Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1136 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 1136  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
Oggetto: revocazione -omesso esame d’una memoria difensiva – errore percettivo esclusione.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 19697/23 proposto da:
-) COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME  NOME ,  domiciliati ex  lege all’indirizzo  PEC  del  proprio difensore, difesi dall’AVV_NOTAIO ;
– ricorrenti –
contro
-) COGNOME  NOME ,  domiciliata ex  lege all’indirizzo  PEC  del  proprio difensore, difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ;
controricorrente –
nonché
-) RAGIONE_SOCIALE; NOME NOME;
intimati –
avverso l’ordinanza della Corte di cassazione 23 febbraio 2023 n. 5651; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
L’esposizione dei fatti di causa sarà circoscritta alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.
NOME  COGNOME  nel  1998  promise  di  vendere  un  immobile  a  NOME COGNOME  e  NOME  COGNOME.  I  promissari  acquirenti  vennero  immessi contestualmente nel possesso dell’immobile.
Il  contratto  definitivo  non  fu  mai  stipulato  e  le  due  parti  nel  2000  si convennero a vicenda in separati giudizi dinanzi al Tribunale di Bari.
NOME COGNOME  volontariamente rappresentata dal marito, NOME COGNOME  –  domandò  che  il  preliminare  fosse  dichiarato  risolto  a  causa dell’inadempimento  dei  promissari  acquirenti;  questi  ultimi  chiesero  una sentenza  costitutiva  ex  art.  2932  c.c.  adducendo  l’ inadempimento  della promittente venditrice.
 Nel  corso  del  giudizio  NOME  COGNOME (come s’è detto, procuratore ad negotia della  promittente  venditrice)  fu  dichiarato  fallito,  e  la  domanda proposta da NOME COGNOME fu coltivata dalla curatela fallimentare.
All’esito di un lungo processo, con sentenza 18.6.2015 n. 2777 il Tribunale di Bari:
-)  dichiarò  risolto  il  preliminare  per  inadempimento  dei  promissari acquirenti;
-)  condannò  questi  ultimi al  rilascio  dell’immobile,  al  pagamento dell’indennità di occupazione e della penale ;
-) dichiarò inammissibile l’intervento in causa della RAGIONE_SOCIALE. La sentenza fu appellata in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE e in via incidentale da  NOME  COGNOME  e  dagli  eredi  di  NOME  COGNOME,  nel  frattempo deceduto (NOME COGNOME,  NOME COGNOME  e  NOME COGNOME).
La Corte d’appello di Bari con sentenza 24.10.2019 n. 2226 rigettò ambo gli appelli.
 La  sentenza  d’appello  fu  impugnata  per cassazione in via principale da NOME COGNOME e dagli eredi di NOME COGNOME (NOME COGNOME,  NOME  COGNOME  e  NOME  COGNOME);  ed  in  via incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE del fallimento di NOME COGNOME.
Questa Corte, con ordinanza 23.2.2023 n. 5651, premesso (p. 3) che il ricorso COGNOME–COGNOME era fondato su otto motivi, ne accolse uno solo (il quinto); dichiarò assorbito l’ottavo (inerente alle spese di lite); rigettò i restanti motivi e cassò con rinvio la sentenza impugnata. La decisione fu motivata col rilievo che la Corte d’appello aveva condannato d’ufficio gli occupanti dell’immobile a rilasciarlo, senza che una domanda in tal senso fosse mai stata formulata da NOME COGNOME. Infine, la suddetta ordinanza rigettò integralmente il ricorso incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE fallimentare.
 La  suddetta  sentenza  è  stata  impugnata  da  NOME  COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso  per  revocazione,  proposto  ai  sensi  dell’art.  395,  n.  4,  c.p.c. ed illustrato da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo i ricorrenti prospettano una censura che può essere riassunta come segue:
-)  l’originario  ricorso  per  cassazione,  deciso  dall’ordinanza  di  cui  si chiede la revoca, fu notificato con contenuti parzialmente difformi rispetto al testo depositato in cancelleria;
-) infatti il ricorso notificato conteneva sette motivi di impugnazione, mentre quello depositato (ed esaminato) ne conteneva otto;
-) la ‘reale’ impugnazione che i ricorrenti intesero proporre era quella illustrata nella copia notificata, non quella illustrata nella copia depositata;
-) questa difformità fu segnalata con la memoria illustrativa depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
-)  la  Corte  di  cassazione  tuttavia  ha  esaminato  e  deciso  i  motivi  di ricorso  per  come  illustrati  nella  copia  del  ricorso  depositata  in  Cancelleria ( scilicet, quella erronea), e non per come illustrati nella copia notificata;
-) la difformità tra le due copie riguardava una parte dell’esposizione dei fatti di causa, nonché i motivi primo, secondo e terzo;
-)  in  particolare,  la  copia  depositata  era  priva  di  vari  brani  di  testo presenti invece nella copia notificata; e nell’illustrazione dei motivi primo e terzo mancava il richiamo alla violazione, da parte della sentenza impugnata, all’art . 1492 c.c.;
-) se la Corte di cassazione avesse esaminato il testo del ricorso che la parte intese effettivamente proporre (e cioè la versione notificata), l’esito del giudizio sarebbe stato verosimilmente diverso.
