Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 748 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 748 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21148-2023 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
Oggetto revocazione
R.G.N. 21148/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/10/2024
CC
avverso l’ordinanza n. 20784/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 18/07/2023 R.G.N. 27279/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
CONSIDERATO CHE
COGNOME NOME chiede, ai sensi dell’art. 391 -bis e 395 n.4 c.p.c., la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n.20784 pubblicata il 18/7/2023 con la quale, in accoglimento del primo motivo di ricorso proposto da Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali, era stata cassata e rinviata alla Corte d’Appello di Roma la sentenza n.868/2018 avente ad oggetto la rideterminazione della quota A, calcolata con il sistema retributivo, della pensione di vecchiaia s pettante dal marzo 2002. L’ordinanza in esame aveva accolto la censura di illegittimo frazionamento in subquote del periodo di spettanza della pensione, avendo la corte territoriale compiuto il calcolo applicando le varie leggi via via intervenute durante la vigenza del periodo di maturazione della quota A, ed aveva affermato il diverso principio secondo cui per la quota A si applichi un unico regime, quello in essere al momento della maturazione del diritto alla pensione, e cioè l’art. 49 del Regolamento di esecuzione del 1997.
Il ricorrente lamenta un errore revocatorio in cui sarebbe incorsa la pronuncia di questa Corte, nell’aver ritenuto liquidata una quota di trattamento pensionistico che, all’epoca del collocamento in pensione non era stata ancora istituita.
Resiste con controricorso la Cassa previdenziale di ragionieri e periti commerciali.
Entrambe le parti hanno poi specificato le proprie rispettive difese con memorie illustrative ex art. 380-bis.1 c.p.c.
La causa è stata discussa all’udienza camerale del 30 ottobre 2024.
RILEVATO CHE
Il ricorrente denuncia l’inesistenza di un fatto presupposto ritenuto giustificativo ai fini dell’accoglimento del motivo dell’originario ricorso in cassazione promosso dalla Cassa previdenziale, non essendo stata operata alcuna liquidazione della ‘quota A’, trattandosi di una pensione di vecchiaia spettante dal marzo 2002, e non risultando alcun riferimento ad essa negli atti dei due gradi di merito e nella relazione di CTU. Sostiene il ricorrente che l’errore di fatto revocatorio consisterebbe nell’aver s upposto che tale quota fosse stata liquidata in maniera errata, laddove essa non era stata liquidata affatto. Invero, la ‘quota A’ fu istituita dall’art. 50 del Regolamento 31/12/2003 entrato in vigore il 1/1/2004 ed iniziò ad essere liquidata soltanto per le pensioni spettanti a partire da tale data. Il principio di diritto correttamente affermato nell’ordinanza impugnata era dunque inapplicabile al caso di specie, in mancanza di alcuna ‘quota A’ alla quale quel principio si sarebbe dovuto applicare. Richiamava, per una distinzione nel ricalcolo del trattamento pensionistico secondo diversi criteri per le pensioni maturate prima e dopo il 31/12/2003, la pronuncia Cass. n.18479/2012. Nella memoria illustrativa il ricorrente precisa che, in ossequio del principio del pro-rata, i ratei maturati prima dell’entrata in vigore di un regime peggiorativo devono essere comunque salvaguardati; l’ordinanza impugnata avrebbe dovuto riferirsi ad una quota calcolata con il criterio retributivo, laddove il riferimento ad un a ‘quota A’ non
dovrebbe essere letto in contrapposizione ad una quota contributiva B, terminologia che evoca il criterio di liquidazione operante dopo l’entrata in vigore del Regolamento, dall ‘ 1/1/2004. Si tratterebbe quindi di un errore di classificazione della fattispecie, potendosi ipotizzare la sola distinzione di calcolo nel periodo ante e post 1/8/1997 (tenendo conto nell’un caso dei dieci redditi professionali più elevati negli ultimi 15 anni, oppure nel secondo caso dei quattordici redditi più elevati dichiarati negli ultimi 19 anni); dunque, in sede rescissoria si sarebbe dovuto applicare, a salvaguardia del principio del pro rata, il criterio di calcolo adottato con delibere della CNPR del 28/6/97 e del 26/7/97, approvate con DM 31/7/1997.
Nel controricorso la Cassa previdenziale evidenzia che il ricorrente ha inteso attribuire all’impugnata pronuncia una supposizione che la Corte non aveva mai formulato, avendo ritenuto che si fosse discusso di calcolo della quota A in contrapposizione ad una quota B, laddove la pensione è stata calcolata secondo il criterio retributivo, come chiarito dalla Corte nel riportare il thema decidendum nella parte introduttiva dell’ordinanza revocanda e nella illustrazione del primo motivo di quel ricorso. In sintesi, non si dubita che si sia dibattuto del solo criterio di calcolo della quota retributiva e non già della quota contributiva, sicché il sollevato rilievo revocatorio non sarebbe decisivo ed il ricorso sarebbe stato comunque accolto in presenza di un costante orientamento giurisprudenziale che ritiene applicabile un unico regime vigente alla maturazione del diritto, e non già plurimi regimi sulla base di più discipline succedutesi nel tempo. La controricorrente conclude per il rigetto e per la condanna al pagamento di una somma di euro 30.000 a titolo di risarcimento per responsabilità aggravata ex
art. 96 c.p.c. stanti gli oneri affrontati dalla Cassa per contrastare l’avversa ingiustificata iniziativa processuale. Nelle memorie illustrative insiste nel sostenere che il ricorrente abbia inteso attribuire all’ordinanza impugnata un’affermazione che in realtà la Suprema Corte non aveva mai formulato, laddove non era stata affatto enunciata una quota A in contrapposizione con quota B -contributiva- che non era stata considerata; ed invece la pensione era stata determinata esclusivamente secondo il crite rio retributivo, e l’espressione ‘quota A’ era stata usata come sinonimo di tale criterio di calcolo, tant’è che espressamente l’impugnata ordinanza aveva affermato che la quota retributiva delle pensioni (sia essa unica o concorrente con la quota B) dovesse essere calcolata con la sola applicazione dell’art. 49 del Regolamento di Esecuzione del 1997 rimasto in vigore per tutte le pensioni retributive liquidate fino al l’ 1/12/2004. Qualora, poi, si ritenesse ammissibile il denunciato errore revocatorio, il ricorso sarebbe manifestamente infondato poiché il principio di diritto, applicato nella ordinanza impugnata è corretto, come già osservato in altre pronunce di legittimità.
Il ricorso è inammissibile; il vizio denunciato non rientra nelle ipotesi di revocazione previste dal codice di rito.
È stato di recente argomentato (ord. n.27490/2024) che ‘ In tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può
concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass., Sez. U, 19 luglio 2024, n. 20013). Deve, inoltre, ribadirsi che, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391-bis cod.proc.civ. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (così Cass. Sez.3, 29/3/2022, n.10040; … ) ‘; quest’ultima pronuncia rammenta, inoltre, che ‘ la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione ‘. L’errore revocatorio, rilevante ai fini di giudizio ex art. 391 -bis c.p.c., mira, dunque, ad emendare il contenuto della sentenza (o dell’ordinanza, nel caso di specie), nei limiti del solo errore di fatto ai sensi del n.4 dell’art. 395 c.p.c., e presuppone che tale
errore sia rilevabile ictu oculi e consista in una svista percettiva, laddove la decisione sia fondata sull’affermazione dell’esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare; il suddetto errore deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche, nonché essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea del giudice e la decisione deve sussistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa.
Rileva il Collegio che il denunciato errore revocatorio non consiste, tuttavia, in una ‘svista percettiva’ di un fatto incidente sulla realtà processuale, affermato ma inesistente o negato ancorché esistente, bensì nella valutazione della corretta applicazione di un principio di diritto, ritenuto non applicabile ratione temporis. Si tratta del criterio di calcolo del trattamento pensionistico maturato prima dell’entrata in vigore del Regolamento di esecuzione del regime contributivo e previdenziale della CNPR del 31/12/2003. Tale criterio, però, non è stato negato dalla impugnata pronuncia, che ha chiaramente affermato l’applicazione di ‘un unico regime, ovvero quello in essere al momento della maturazione del diritto alla pensione, e cioè l’art. 49 del Regolamento di Esecuzi one del 1997’. Questo è il principio di diritto demandato al giudice del rinvio, la cui sentenza d’appello era stata cassata per avere applicato un criterio di calcolo basato su varie leggi via via intervenute durante la vigenza del periodo di maturazione della quota A.
