Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20856 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20856 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 15846/23 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE , in persona del curatore pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
per la revocazione dell’ ordinanza della Corte di Cassazione 2 febbraio 2023 n. 3228;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2023 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Nel 2014 la società RAGIONE_SOCIALE vendette alla società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, per brevità, ‘la RAGIONE_SOCIALE‘) vari terreni per l’importo complessivo di euro 290.000, oltre IVA.
Nel 2015 la società venditrice fu dichiarata fallita.
Nel 2016 il curatore fallimentare convenne dinanzi al Tribunale di Venezia la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la vendita fosse dichiarata inefficace ai sensi dell’art. 66 l. fall.
Oggetto:
revocazione
Con sentenza 10.1.2020 n. 75 il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo non provato l’ eventus damni .
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 849/22 accolse il gravame e dichiarò inefficace la vendita.
La sentenza d’appello fu impugnata per cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE, con ricorso fondato su tre motivi.
Questa Corte, con ordinanza 2.2.2023 n. 3228 dichiarò inammissibile il ricorso senza esaminarlo nel merito, sul presupposto che né il ricorso, né la procura ad esso allegata, indicavano in modo chiaro e leggibile il nome del legale rappresentante della società ricorrente.
L’ordinanza suddetta è stata impugnata per revocazione ex artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c. dalla RAGIONE_SOCIALE.
Il fallimento ha resistito con controricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Giudizio rescindente.
Col motivo unico di revocazione la RAGIONE_SOCIALE deduce che l’ordinanza 3228/23 di questa Corte è incorsa nei seguenti errori percettivi (in ordine logico ex art. 276 c.p.c., e non nell’ordine cui sono illustrati nel ricorso):
non si è avveduta che la sottoscrizione del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in calce alla procura era perfettamente leggibile;
non si è avveduta che, in ogni caso, le generalità del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE emergevano sia da vari atti depositati nel corso del giudizio, sia dalle stesse difese della controparte, le quali mostravano che il Fallimento sapesse benissimo chi fosse l’amministratore e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il motivo è fondato.
La firma apposta in calce alla procura speciale è infatti redatta con caratteri grafici di così solare evidenza, che ne risulta esclusa l’illeggibilità, di modo
che solo ipotizzando un errore percettivo può spiegarsi la contraria affermazione di ‘illeggibilità’ formulat a dall’ordinanza di cui si è chiesta la revocazione.
I nomi ed il cognome del sottoscrittore sono redatti separatamente, le lettere sono ben evidenti, le iniziali maiuscole facilitano la comprensione.
Dunque l’affermazione dell’ordinanza revocanda, secondo cui la sottoscrizione era ‘illeggibile’ non costituì un giudizio sull’interpretazione d’un atto (concepibile solo a fronte di un testo ambiguo), come tale non censurabile ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.. Costituì invece un vero e proprio errore di percezione.
1.2. L’ordinanza impugnata va dunque revocata, e deve procedersi all’esame dei motivi dell’originario ricorso per cassazione.
2. Giudizio rescissorio.
Col primo motivo la sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto sussistente l’eventus damni .
Nella illustrazione del motivo sono ascritti alla sentenza d’appello i seguenti errori:
avere considerato la consistenza patrimoniale della venditrice RAGIONE_SOCIALE, poi dichiarata fallita, non al momento del compimento dell’atto dispositivo (2014), ma cinque anni dopo (2019), in base alle risultanze del piano di riparto parziale depositato dal curatore;
non avere considerato che, una volta ritenuto irrilevante il suddetto piano di riparto al fine di stabilire quale fosse il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla data di compimento dell’atto revocando, la domanda attorea si sarebbe dovuta rigettare per difetto di prova dell’ eventus damni ;
avere adottato una motivazione nulla per insanabile contraddittorietà, per avere dapprima affermato in diritto che la consistenza del patrimonio del disponente va valutata all’epoca del compimento dell ‘atto revocando, e poi avere ritenuto sussistente l’ eventus damni in base ad un atto che dimostrava quale fosse la consistenza patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE cinque anni dopo il compimento dell’atto e quattro anni dopo il fallimento .
2.1. Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato, per plurime ragioni.
2.2. In primo luogo il ricorso, in violazione dell’onere imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366, nn. 4 e 6 c.p.c., non chiarisce, né descrive, né riassume, gli elementi testuali del piano di riparto, dal quale dovrebbe desumersi che quel documento nulla consentiva di stabilire circa la consistenza patrimoniale della società venditrice al momento del compimento dell’atto revocando.
2.2. In secondo luogo, il giudice di merito dopo avere premesso che la consistenza patrimoniale del venditore va accertata ‘ al tempo del compimento del negozio’ (p. 8, primo rigo., della sentenza impugnata), ha ritenuto in facto che ‘ per quel periodo’ la società venditrice aveva debiti per 2,2 milioni di euro (p. 8, ultimo capoverso). Aggiungasi che nel ricorso non si offre alcuna precisa descrizione del documento di cui trattasi, da cui possa risultare che esso nulla consentisse di stabilire circa la consistenza patrimoniale del debitore all’epoca del compimento dell’atto .
2.3. In terzo luogo – lo si rileva ad abundantiam l ‘atto dispositivo oggetto di revocazione fu una vendita immobiliare, avvenuta ad un prezzo che la Corte d’appello ha accertato – con valutazione insindacabile in questa sede – essere la metà rispetto a quello corrente di mercato.
Quell’atto dunque ridusse il patrimonio della RAGIONE_SOCIALE sia qualitativamente – noto essendo che nella composizione del patrimonio del debitore la sostituzione di beni immobili con denaro rende più difficoltosa l’esazione del credito -, sia quantitativamente.
E poiché si trattò di depauperamento oggettivamente consistente, tanto bastava ad integrare l’ eventus damni (Sez. 1, Sentenza n. 13881 del 06/07/2015, Rv. 635829 – 01).
Correttamente pertanto il giudice di merito, dopo avere accertato in facto il depauperamento del venditore e la rilevanza dello stesso, ha ritenuto sussistente l’ eventus damni .
Col secondo motivo del ricorso originario la sentenza d’appello è censurata per avere posto a fondamento della propria decisione un documento (il piano di riparto parziale dell’attivo fallimentare) che il fallimento aveva depositato solo con la comparsa conclusionale in primo grado.
L’illustrazione del motivo può così riassumersi:
-) il fallimento produsse, insieme alla comparsa conclusionale, il piano di riparto parziale dell’attivo fallimentare, dal quale emergeva una liquidità del fallimento di soli 0,97 milioni di euro, a fronte di debiti per 2,5 milioni di euro;
-) la Corte d’appello ritenne ammissibile la produzione di quel documento, perché formato il 15.7.2019, ovvero dopo la precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado;
-) quel documento, tuttavia, non era che il resumé di atti di liquidazione necessariamente compiuti ben prima; esso pertanto non poteva ritenersi tempestivamente prodotto, perché sarebbe stato onere del fallimento dimostrare il ricavato dei vari atti di liquidazione a mano a mano che venivano compiuti (pp. 16-17).
3.1. Il motivo resta assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.
In ogni caso – lo si rileva anche in questo caso ad abundantiam la parte che venga in possesso di un documento formato dopo la precisazione delle conclusioni può legittimamente chiedere di essere rimessa in termini ex art. 153 c.p.c., sicché sotto questo profilo la sentenza è conforme a diritto.
Altra questione è stabilire se quel documento sia riproduttivo di altri documenti, e quale efficacia probatoria possa avere. Ma tale questione riguarda la valutazione della prova, è riservata al giudice di merito ed insindacabile in questa sede.
La Corte d’appello dunque, accertato che il piano di riparto recava la data del 15.7.2019, correttamente ne ha ammessa la produzione; lo stabilire poi se il contenuto di quel documento dimostrasse o non dimostrasse quante e quali
vendite dei beni ricompresi nell’attivo fallimentare il curatore avesse già eseguito, e per quali importi, non è questione sindacabile in sede di legittimità.
Col terzo motivo la sentenza d’appello è censurata per non avere compensato le spese, nonostante la domanda attorea fosse stata accolta solo in parte.
4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto la scelta di compensare o meno le spese è riservata al giudice di merito e non sindacabile in questa sede (in termini, ex multis , Cass. n. 14989 del 2005).
In ogni caso la soccombenza reciproca o l’accoglimento parziale della domanda facoltizza , ma non obbliga , il giudice a compensare le spese.
Le spese del giudizio di revocazione vanno compensate, in considerazione dell’esito complessivo della lite.
Le spese del giudizio di legittimità sull’impugnazione della sentenza di merito seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo
P.q.m.
(-) revoca l’ordinanza di questa Corte 2 febbraio 2023 n. 3228;
(-) decidendo sul ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 849 del 2022, rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di revocazione;
(-) condanna RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore del Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 4.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della