Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19228 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19228 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
Oggetto: Violazione con conseguente perdita del grado d’appello – Conseguenze.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 02499/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in INDIRIZZO, è elettivamente domiciliato.
-controricorrente –
Avverso l’ordinanza pronunciata in data 25 ottobre 2018 dal Tribunale di Venezia;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Venezia onde ottenerne la condanna, previo accertamento dell’attività professionale stragiudiziale svolta in materia civile e penale in suo favore, al pagamento del corrispettivo quantificato in € 13.070,75, comprensivi di Iva e accessori di legge, o nella somma ritenuta di giustizia, sostenendo che aveva ricevuto l’incarico professionale dalla convenuta nell’agosto del 2013 mediante il conferimento di due mandati, uno in materia civile e l’altro in materia penale, che ne aveva assunto la difesa volta ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti per il decesso del compagno convivente, verificatosi in conseguenza di un sinistro marittimo nel quale aveva perso la vita anche altra persona, e che, avviate le trattative, unitamente alla società che tutelava gli interessi dell’altra vittima, con la società assicuratrice della barca, la Unipol, che aveva proposto la liquidazione di € 90.000,00, oltre € 5.000,00 a titolo di spese legali, la convenuta, in data 28 settembre 2014, gli aveva revocato il mandato, omettendo di corrispondergli il compenso per l’attività prestata. Costituitasi in giudizio, NOME COGNOME contestò la pretesa attorea, chiedendone il rigetto ed eccependo, in via principale, l’inadempimento del difensore, sostanziatosi nel non averle mai riferito gli oneri economici da sostenere; in via subordinata, l’annullabilità del contratto di prestazione d’opera per vizio del consenso ex art. 1439 cod. civ., stante l’omessa informazione sui compensi dovuti; e, in via ulteriormente subordinata, l’incongruità degli importi richiesti rispetto all’attività svolta, che quantificò nella misura di € 2.500,00 ovvero in altra somma anche inferiore.
Con ordinanza del 25 ottobre 2018, il Tribunale di Venezia, dato atto che era stati dati i termini ex art. 183 cod. proc. civ. e che,
rigettate le istanze istruttorie, era stato disposto il mutamento di rito da ordinario a sommario ex art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011, dichiarò la propria competenza esclusivamente con riguardo ai compensi in materia civile, demandando la decisione sui compensi penali al giudice monocratico competente che avrebbe deciso ai sensi dell’art. 702 -bis e ss. cod. proc. civ., e condannò NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME della somma di € 8.824,76, comprensiva di Iva e accessori di legge, oltre ad interessi dalla liquidazione al saldo e alle spese del giudizio.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati anche con memoria. NOME COGNOME resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 28 l. 13 giugno 1942, n. 794 e dell’art. 14, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., e la nullità della sentenza per erronea applicazione del rito sommario speciale previsto per la liquidazione dei compensi all’avvocato in materia giudiziale civile , non contemplando l’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 l’attività stragiudiziale, sicché l’errore era stato commesso sia quando era stato mutato il rito ordinario in rito speciale ai sensi della predetta disposizione, sia quando i giudici non si erano avveduti della inapplicabilità di tale disposizione per l’attività stragiudiziale.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 9, comma 4, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, 13, comma 5, l. 31 dicembre 2012, n. 247, 1175 cod. civ., 27, comma 2, codice deontologico forense, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la decisione impugnata ritenuto impossibile per il
difensore, stante la complessità e lungaggine della trattativa seguita, formulare un preventivo al momento dell’incarico, senza considerare che gli obblighi informativi in ordine al compenso erano previsti dagli artt. 9, comma 4, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, 13, comma 5, l. 31 dicembre 2012, n. 247, 27 comma 2, del codice deontologico forense e 1175 cod. civ..
3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., e la violazione degli artt. 1175, 1176 e 1218 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto che la ricorrente non avesse contestato l ‘ allegazione avversaria a mente della quale essa si era sempre e solo interessata all’importo offerto dall ‘ RAGIONE_SOCIALE al netto delle spese legali e che tale circostanza autorizz asse l’AVV_NOTAIO a non riferire l’esatto ammontare delle somme offerte dall’RAGIONE_SOCIALE, asserzioni queste false e inverosimiglianti.
4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1460 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in conseguenza delle violazioni di legge deAVV_NOTAIOe nei precedenti motivi nn. 2 e 3, perché gli errori e violazioni di legge denunciati con il secondo e terzo motivo avevano condizionato le valutazioni dei giudici in ordine all’eccezione di inadempimento formulata dalla ricorrente e fondata sul fatto che il legale non soltanto non l’aveva informata, al momento dell’incarico, sui compensi professionali, ma le aveva sempre comunicato importi risarcitori più bassi rispetto a quelli offerti dalla compagnia assicuratrice, perché decurtati a monte delle sue spettanze, oltretutto sproporzionate ed eccessive rispetto all’opera prestata e al valore della controversia.
5. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1439 cod. civ. e degli artt. 1427, 1428, 1429 e 1431 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in conseguenza delle violazioni di legge deAVV_NOTAIOe nei precedenti motivi 2 e 3, nonché la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice di primo grado omesso la pronuncia sull’eccezione di annullabilità del contratto per errore determinante del consenso ai sensi degli artt. 1427, 1428, 1429 e 1431 cod. civ., limitandosi ad affermare che la stessa non aveva provato il comportamento doloso del legale, la cui natura rendeva peraltro impossibile quantificare il compenso al momento del conferimento dell’incarico.
6. Innanzitutto occorre rigettare le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal controricorrente per mancanza di coerenza tra le norme citate come asseritamente violate e le censure proposte, per la loro natura meritale e per difetto di specificità.
Quanto all’indicazione delle norme, ritiene il Collegio che l’eventuale erroneità sul punto non determini, diversamente da quanto ipotizzato dal controricorrente, l’inammissibilità della doglianza, atteso che, ai fini della ammissibilità del (motivo di) ricorso per cassazione, non è necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, né la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (cfr. Cass., Sez. 5, 23/5/2018, n. 12690; Cass., Sez. 3, 29/8/2013, n. 19882; Cass., Sez. 1, 24/3/2006, n. 6671) e che il vizio denunziato possa essere correttamente qualificato da questa Corte sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della
censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura stessa (Cass., Sez. 5, 10/1/2018, n. 12698; Cass., Sez. 5, 3/8/2012, n. 14026).
Quanto alla specificità, le doglianze prospettate dai motivi sono sufficientemente esposte e idonee a consentire a questa Corte di comprendere quale sia stato l’andamento del processo e di individuare i vizi ravvisati dalla ricorrente.
Il primo motivo è fondato, con assorbimento delle restanti censure.
Come noto, in seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. cit., può essere introAVV_NOTAIOa: a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702bis cod. proc. civ., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 segg. cod. proc. civ., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702bis segg. cod. proc. civ., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 cod. proc. civ., e deve essere decisa in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 50bis , secondo comma, cod. proc. civ., come peraltro confermato dall’art. 14, secondo comma, del ridetto d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso (Cass., Sez. 2, 18/9/2019, n. 23259; Cass., Sez. 6-1, 20/6/2018, n. 16186; Cass., Sez. U, 20/7/2012, n. 12609), mentre è esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito
ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702bis e segg. cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 23/2/2018, n. 4485).
Tali principi valgono però per i soli giudizi concernenti la liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali rese in materia civile, ma non anche per quelli volti al conseguimento di compensi per prestazioni professionali rese in ambito stragiudiziale e non inscindibilmente collegate alla difesa in giudizio (Cass., Sez. L, 13/2/2023, n. 4330; Cass., Sez. 2, 31/8/2023, n. 25543), rispetto ai quali, sia nel regime precedente all’introduzione dell’art. 14 d.lgs. 150/2011, che in quello in vigore, è applicabile non il rito speciale della liquidazione dei compensi di avvocato, ma il rito ordinario di cognizione ovvero, in alternativa, il procedimento sommario di cognizione ex art. 702bis cod. proc. civ. innanzi al tribunale in composizione monocratica (Cass., Sez. 2, 23/11/2022, n. 34501; Cass. Sez. 6 – 2, 11 marzo 2021, n. 6817; Cass. Sez. 2, 27 settembre 2016, n. 19025).
Nel caso di specie, non trovava dunque applicazione l’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, avendo il legale svolto soltanto attività stragiudiziale, come del resto accertato dagli stessi giudici di merito, la cui qualificazione non è stata oggetto di specifica censura, allorché hanno affermato che la redazione dell’atto di citazione era stata approntata solo come deterrente al fine di indurre la RAGIONE_SOCIALE ad intavolare la trattativa.
L’errore commesso dai giudici di merito, che , in contrasto con il dettato normativo sopra citato, hanno disposto la conversione del rito da ordinario a speciale per una fattispecie estranea a quest’ultimo , è peraltro ulteriormente aggravato dall’intervenuta violazione del rigido sbarramento temporale per il mutamento del rito che l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 150 del 2011, ha fissato
nella prima udienza di comparizione personale delle parti, essendo avvenuto, nella specie, dopo l’assegnazione dei termini per le memorie istruttorie, e tale violazione non è priva di conseguenze per le parti in relazione al regime di impugnazione, atteso che mentre l’ordinanza collegiale che conclude il procedimento speciale è ricorribile per cassazione, in base all’art. 14, comma 4, del menzionato decreto, la sentenza è impugnabile con l’appello (vedi Cass., Sez. 2, 9/1/2020, n. 186).
Orbene, se è vero che l’erronea applicazione di norme processuali non dà luogo ad alcuna nullità, non avendo queste alcuna copertura costituzionale (Cass., Sez. 1, 12/5/2021, n. 12567), è altrettanto vero che tale principio flette nelle ipotesi in cui la relativa violazione vada ad incidere sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o abbia cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio alle prerogative processuali protette della parte (Cass., Sez. 2, 24/4/2023, n. 10864; Cass., Sez. U, 12/1/2022, n. 758; Cass., Sez. 3, 27/1/2015; Cass., Sez. 2, 17/10/2014, n. 22075). Pregiudizio che deve ritenersi senz’altro esistente allorché, per effetto dell’erronea qualificazione dell’azione operata dal giudice di merito, la parte abbia perso un grado del giudizio riconosciutogli dalla legge, come accaduto nella specie.
A tale conclusione non osta il principio di apparenza, in virtù del quale l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione operata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall’esattezza di essa (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. ex multis , nn. 3712/11 e 26294/07), principio che va qui applicato e ribadito. Esso, infatti, assolve la funzione di esentare la parte dal rischio di individuare il mezzo d’impugnazione esperibile, ma non
preclude al giudice ad quem – e, in particolare, alla Corte di Cassazione – di verificare l ‘ esattezza dell ‘ anzidetta qualificazione (v. nn. 4021/80 e 1553/95), e di trarne, di riflesso, le eventuali conseguenze in punto (non di ammissibilità del mezzo, ma) di compromissione delle facoltà processuali.
Consegue da quanto detto la fondatezza della censura.
11. In conclusione, accolto il primo motivo e assorbiti gli altri, l’ordinanza deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del