Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2411 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2411 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35466/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME, che li rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME NOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME VINICIO
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 811/2018 depositata il 16/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso articolato in tre motivi contro la sentenza n. 811/2018 della Corte d’appello di Genova pubblicata il 19 maggio 2018.
L’intimato AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO non ha svolto attività difensive.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 -quater , e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
La Corte d’appello di Genova, pronunciando sull’appello spiegato da NOME COGNOME e NOME COGNOME contro la sentenza n. 293/2015 del Tribunale di Imperia, ha dichiarato inammissibili le domande formulate ‘con il rito di cognizione ordinaria’ dall’ AVV_NOTAIO per conseguire il pagamento dei compensi inerenti all’attività difensiva svolta in favore di NOME COGNOME in quattro giudizi civili, tornando piuttosto applicabile il rito ex artt. 28 della l. n. 794 del 1942 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011. I giudici di appello hanno altresì compensato tra le parti le spese del giudizio per la ‘novità della questione’.
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia la v iolazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 e 14 d.lgs. n. 150/2011, nonché dell’art. 25 Cost., per avere la Corte d’appello dichiarato ‘l’inammissibilità delle domande attoree, anziché annullare la sentenza appellata e rimettere le parti dinanzi al Tribunale di Imperia, in composizione collegiale, disponendo per la riassunzione del giudizio nel termine di cui all’art. 50 del codice di procedura civile, per essere trattato dal Giudice Collegiale competente ex art. 14 d.lgs. 150/2011’.
Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia l’e rror in procedendo ‘con riferimento all’art. 112 c.p.c., anche occorrendo in combinato disposto con gli artt. 4 e 14 d. lgs. 150/2011, nonché con l’art. 25 Cost.’, ‘ per avere la Corte territoriale violato l’art. 112 c.p.c., relativamente al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nell’aver dichiarato l’inammissibilità delle domande attoree ed omesso di rimettere le parti – come richiesto dagli odierni ricorrenti in sede di comparsa conclusionale alla luce della frattanto intervenuta sentenza delle Sezioni Unite n. 4485/2018, depositata il 23 febbraio 2018 -, dinanzi al Tribunale di Imperia, in composizione collegiale, disponendo per la riassunzione del giudizio nel termine di cui all’art. 50 del codice di procedura civile, così da essere trattato il giudizio dal Giudice Collegiale competente ex art. 14 d.lgs. 150/2011, conformemente a quanto statuito in detta sentenza e senza distoglierli dal loro giudice naturale precostituito per legge’.
Il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia la v iolazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte di Genova ‘violato e/o falsamente applicato le norme in epigrafe, disponendo la compensazione integrale delle spese di lite, nonostante l’appellato avesse resistito all’impugnazione degli odierni ricorrenti, anche in sede di comparse conclusionali, depositate ben dopo la pronuncia della citata sentenza delle Sezioni Unite di Codesta Suprema Corte, che ha ritenuto di contrastare nell’affermazione dei due principii di diritto ivi enunciati, impegnando così la difesa degli allora appellanti in una articolata e defatigatoria replica’.
I ricorrenti premettono, in relazione alle prime due censure, che essi, ‘seppur vittoriosi in forza della sentenza qui censurata’, hanno ‘ comunque interesse ad impugnarla e non già perché dalla
rimessione della causa al Tribunale di Imperia, come previsto dall’art. 50 c.p.c., ne deriverebbe senz’altro una sentenza per loro più favorevole o, comunque, di accoglimento delle loro eccezioni, ma perché, dalla siffatta rimessione, vedrebbero cristallizzare il thema decidendum e probandum , come introdotto dall’AVV_NOTAIO, il quale, peraltro, nonostante non sia ancora passata in giudicato la sentenza qui impugnata, ha già promosso autonomo e distinto giudizio avente ad oggetto le medesime pretese, al netto di quella che era stata dichiarata estinta per prescrizione e delle riduzioni già operate dal primo Giudice in sede di prime cure’.
Non deve procedersi alla riunione tra il presente giudizio di cassazione e quello contraddistinto come R.G. 30879/2020. Si tratta di ricorsi proposti contro provvedimenti diversi pronunciati in separati giudizi. La riunione, pur attenendo a cause connesse, non garantisce l’economia ed il minor costo dei due giudizi, né favorirebbe la loro ragionevole durata.
Possono quindi esaminarsi congiuntamente i primi due motivi, giacché collegati.
Tali motivi vanno respinti.
5.1. I ricorrenti, benché la sentenza d’appello abbia dichiarato inammissibili le domande proposte nei loro confronti con il rito di cognizione ordinaria dall’ AVV_NOTAIO ed abbia perciò riformato la pronuncia di condanna resa dal Tribunale di Imperia, deducono il loro interesse ad impugnare la stessa decisione per non aver la Corte d’appello di Genova disposto la rimessione della causa al primo giudice; le prime due censure sostengono che il denunciato error in procedendo avrebbe cagionato a NOME COGNOME e NOME COGNOME un pregiudizio, tradottosi in soccombenza, consistente nella pronuncia d’inammissibilità della domanda
avversaria, a fronte dell’utilità giuridica che avrebbe arrecato una pronuncia di rigetto nel merito, idonea a passare in giudicato.
5.2. Due ordini di ragioni ostano all’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso.
5.2.1. Innanzitutto, questa Corte afferma costantemente che, allorché il giudice abbia ravvisato, anche di ufficio, un ostacolo all’esame della domanda dell’attore ed abbia dichiarato l’inammissibilità (o anche l’improponibilità o l’improcedibilità della stessa), senza esaminarla nel merito, il convenuto non può in alcun modo considerarsi soccombente, e difetta, pertanto, di interesse ad impugnare la relativa sentenza per ottenere una pronuncia (eventualmente) di rigetto dell’avversa pretesa (Cass. n. 13069 del 2003; n. 12960 del 2001; n. 4903 del 1998; n. 2284 del 1991).