Si osservi che l’introduzione di tale dicitura (‘quota A’) benché astrattamente idonea ad evocare una contrapposizione con altra quota pensionistica, diversamente denominata, ed eventualmente formata su un diverso criterio di calcolo, non costituisce una circostanza dirimente o decisiva, poiché non è contestato che la prima si riferisca ad una quota calcolata col sistema retributivo, il cui criterio determinativo liquidatorio debba essere individuato secondo un unico regime regolamentare, individuato dalla pronuncia impugnata in quello vigente all’epoca della maturazione del diritto a pensione (che, per il ricorrente pensionato dal marzo 2002, non poteva che essere quello del Regolamento del 1997 e non già quello del dicembre 2003 entrato in vigore l’1/1/04). Nell’ordinanza in esame non si dava atto dell’esistenza di una circostanza di fatto pacificamente esclusa ovvero della supposizione di inesistenza di una circostanza certa, ma della affermazione di un principio pacificamente ammesso anche dalla controparte, derivato dal pro rata temporis secondo il quale i ratei maturati prima dell’entrata in vigore di un regime peggiorativo devono essere comunque salvaguardati.
Non v’è svista percettiva nell’aver qualificato come ‘quota A’ la quota pensionistica determinabile con il criterio retributivo, innanzitutto perché non si dubita che il thema decidendum vertesse proprio sulla rideterminazione di una quota calcolata col sistema retributivo, e poi perché alcun accenno è stato fatto nella ordinanza impugnata ad una bipartizione, con conseguente differenza di calcolo, rispetto ad una ipotizzabile quota B. Il ricorrente, nella rilevazione di un presunto errore concernente l’ asserita supposizione di una quota A che, invece, non sarebbe mai stata liquidata, mira a confutare un giudizio valutativo non compiuto dalla impugnata ordinanza; e, nell’ipotizzare una
contrapposizione con quota B a cui sarebbe applicabile una diversa regola di calcolo, intende assegnare alla medesima pronuncia una interpretazione tratta da un argomento presuntivo, a sua volta evincibile da una opinata affermazione implicita; del pari, c on l’obiettivo spiegato nelle memorie illustrative di tutelare il principio del pro-rata, evidenziando un diverso regime di calcolo antecedente e successivo all’emissione del regolamento del 1997, introduce una prospettata rivalutazione del decisum che intacca la regola di giudizio, senza che di tale distinzione ratione temporis sia stata fatta menzione.
È stato anche affermato (in ord.5326/23) che ai fini della revocazione, interessa solo il vizio di (mera) percezione (la semplice svista), e mai invece l’errore di giudizio. Sicché l’errore revocatorio deve pur sempre essere costituito dalla supposizione di esistenza di un fatto viceversa pacificamente escluso, ovvero quello di supposizione di inesistenza di un fatto viceversa certo, ove naturalmente tutto ciò non abbia costituito elemento concernente il punto controverso sul quale la Corte medesima sia stata chiamata a giudicare. Ed ancora, di recente, questa Corte (con ord. n.30052/24) ha anche osservato che l’i mpugnazione per revocazione è ammissibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc. civ., nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità. ‘ L’errore revocatorio presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, che emergono dal provvedimento impugnato e, rispettivamente, dagli atti e dai documenti di causa (Cass., S.U., 27 novembre 2019, n. 31032). Dall’àmbito applicativo della revocazione esulano, per contro, gli errori di giudizio, che involgono l’errata considerazione o l’errata interpretazione dell’oggetto del contendere e promanano,
dunque, da un’attività valutativa e non da una percezione fallace (Cass., sez. III, 29 marzo 2022, n. 10040) ‘.