L’illustrazione del ricorso si conclude affermando che l’ordinanza revocanda non  ha,  per  errore  per cettivo,  compiuto  il  ‘ il  fedele  esame ‘  dei  motivi  di ricorso,  né  della  memoria illustrativa,  ove  era  ben  evidenziato  l’errore commesso dagli allora ricorrenti.
2. Il motivo è manifestamente inammissibile, e comunque infondato.
In primo luogo è inammissibile perché quello che (in tesi) viene ascritto all’ordinanza impugnata non è un errore percettivo.
La Corte infatti ha esaminato e deciso il ricorso effettivamente disponibile, ovvero quello depositato in cancelleria.
I ricorrenti lamentano che non sarebbe stata esaminata la memoria nella quale avevano segnalato la difformità tra il ricorso notificato e quello depositato: ma a tale allegazione va replicato, da un lato, che l’omesso esame d’una prospettazione contenuta nella memoria è un errore di diritto e non un errore percettivo; e dall’altro lato che nell’ordinanza impugnata si dà conto dell’avvenuto deposito di quella memoria. La Corte dunque ha avuto presente l’avvenuto deposito della memoria, il che esclude la conf igurabilità d’un errore di percezione.
Questo può consistere infatti nel non avvedersi che non sia stato depositato un certo atto; non già nel trascurare il contenuto d’un atto di cui il Giudice dichiara  l’avvenuto  deposito (cfr.,  per  la  dimostrazione a  contrario ,  Cass. 8939 del 2021 e Cass. 17379 del 2022, le quali hanno accolto  altrettanti ricorsi per revocazione sul presupposto che i provvedimenti impugnati non avevano dato atto dell’avvenuto deposito d’una memoria difensiva).
Se infatti il Giudice dà conto del deposito d’un provvedimento, ma non ne esamina il contenuto, ciò vuol dire che ha ritenuto irrilevanti le argomentazioni in esso svolte. Lo stabilire poi se tale giudizio di irrilevanza fosse giusto o sbagliato, questa non è questione denunciabile ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c..
In secondo luogo, se anche si reputasse sussistente un errore di fatto, esso non sarebbe ‘decisivo’ per i fini di cui all’art. 395 c.p.c..
Gli odierni ricorrenti infatti pretendono – in buona sostanza – che la Corte di cassazione avrebbe dovuto esaminare non il ricorso da essi depositato, ma quello segnalato dalla memoria ed ivi trascritto.
Ma questa pretesa, se si bada alla realtà delle cose e non al nome con cui i ricorrenti le qualificano, si risolve nella pretesa di far esaminare dal giudice una impugnazione diversa da quella depositata nel termine di cui a ll’art . 369 c.p.c., con istanza avanzata dopo detto termine e nemmeno corredata da una istanza di remissione in termini (istanza, per di più, non accoglibile per difetto del requisito della incolpevolezza della decadenza).
Dal che consegue a fil di logica che delle due l’una:
-) se il ricorso depositato era davvero decisivamente diverso da quello notificato,  come  pretendono  i  ricorrenti,  l’intera  impugnazione  si  sarebbe dovuta dichiarare improcedibile, e gli odierni ricorrenti non hanno interesse ex art. 100 c.p.c. a domandare la revocazione , perché l’esito del giudizio non sarebbe potuto essere diverso;
-) se invece il ricorso depositato, pur presentando difformità formali, nella  sostanza  conteneva  le  medesime  censure  formulate  nel  ricorso notificato,  allora  tali  censure  sono  state  esaminate  e  rigettate,  e  nessun ‘errore decisivo’ è predicabile.
 Se  poi  si  potesse  esaminare  il ‘ merito ‘  della  prospettazione  di  parte ricorrente,  non  emergerebbe  come  conseguenza  nessun  (preteso)  errore percettivo e nessun ‘ infedele esame’ dei motivi di ricorso.
Infatti tutte le differenze tra copia notificata e copia depositata, enfatizzate dai  ricorrenti  come  ‘decisive’  rispetto  all’esito  del  giudizio,  sono  in  realtà irrilevanti.
5.1.  I  ricorrenti  sostengono  che  fu  errore  decisivo  il  non  avere  la  Corte rilevato, nelle pp. 2-3 della copia difforme, la mancanza d’un periodo in cui si dava conto delle difese svolte dai convenuti in primo grado.
Ciò è irrilevante: sia perché la lacuna riguarda lo svolgimento del processo e non i  motivi  di  impugnazione;  sia  perché  l’ordina nza revocanda mostra di avere  ben  compreso  quali  difese  e  quali  domande  riconvenzionali  furono svolte dai convenuti in primo grado.
5.2.  I  ricorrenti  sostengono  che  fu  errore  decisivo  il  non  avere  la  Corte rilevato,  a  p.  19 della  copia  difforme,  la  mancanza  d’un  periodo  in  cui a conclusione del primo motivo di ricorso si invocava la garanzia per i vizi di cui all’art. 1492 c.c..
E’ un’allegazione inconsistente.
Il  primo  motivo  di  ricorso,  tanto  nella  copia  notificata  quanto  in  quella depositata , prospettava il vizio di extrapetizione, per avere la Corte d’appello –  in  tesi  –  pronunciato  su  una  domanda  di  risoluzione  rinunciata  e  poi riproposta dopo la rinuncia. E su questa censura la ordinanza revocanda ha puntualmente pronunciato.
Il passo presente nella copia notificata ed assente nell’altra , al quale i ricorrenti – con non poca nonchalance – assegnano un valore così decisivo da far dipendere da esso addirittura l’esito dell’intero ricorso, non è che un mero periodo ipotetico, non una censura. In esso infatti si afferma semplicemente che la Corte d’appello, invece di rigettare la domanda dei promissari acquirenti, ‘ avrebbe dovuto accoglierla a corrispe ttivo ridotto’ , per effetto della invocazione della garanzia per i vizi. Un’affermazione, dunque, la cui presenza o la cui mancanza nulla toglie e nulla aggiunge al contenuto della censura proposta ed esaminata dalla Corte di cassazione.
5.3.  I  ricorrenti  sostengono  che  fu  errore  decisivo  il  non  avere  la  Corte rilevato, nelle pp. 21-24 della copia difforme, la mancanza di vari periodi che illustravano il secondo motivo di ricorso.
Anche tale difformità sarebbe stata irrilevante.
Il secondo motivo del ricorso deciso dall’ordinanza revocanda denunciava la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, nella parte in cui aveva ritenuto prevalente e più grave l’inadempimento dei promissari acquirenti, rispetto a quello contestato alla promittente venditrice. La Corte di cassazione con l’ordinanza revocanda ha stabilito che la sentenza impugnata era ‘ adeguatamente motivata’ (p. 6), sicché nessun ‘infedele esame’ della censura è prospettabile. I brevi passaggi segnalati come assenti nella copia del ricorso depositata non contengono che mere proposizioni incidentali, domande retoriche o semplici auspici sull’esito del giudizio, che anche in questo caso non hanno potuto falsare la corretta percezione della censura da parte dell’organo giudicante.
5.4.  I  ricorrenti  sostengono  che  fu  errore  decisivo  il  non  avere  la  Corte rilevato,  in  alcuni punti  dell’illustrazione  del  terzo  motivo  contenuta  n ella copia difforme (pp. 26, 27, 40, 41, 42, 44), la mancanza di vari periodi, ed in particolare di passaggi nei quali si ‘ richiamava l’art. 1492 c.c. ‘.
Anche tale censura è inconsistente.
Nel giudizio di merito gli odierni ricorrenti chiesero in via riconvenzionale una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., previa riduzione del prezzo concordato nel preliminare a causa della contestata esistenza di vizi redibitori.
La  domanda  di  riduzione  del  prezzo  ex  art.  1492  c.c.  ovviamente  restò assorbita dal rigetto della domanda ex art. 2932 c.c..
Col terzo motivo dell’originario ricorso, per come illustrato tanto nella copia notificata  quanto  in  quella  depositata,  i  promissari  acquirenti  censurarono l’accoglimento della domanda di risoluzione proposta da NOME COGNOME ed il rigetto della riconvenzionale da essi proposta.
Quindi la  sentenza  d’appello  non  si  occupò né  statuì  alcunché  in  tema  di garanzia per i vizi, pretesa rimasta assorbita. Pertanto qualsiasi (per di più
fugace) accenno all’art. 1492 c.c., contenuto nella copia notificata ed assente in quella depositata, in nessun modo poteva alterare le sorti del giudizio, per l’ovvia ragione che investiva una questione che non fu mai sub iudice .
Anche in questo caso, pertanto, la difformità enfatizzata dai ricorrenti come ‘decisiva’ fu in realtà insignificante.
5.5. La domanda di condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c. va rigettata. Il ricorso infatti è sì manifestamente inammissibile, ma la manifesta inammissibilità di per sé non necessariamente costituisce indice di mala fede, e nel caso di specie non sussistono indici certi dai quali desumere che il ricorso fu proposto con la consapevolezza della sua inammissibilità.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-)  condanna  COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME,  COGNOME NOME,  COGNOME  NOME,  in  solido,  alla  rifusione  in  favore  di  NOME COGNOME delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 7.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55, che si distraggono – come richiesto in favore dell’AVV_NOTAIO;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto  per  il  ricorso  a  norma  del  comma  1bis dello  stesso  art.  13,  se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 15 novembre 2025.
Il Presidente (NOME COGNOME)