5.2.2. Peraltro, è erroneo in radice il presupposto interpretativo da cui muovono le prime due censure.
Alla stregua del principio di diritto enunciato da Cass. sezioni unite 23 febbraio 2018, n. 4485, che non è qui in discussione, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze per prestazioni giudiziali dell’AVV_NOTAIO, resta soggetta al rito sommario di cognizione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 (nella formulazione applicabile ratione temporis ), anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’ an debeatur .
Doveva avere quindi applicazione in tale procedimento altresì la disciplina di mutamento del rito di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, secondo i principi enunciati nelle sentenze delle Sezioni Unite civili di questa Corte n. 758 e n. 927 del 2022. In particolare, la sentenza n. 758 del 2022 ha evidenziato che la disciplina sul mutamento del rito di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 150 del 2011 non
postula una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, non serve a valutare la legittimità degli atti di parte (e del giudice) adottati sino a quel momento alla stregua delle regole del nuovo rito, e neppure costituisce un presupposto per la salvezza dei relativi effetti, i quali si producono in relazione alle norme del rito iniziale, ma indica solo il discrimine temporale tra l’applicazione delle regole del rito iniziale e quelle del rito da seguire nel prosieguo del giudizio, consentendo alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire. In tal senso, l’ordinanza di mutamento del rito rivela una valenza costitutiva pro futuro e, a differenza di quanto previsto dagli artt. 426, 427 e 439 c.p.c., in forza dei quali il mutamento del rito può essere disposto anche in grado di appello, la prima udienza di comparizione delle parti nel sistema dell’art. 4 del d. lgs. n. 150 del 2011 costituisce uno sbarramento per il mutamento del rito, conseguendone la stabilizzazione del rito erroneo. Avvertiva la sentenza n. 758 del 2022 che neppure possono sorgere dubbi, in relazione al fenomeno del consolidamento del rito, nel caso in cui il giudice, non provvedendo al mutamento, ometta di rilevare la difformità dell’atto introduttivo dal modello legale astratto, atteso che dalla violazione delle regole sul rito processuale non deriva alcuna nullità, a meno che l’errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o abbia cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte.
Va perciò ribadita la conclusione raggiunta da ultimo nella sentenza n. 10864 del 2023: il riscontro, in sede di appello, dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario, anziché con il rito ex artt. 28 della l. n. 794 del 1942 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, impone al giudice d’appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi,
avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull’attività processuale in precedenza compiuta, né comportare la nullità della sentenza di primo grado o comunque la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c. Ciò evidenzia l’inconsistenza del fondo dei primi due motivi di ricorso.
5.2.3. Avendo, nella specie:
la Corte d’appello di Genova, pronunciando sull’appello spiegato da NOME COGNOME e NOME COGNOME contro la sentenza di primo grado, dichiarato inammissibili le domande formulate nei loro confronti ‘con il rito di cognizione ordinaria’ dall’ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
NOME COGNOME e NOME COGNOME domandato la cassazione della sentenza d’appello, ritenendo che il giudice d’appello avrebbe dovuto, piuttosto, rimettere le parti al primo giudice, perché procedesse in composizione collegiale (rinvio cui, in accoglimento delle censure prospettate, dovrebbe ora provvedere questa Corte, ai sensi dell’art. 383, comma 3, c.p.c.);
non può procedersi alla cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello perché proceda essa a decidere la causa nel merito, come sarebbe conforme ai richiamati principi di diritto, atteso che una siffatta pronuncia, incidendo sulla statuizione di inammissibilità delle domande proposte dall’ AVV_NOTAIO, da questo non impugnata (e rispetto alla quale gli originari convenuti non possono considerarsi soccombenti), si rivelerebbe più sfavorevole ai ricorrenti e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata e darebbe, quindi, luogo ad una reformatio in peius in danno dei primi.
E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso.
La Corte d’appello di Genova ha motivato la compensazione delle spese dell’intero giudizio per la ‘novità della questione’, avendo evidentemente riguardo al disposto dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d. l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale.
La questione dirimente era, del resto, quella affrontata e risolta dalla sentenza delle Sezioni Unite 23 febbraio 2018, n. 4485 (intervenuta, dunque, meno di tre mesi prima della sentenza della Corte d’appello di Genova). La stessa sentenza n. 4485 del 2018 affermò in quel giudizio che la ‘novità delle questioni esaminate’ giustificasse la compensazione delle spese processuali.
La valutazione espressa sul punto dalla Corte d’appello di Genova non è sindacabile in cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, avendo essa proceduto ad un corretto apprezzamento di merito della sussistenza dei motivi posti a fondamento dell’esercizio del correlato potere discrezionale di compensare le spese. La ravvisata (e sussistente) novità della questione interpretativa affrontata nella sentenza è intesa come sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo abbiano indotto ad agire o resistere in giudizio, e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata introdotta o è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese, sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la soccombenza, ossia di questioni decise (Cass. Sez. Unite, n. 2572 del 2012).
I ricorrenti limitano altrimenti le loro critiche alla sussistenza dei presupposti per la compensazione delle spese con riguardo alla sola fase decisoria del giudizio, giacché comunque successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione dirimente; tuttavia, una
volta accertata la conformità a diritto della compensazione delle spese, il sindacato di legittimità non può riguardare anche l’esercizio del potere discrezionale dei giudici del merito di compensare le stesse per intero o solo in parte.
7. Il ricorso va dunque rigettato.
Non occorre pronunciare sulle spese del giudizio di cassazione, in quanto l’intimato non ha svolto difese.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione