Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7148 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1521/2023 R.G. proposto da :
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore , e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici ex lege domiciliano in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato presso il suo recapito digitale con indirizzo pec; -controricorrente- per la cassazione del decreto della Corte di appello di Trieste n. 346/2022, depositato il 14 giugno 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 ottobre 2024 dal Consigliere, NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso ex art. 3 l. 89/2001, NOME COGNOME chiedeva alla Corte di Appello di Trieste che fosse ingiunto al Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento di un equo indennizzo per i danni non patrimoniali subiti a causa dell’irragionevole durata del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato con sentenza del Tribunale di Udine del 11.02.2008 e definito con decreto di chiusura del 7.04.2021.
Con decreto emesso il 19.11.2021, la Corte di Appello di Trieste, in accoglimento della domanda di equa riparazione, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di € 3.200,00 a titolo di equa riparazione, oltre ad accessori di legge. Il ricorso e il decreto venivano notificati al Ministero dell’Economia e delle Finanze presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste.
2. -Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Giustizia proponevano opposizione avverso il decreto, chiedendone l’annullamento. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze eccepiva il proprio difetto di titolarità passiva del rapporto obbligatorio, evidenziando come, essendosi il procedimento presupposto svolto dinanzi al giudice ordinario, la domanda doveva essere proposta nei confronti del Ministero della Giustizia, secondo quanto stabilito dall’art. 3 della l. 89/2001. D’altra parte, sottolineava come l’erronea individuazione del soggetto avverso cui proporre la domanda non potesse essere inteso quale un mero lapsus calami, essendo stato il ricorso, con il pedissequo decreto, notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, da considerarsi però estraneo rispetto alla pretesa fatta valere in giudizio.
Il Ministero della Giustizia si doleva dell’assoluta illegittimità della ‘rettifica’ operata ex officio dall’autorità giudicante rispetto all’erronea individuazione del soggetto passivo tenuto all’indennizzo operata dalla parte istante, con conseguente chiara violazione del canone processuale ne procedat iudex ex officio . Censurava, inoltre, l’inefficacia del decreto per mancata notifica nel termine di trenta
giorni previsto dall’art. 5, co. 2, della l. 89/2001, dal momento che alcuna notifica era stata effettuata dalla controparte nei confronti del medesimo Ministero.
Alla prima udienza, la Corte d’Appello di Trieste , ordinava la notificazione al Ministero della Giustizia del ricorso, del decreto e del verbale di udienza. Il collegio rilevava che il decreto era stato emesso nei confronti del Ministero della Giustizia, soggetto nei cui confronti deve essere proposta la domanda ai sensi dell’art. 3 co. 2 l. 89/2001, in quanto il Consigliere delegato aveva ritenuto ricorrere un mero errore materiale nell’identificazione del Ministero convenuto, non richiedente rinnovazione dell’atto ex art. 4 l. 260/1958. Si evidenziava, inoltre, che il decreto era stato erroneamente notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze e che anche tale errore costituiva irregolarità sanabile ai sensi dell’art. 4 l. 269/1958, secondo il quale l’errore di identificazione delle soggettività di diritto pubblico patrocinate dall’Avvocatura dello Stato, alle quali l’atto introduttivo e ogni altro atto debba essere notificato, non può comportare l’inammissibilità della doma nda, ma impone al giudice di fissare un termine entro il quale rinnovare l’atto .
Con decreto n. 346/2022, depositato il 14.06.2022, la Corte di Appello di Trieste respingeva l’opposizione.
-Avverso tale decreto il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
NOME COGNOME si è costituito con controricorso.
-A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, i ricorrenti hanno chiesto la decisione.
Parte controricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso, si censura un error in procedendo : violazione e falsa applicazione dell’art. 101 cod. proc.
civ. (principio del contraddittorio) e 24 Cost.; violazione dell”art. 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato); violazione dell’art. 3, comma 3, della legge n. 89/2001 e dell’art. 4, l. n. 260/1958, in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ. La sentenza impugnata sarebbe errata per aver la Corte di Appello respinto il motivo di opposizione per essere stato emesso nei confronti del Ministero della Giustizia, mai convenuto in giudizio. Contrariamente al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), nonché in spregio del contraddittorio processuale (art. 101 cod. proc. civ.) la Corte adita ha, inspiegabilmente, emesso il decreto di accoglimento della domanda di parte, avanzata verso il solo Ministero dell’Economia e delle Finanze , nei confronti del Ministero della Giustizia. Tuttavia, la Corte di Appello ha ritenuto di modificare d’ufficio la domanda, emettendo il decreto di condanna, ex l. 89/2001, nei confronti del Ministero della Giustizia.
