Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29018 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29018 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 209/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME -ricorrente- contro
BANCA SAN FRANCESCO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 973/2021 depositata il 16/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- La società di persone RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c. della sentenza n. 2078/2018 emessa dalla Corte di Appello di Palermo che aveva respinto il gravame dalla stessa società proposto contro la sentenza del 4.11.2013 con cui il Tribunale di Agrigento definiva il giudizio avente ad oggetto il saldo del conto corrente acceso presso Banca San Francesco Credito Cooperativo di Canicattì.
2.- La Corte di Palermo ha ritenuto inammissibile la richiesta revocazione poiché la doglianza dell’attrice in revocazione -che aveva lamentato che il primo giudice avesse erroneamente individuato il saldo di chiusura del rapporto sul quale innestare il ricalcolo delle poste all’esito della declaratoria di nullità di alcune clausole del contratto di conto corrente -atteneva alla interpretazione delle risultanze della consulenza tecnica contabile espletata in prime cure, che erano già state motivo di appello respinto dalla sentenza revocanda. Perciò a prescindere dal rilievo se si trattasse o meno di un errore di fatto emendabile con la procedura di revocazione, restava l’insormontabile ostacolo derivante dal fatto che proprio quella questione era stata posta all’attenzione sia del primo giudice in sede di osservazioni alla consulenza tecnica di ufficio, sia del secondo giudice di merito quale espresso motivo di gravame, costituendo, così, punto controverso sul quale la sentenza di cui si chiede la revocazione aveva statuito e sul quale, ai sensi della norma invocata, non era possibile incentrare il giudizio di revocazione, in conformità alla giurisprudenza di legittimità per cui « non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice » (Cass. 27094/2011).
4.Avverso detta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso affidandolo ad un unico motivo di cassazione; Banca San Francesco Credito Cooperativo Canicattì CodRAGIONE_SOCIALECoopRAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso depositando memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– L’unico motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 395 comma 1 n. 4 c.p.c. perché la Corte d’appello avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di revocazione ritenendone apoditticamente ed erroneamente insussistenti i presupposti poiché la stessa riguardava un fatto «controverso» tra le parti nel giudizio concluso con la sentenza revocanda.
Sostiene il ricorrente che il fatto oggetto di errore denunciato in revocazione consisteva « nell’erronea, melius omessa percezione da parte dell’Autorità adita di una specifica circostanza emergente dagli atti di causa e non controversa tra le parti, sulla quale è stata omessa qualsivoglia pronuncia », vale a dire il versamento eseguito dalla correntista il 03.08.2000 ad estinzione delle apparenti passività portate dal c/c per cui è causa, «apparenti» giacché la stessa relazione del CTU dava atto che « l’importo complessivo delle somme illegittimamente addebitate dalla banca sul conto per effetto di interessi ultra legali ed anatocismo era pari ad € 82.595,97 », ossia proprio la somma che il correntista aveva versato il 3.8.2003 (€ 81.832,03) onde ripianare il passivo del conto, oltre – a suo dire – all’ulteriore somma di € 13.062,55, individuata in sede di integrazione della CTU. Per cui l’errore della Corte d’Appello – oggetto di revocazione – consisterebbe nel fatto che la stessa si era limitata « a riproporre pedissequamente le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, erroneamente percepita », nel senso che se detta circostanza (non controversa, ossia l’indebito versamento da parte della società RAGIONE_SOCIALE dell’importo pari ad € 81.832,03 in favore dell’istituto di credito),
fosse stata presa in considerazione da parte della Corte d’Appello, per come emergente palesemente ex actis, quest’ultima sarebbe pervenuta ad una decisione differente, posto che anche il suddetto importo, i.e. € 81.832,03, sarebbe stato oggetto di ripetizione in favore della società RAGIONE_SOCIALE, poiché ne era stata accertata la natura indebita in punto di diritto.
In definitiva nel ricorso si assume il contrasto tra la rappresentazione della realtà emergente dalla sentenza (che le somme indebitamente corrisposte dalla correntista fossero pari ad € 13.062,55) e quella emergente dagli atti e documenti processuali (che le somme indebitamente corrisposte dalla correntista erano complessivamente pari ad € 94.894,58, ossia € 81.832,03 + € 13.062,55).
– Giova premettere che ciò emerge dal ricorso è che:
la domanda proposta in giudizio dalla società correntista qui ricorrente era volta all’accertamento e alla ripetizione dell’indebito oggettivo frutto della dedotta nullità di alcune appostazioni debitorie (capitalizzazione trimestrale, tasso d’interesse debitore, costi non dovuti per servizi inesistenti) in conto corrente;
b) il CTU ha proceduto alla rideterminazione del saldo epurandolo da interessi convenzionali illegittimi (al tasso c.d. uso piazza) e capitalizzazione trimestrale accertando che « dalle risultanze del ricalcolo emerge un credito del cliente nei confronti della banca al 3/8/2000 di L. 1.479.198 (€ 763,94) contro l’importo a debito di L. 158.448.898 (81.832,03) calcolato dalla banca, con un recupero di ultralegali, : quindi, in breve, €
159.928.096 (€ 82.595,97) per interessi commissione di massimo scoperto e anatocismo» individuano un saldo positivo a favore del correntista di euro 763,94 e non un saldo negativo di € 81.832,03;
il CTU ha quantificato in € 82.595,97 l’ammontare complessivo delle somme da ripetere illegittimamente addebitate dalla banca sul conto;
a seguito delle osservazioni della società che insisteva per l’applicazione del tasso legale al rapporto, il CTU ha proceduto ad integrazione della relazione tecnica;
il giudice di prime cure ha condannato l’istituto di credito al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE, della sola somma di € 13.062,55, quantificata a seguito della integrazione della consulenza;
lamentando l’erroneità della statuizione in quanto limitata solo ad una minima parte delle somme illegittimamente addebitate dall’istituto di credito che, a suo dire, avrebbero dovuto essere pari a € 94.894,58 (€ 13.062,55 + € 81.832,03), la società ha proposto appello;
la Corte di Appello di Palermo, ha rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento.
2.1. – Dopodiché la ricorrente:
-per un verso deduce che la Corte d’appello, in prime cure, ossia nella sentenza revocanda, sarebbe incorsa in un’erronea percezione degli atti di causa di un punto non controverso, ossia l’intervenuto versamento in data 3.9.2000 ad opera della società correntista della somma di £ 158.448.898 (€ 81.832,03) ad estinzione delle apparenti posizioni debitorie al 3.8.2000, che avrebbe dovuto computarsi ai fini della rideterminazione del saldo che, al 30.9.2000, era pari a zero;
-per altro verso sostiene che la stessa Corte d’appello, nella sentenza resa in sede di impugnazione per revocazione, sarebbe in buona sostanza incorsa nel medesimo errore, ritenendo apoditticamente ed erroneamente insussistenti – come si è detto -i presupposti per la richiesta revocazione, poiché essa revocazione per errore di fatto investiva un fatto «controverso» tra le parti nel giudizio concluso con la sentenza revocanda.
2.2. – Ma, così formulato, il ricorso va incontro ad una pronuncia di inammissibilità per plurime ragioni.
2.2.1. – Anzitutto, occorre dire che il ricorso non si confronta, se non altro appieno, con la ratio decidendi posta a sostegno della pronuncia adottata dalla corte territoriale in sede di decisione sulla revocazione.
La Corte d’appello, infatti, nella sentenza qui impugnata ha con tutta chiarezza affermato che l’ipotetico errore nella ricostruzione del fatto sostanziale, quale l’omessa considerazione di un versamento in conto operato dalla società correntista nella data del 3 settembre 2000, non poteva essere censurato attraverso l’impugnazione per revocazione poiché l’articolo 395, numero 4, c.p.c., nel definire l’errore revocatorio, richiede che il fatto riguardo al quale l’errore medesimo si sia consumato (errore denunciato come percettivo commesso dal giudice) non abbia costituito « un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare »: viceversa nella specie la Corte d’appello adita in revocazione rileva che « la doglianza dell’attore in revocazione … attiene alla interpretazione delle risultanze della consulenza tecnica contabile espletata in prime cure, ma che era già stata motivo di appello ».
In altre parole, secondo la pronuncia resa in sede di revocazione, l’ipotetico errore concernente l’omessa considerazione del versamento effettuato in data 3 settembre 2000, ove commesso, lo sarebbe stato da parte del Tribunale, non della Corte d’appello con la sentenza revocanda, la quale aveva pronunciato su una circostanza per definizione ineluttabilmente controversa, giacché fatta oggetto di uno specifico motivo d’appello svolto in proposito. Con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità dell’impugnazione per revocazione perché svolta con riguardo ad un errore non revocatorio, giacché attinente ad un fatto controverso sul quale la sentenza revocando aveva espressamente pronunciato disattendendo il relativo motivo.
Affermazione, quella che precede, senz’altro armonica con l’insegnamento della S.C. secondo cui l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché – questo l’aspetto qui decisivo – non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass. 26 gennaio 2022, n. 2236).
Orbene, così stando le cose, è evidente l’incongruenza sussistente tra la ratio decidendi svolta dal giudice della revocazione (l’errore denunciato, se esistente, non è revocatorio perché costituente punto controverso sul quale la sentenza revocando ha pronunciato) ed il motivo spiegato in questa sede e riassumibile in ciò, che la Corte d’appello in sede di revocazione non avrebbe riconosciuto la sussistenza dell’errore revocatorio che affliggeva la sentenza revocanda: sicché la censura spiegata non intacca l’affermazione su cui la sentenza impugnata si fonda.
Ciò detto, la ravvisata mancata aderenza del motivo di ricorso al decisum destina lo stesso alla statuizione di inammissibilità (Cass. 3 luglio 2020, n. 13735; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910).
2.2.2. – In ogni caso, la società ricorrente non fornisce in ricorso – come sarebbe stato suo onere in conformità del principio di specificità e autosufficienza del ricorso in cassazione di cui all’art. 366 comma 1 n. 3, 4 e 6 c.p.c. – alcun elemento a riscontro di quale fosse stato il contraddittorio in causa sulla questione in fatto che pretende costituire un mero errore di fatto non colto dalla sentenza qui gravata (neppure ha depositato tra i documenti prodotti la CTU, la sentenza di primo e di secondo grado); ed, anzi, nel dolersene dà per scontato che il fatto oggetto di errore denunciato in revocazione consisteva « nell’erronea, melius omessa
percezione da parte dell’Autorità adita di una specifica circostanza emergente dagli atti di causa e non controversa tra le parti, sulla quale è stata omessa qualsivoglia pronuncia », così denunciando, in effetti, un’omessa pronuncia sulla dedotta questione, non, quindi, una svista percettiva, ma un vizio che attiene alla valutazione dei fatti compiuta dal giudice certamente non deducibile con il mezzo della revocazione azionato avanti alla Corte di merito.
Perlatro, posto che la censura di omessa pronuncia è spiegata contro l’evidenza, una volta verificato che la Corte d’appello ha espressamente escluso la sussistenza di un errore qualificabile come revocatorio, non è dato sapere in qual modo il fatto travisato sarebbe invece emerso incontestato e nella sua evidenza, il che si traduce in violazione delle citate disposizioni contenute nell’articolo 366 c.p.c.
In definitiva, posto che non è possibile fare ricorso al rimedio revocatorio quando vengono in rilievo, sulla questione prospettata come erronea, posizioni contrastanti tra le parti che hanno dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non può configurarsi come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, il ricorso contro la sentenza impugnata è del tutto aspecifico nel senso che si limita a riproporre ciò che la Corte di merito ha già valutato senza offrire in questa sede elementi che consentano di ritenere che in detta valutazione non abbia fatto buon governo dei principi predetti.
2.2.3. – Inoltre, non è pensabile, ed è conseguentemente inammissibile, un ricorso per cassazione con il quale, come nel caso in esame, si deduca che il giudice di merito, nella sentenza pronunciata sulla revocazione, abbia negato la sussistenza dell’errore revocatorio commesso con la sentenza revocanda, ed abbia in tal modo in pratica replicato l’errore revocatorio già consumato.
Un tale ricorso per cassazione, difatti, altro non sarebbe che un aggiramento della disposizione che preclude l’impugnazione per revocazione della sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione, mentre la sentenza resa in sede di revocazione può essere esclusivamente attinta, come stabilisce l’articolo 403 c.p.c., dai mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione, i.e. a ricorso per cassazione per i motivi di cui all’articolo 360 c.p.c. (così Cass. 10 febbraio 2025, n. 3362), motivi che non comprendono, ovviamente l’errore revocatorio.
-Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di controparte liquidate nell’importo di 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 23.10.2025.
Il Presidente NOME COGNOME