Orbene, costituisce una censura di giudizio la contestata valutazione di aver menzionato una Quota A introdotta soltanto nel regolamento vigente dal 2004, quasi a volerne confutare un’applicazione retroattiva oppure un anacronistico richiamo per disciplinare un caso ad esso non sussumibile; ancor più evidente è la carenza di una censura sulla esistenza di un fatto laddove è pacifico che la tematica controversa ed affrontata abbia riguardato il criterio di calcolo applicabile al sistema retributivo antecedente al 2004 e vigente alla maturazione del diritto al pensionamento, risalente al marzo 2002. Il decisum della Corte, concernente l’applicazione di un unico regime di calcolo vigente al momento della maturazione del diritto alla pensione, è ancorato ad un dato di fatto rimasto indiscusso, ossia la spettanza della pensione di vecchiaia dal marzo 2002. Diversamente, l’indicazione di una ‘quota A’ in un’epoca antecedente alla sua introduzione nel Regolamento vigente dal 2004 involge la valutazione di una questione di diritto, rimessa alle nuove determinazioni del giudice di rinvio, chiamato ad applicare un unico regime di calcolo vigente al momento della maturazione del diritto alla pensione, quello dell’art. 49 Regolamento di esecuzione, piuttosto che varie disposizioni succedutesi nel tempo (che consentirebbero l’applicazione di massimale pensionistico o di contributo di solidarietà). Al più si sarebbe potuto parlare di omesso esame di una questione processuale, concernente l’applicazione retroattiva di un c riterio di calcolo in quota A introdotto in epoca successiva alla maturazione del diritto a pensione, ma la domanda del ricorrente non affronta in questi termini il motivo della propria doglianza revocatoria, né potrebbe farlo a pena di reintrodurre
in fase revocatoria, duplicandoli, i motivi di ricorso ex art. 360 c.p.c.
In conclusione, il ricorrente non espone un errore percettivo, ma denuncia un errore valutativo nell’avere la Corte ritenuto di applicare un criterio di calcolo non sussumibile al caso di specie stante l’epoca del pensionamento antecedente all’entrata in vigore del Regolamento del 2004 in cui si distingueva fra quota A e quota B. Tuttavia, l’indicazione di una quota A, a cui si riferisce il criterio di calcolo con il sistema retributivo, non è frutto di un’erronea percezione dell’epoca a cui si applicher ebbe il criterio di calcolo, che è invece l’unico applicabile perché, stante la regola di diritto indicata dalla Corte e rimessa poi al giudice di rinvio, si deve determinare il trattamento pensionistico secondo ‘un unico regime, quello in essere al moment o della maturazione del diritto’, e cioè secondo il criterio dell’art. 49 del Regolamento di esecuzione del 1997 (retributivo). E non si tratta neppure di un errore decisivo perché il denunciato errore non determinerebbe un mutamento del decisum (coerente, peraltro, con il principio del pro rata e con il criterio di calcolo del 1997); né è ammissibile un errore interpretativo, non emergendo alcuna supposizione che sia stata applicata una quota A prima del 2004 né v’è alcun riferimento ad una diversa quota B applicabile in contemporanea alla quota A; il ricorrente introduce, invece, un’erronea valutazione applicativa del criterio di calcolo secondo un unico regime (non frazionato in sub-quote disciplinate nei vari periodi come statuito dalla corte d’appello) che invece la Corte aveva ben delineato rimettendone poi il calcolo al giudice di rinvio. Si aggiunga che nelle memorie illustrative del ricorrente è evidente che si sposta l’asse delle doglianze su aspetti valutativi del criterio di calcolo non peggiorativo da
applicare, che non soltanto non integrano alcun errore revocatorio ex art. 395 n.4 c.p.c., ma ben potrebbero costituire oggetto di discussione in sede di rinvio dalla pronuncia impugnata.
Alla soccombenza fa seguito la condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo. Va infine respinta la domanda di condanna a titolo di responsabilità aggravata in carenza delle condizioni di legge ed in particolare in assenza di prova dell’elemento soggettivo richiesto ex art. 96 c.p.c.
Sussistono, infine, i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate in euro 3.000,00, oltre accessori di rito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR 115/2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024.