Successivamente, dunque, alla notifica del decreto così emesso (effettuata dal ricorrente, comunque, verso il MEF), il Ministero della Giustizia proponeva opposizione, poiché non evocato in giudizio, e pertanto emesso nei suoi confronti senza il rispetto del contraddittorio.
La Corte di Appello, in sede di opposizione, alla prima udienza del 5.04.2022 concedeva solo termine alla parte per notificare il decreto nei confronti del Ministero della Giustizia, non considerando che la suddetta violazione, compiuta in primo grado dalla Corte, non poteva essere in alcun modo sanata. La stessa Corte di Appello, in sede di decisione, ha ritenuto irrilevante la circostanza secondo cui il decreto Pinto era stato emesso nei confronti di un Ministero mai convenuto in giudizio.
La Corte adita in sede di appello avrebbe invece dovuto accogliere il motivo di ricorso, posta l’assoluta illegittimità del decreto di condanna, emesso ex l. n. 89/2001, siccome reso nei confronti di una parte (il Ministero della Giustizia) mai evocata in
causa, come invece previsto dall’art. 3, comma 3, l. n. 89 del 2001. Peraltro, la decisione impugnata, resa dalla Corte d’Appello, sarebbe illegittima in quanto non rende giusta applicazione dei principi processuali richiamati mentre applica, al caso di specie, l’art. 4 della l. n. 260/1958, che non appare conferente. Secondo quanto evidenziato nel ricorso , l’art. 4 della l. n. 260/1958 non poteva giustificare, in primo grado, la modifica d’ufficio operata dalla Corte d’Appello, considerando che il procedim ento ex l. COGNOME si è articolato in due fasi, la prima delle quali si svolge, come è noto, senza contraddittorio e, conseguentemente, senza che l’Avvocatura, nell’interesse del Ministero (ovviamente non costituito), potesse sollevare l’eccezione di cui all’art. 4 ste sso. Come emerge dagli atti processuali, apparirebbe dunque violato il principio del contraddittorio processuale, di cui all’art. 101 cod. proc. civ., diretto corollario del diritto di difesa (art. 24, 111 Cost.).
Il principio del contraddittorio, sancito nel rito civile dall’art. 101 cod. proc. civ. , prevede che ‘il giudice, salvo che la legge non disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa’.
Apparirebbe, altresì, violato il principio della domanda che governa il processo civile (art. 99 cod. proc. civ.) e quello di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), che ne rappresenta il diretto corollario. Infatti, l’Autorità adita in sede civile non può modificare la domanda di parte d’ufficio, dovendo attenersi ai limiti di essa, sotto un punto di vista soggettivo (le parti in causa) ed oggettivo (la domanda). La Corte di Appello, adita in sede di opposizione, avrebbe erroneamente ritenuto corretta la modifica della parte pubblica, dal lato passivo, operata d’ufficio in primo grado, con conseguente condanna del Ministero della Giustizia.
