e ciò ha trovato conferma nelle valutazioni espresse dalla rivista specializzata RAGIONE_SOCIALE‘.
Ne consegue che la decisione non è dovuta a mera svista o ad errore percettivo ma ad una conclusione frutto di argomentazioni giuridiche da parte del giudice di merito, che escludono in radice la sussistenza dell’errore revocatorio.
Come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, non vi è stata un’erronea percezione degli atti e documenti di causa ma un’adesione consapevole alle determinazioni contenute nella sentenza non definitiva della Corte d’appello, integrata con il riferimento al criterio dell’equo canone quale ‘mero riferimento come termine di paragone’, tanto più che la questione relativa al criterio di calcolo dell’indennità di occupazione aveva costituito un punto controverso tra le parti. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione