Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34975 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34975 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16342/2024 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, domiciliati ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 287/2024 pubblicata il 04/01/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Cassazione, con ordinanza n.287/2024 pubblicata il 04/01/2024, ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME con riferimento alla sentenza della Corte d’appello di Roma n.2300/2022 pubblicata il 13/06/2022, nella controversia con il Ministero della Difesa ed il Ministero dell’Interno.
La controversia ha per oggetto l’accertamento del diritto ai benefici economici previsti dall’art.1 commi 563 e 564 della legge n.266/2005 quale vittima del dovere, previa disapplicazione di tutti i provvedimenti amministrativi di rigetto.
La Corte di Cassazione rigettava il primo, terzo e quarto motivo di ricorso perché la corte territoriale -facendo applicazione dei principi di diritto di Cass. Sez. U. n. 759/2017, Cass. n. 24592/2018 e Cass. n.13367/2020 -aveva accertato che le lesioni riportate dal COGNOME non si fossero prodotte «in circostanze straordinarie ma in condizioni ordinarie nel contesto di svolgimento dei compiti dell’appellato, in via del tutto accidentale, senza alcun intervento di fattori esterni e/o responsabilità di terzi», con esclusione della qualità di «vittima del dovere» o della qualità ad essa equiparata.
La Corte di Cassazione dichiarava poi l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, «non sussistendo nessun omesso esame di fatti e/o di motivazione sulla mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello stato di «vittima del dovere».
Per la revocazione dell ‘ordinanz a della Corte di cassazione ricorre il COGNOME con ricorso affidato ad un unico motivo. I Ministeri dell’Interno e della Difesa resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo unico COGNOME lamenta «errore in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’articolo 395 n.4 c.p.c. in relazione alla disciplina stabilita dagli articoli 391 bis e 360 comma 1 n.4 del c.p.c.».
Deduce che « L’Ordinanza gravata ha presupposto l’insussistenza di un elemento di fatto -il non avere il ricorrente operato in una missione di contrasto alla criminalità ex art. 1 della Legge n. 266/2005, comma 563, lettera a) -palesemente smentito dai documenti amministrativi assunti agli atti del Giudizio e, segnatamente, dalla Relazione stilata dal Generale E.I. NOME COGNOME (doc. 03 in atti)».
Il ricorso è inammissibile.
Sul punto si intende dare continuità al costante orientamento di questa Corte, nei termini che seguono: «Con specifico riferimento alle sentenze (o ordinanze) della Suprema Corte, di cui si chiede la revocazione ex art. 391-bis c.p.c., sono ampiamente acquisite nella giurisprudenza di questa Corte, e vanno qui ribadite, le affermazioni secondo cui l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione tra le parti; b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini
ermeneutiche; d) deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione revocanda deve esistere un nesso causale tale da affermare con certezza che, ove l’errore fosse mancato, la pronuncia avrebbe avuto un contenuto diverso; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili contro la decisione stessa (v. Cass. n. 35879 del 2022; n. 29634 del 2019; n. 12283 del 2004; n. 3652 del 2006; n. 10637 del 2007; n. 5075 del 2008; n. 22171 del 2010; n. 27094 del 2011; n. 4456 del 2015; n. 24355 del 2018; n. 26643 del 2018)» (Cass. Sez. U. 19/07/2024 n.20013).
Facendo applicazione di questo principio di diritto al caso in esame risulta che il preteso errore revocatorio consiste in realtà nella omessa valutazione delle circostanze di fatto desumibili -a dire del ricorrente -da una relazione a firma del Generale COGNOME
È poi appena il caso di rilevare che tale relazione, nella parte riportata nel ricorso, si risolve a sua volta in una valutazione, un apprezzamento sulla sussistenza dei requisiti previsti per il riconoscimento del beneficio oggetto di causa, e non consiste dunque in un nudo fatto dal quale possono trarsi -in via immediata e diretta -le conseguenze giuridiche.
Peraltro, dalla prospettazione del ricorso non risulta nemmeno che tale relazione sia stata depositata nel giudizio avanti alla Corte di Cassazione.
Per questi motivi deve dichiararsi la inammissibilità della revocazione. Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di revocazione, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/12/2024.