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 l. 260/1958, 5 l. 89/2001 e 153 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. denunciando un ulteriore profilo di illegittimità. Si evidenzia, infatti, che con l’opposizione ex art. 5 ter l. 89/2001, spiegata dal Ministero della Giustizia, era stata eccepita anche l’inefficacia del decreto monitorio perché non notificato al Ministero della Giustizia nel termine di trenta giorni previs to dall’art. 5 della c.d. legge Pinto. Il Collegio triestino, dopo aver richiamato Cass. Civ. 26 giugno 2019, n. 17150 e dopo aver inammissibilmente legittimato la condanna emessa nei confronti di un soggetto (Ministero della Giustizia) diverso da quello (Ministero dell’Economia e delle Finanze ) nei cui confronti era stata proposta la domanda, ha ritenuto infondata l ‘ eccezione richiamando una pronuncia della Corte (Cass. Civ. 17150/2019) che è stata emessa in un giudizio nel quale si applicava l’art. 3 l. 8 9/2001 nella versione antecedente alla modifica apportata dall’art. 55, comma 1, lettera c), d.l. 83/2012. Prima di tale momento, il procedimento disciplinato dalla legge Pinto non si articolava in due fasi (la prima destinata a concludersi con il decreto monitorio emesso inaudita altera parte e la seconda, a contraddittorio pieno, aperta per il tramite dell’eventuale opposizione proposta dal soggetto pubblico ingiunto), ma in un’unica fase a contraddittorio pieno fin dall’inizio. Diverso sarebbe il caso oggetto del presente giudizio, il quale è disciplinato interamente dall’attuale versione dell’art. 3 l. 89/2001, che prevede un procedimento la cui prima fase si svolge in assenza dell’Amministrazione destinataria della pretesa di pagamento. Ciò precluderebbe l’operatività dell’art. 4 l. 260/1958 nel caso di specie: infatti, per quanto si possa interpretare estensivamente la suddetta norma, sarebbe evidente che la stessa presupponga un’eccezione di parte e, quindi, la presenza di quella parte in giudizio.
Questo errore avrebbe condotto la Corte d’Appello a commetterne un altro, cioè quello di rimettere in termini l’odierno resistente in applicazione dell’art. 4 l. 260/1958. Assegnando d’ufficio un nuovo termine per la notifica ex art. 5 l. 89/2001, il Collegio triestino avrebbe finito per porsi in insanabile contrasto con Cass. Civ. 9 novembre 2021, n. 32938, secondo cui la richiesta di rinnovazione della notifica dell’atto ex art. 4 l. 260/1958 presuppone l’eccezione di parte, nonché con il più generale pri ncipio della rimessione in termini, sancito dall’art. 153, comma 2, cod. proc. civ., la cui operatività è subordinata alla richiesta di parte.
1.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, l’ingiunzione prevista dall’art. 3 della l. n. 89 del 2001 non ha i caratteri della definitività, atteso che contro di essa è proponibile l’opposizione al collegio, di cui all’art. 5 ter , che non è un mezzo d’impugnazione del decreto monocratico limitato dai motivi di censura, bensì un rimedio processuale ad ampio spettro, che attua il contraddittorio sulla fondatezza della domanda indennitaria, senza limitazione di temi (Cass., Sez. VI-2, 12 ottobre 2015, n. 20463), esperibile anche quando il giudice della fase monitoria abbia deciso una questione di mero rito (Cass., Sez. VI-2, 18 giugno 2020, n. 11856).
L’erronea evocazione in giudizio di un ministero al posto di un altro comporta che il giudice -a pena di nullità della sentenza di primo grado e conseguente rimessione della causa al primo giudice -fissi un termine per il rinnovo della notifica e la corretta instaurazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 260 del 1958, purché l’Avvocatura dello Stato sollevi la relativa eccezione nella prima udienza, indicando, altresì, il soggetto cui l’atto avrebbe dovuto essere notificato (Cass., Sez. II, 21 settembre 2021, n. 25499). È infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa
S.C. -anche in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo -che l’art. 4 della l. n. 260 del 1958 deve ritenersi applicabile quando l’errore d’identificazione riguardi distinte e autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ma, in forza del principio dell’effettività del contraddittorio, la sua operatività è circoscritta al profilo della rimessione in termini, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di “stabilizzazione” nei confronti del reale destinatario, in funzione della comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio (Cass., Sez. II, 21 marzo 2019, n. 8049 che ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile un ricorso notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze senza disporre la rinnovazione della notifica al Ministero della Giustizia, amministrazione che, invece, avrebbe dovuto essere parte del giudizio).
D’altronde, è altrettanto pacifico che in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, non può essere proposta opposizione al decreto di ingiunzione ai sensi dell’art. 5 ter della l. n. 89 del 2001, al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia del decreto in conseguenza della nullità della sua notificazione, essendo tale procedimento assoggettato allo stesso principio affermato con riguardo al procedimento monitorio, secondo il quale la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo rileva unicamente per consentire la proposizione dell’opposizione tardiva (art. 650 cod. proc. civ.) e non anche per conseguire la declaratoria d’inefficacia del decreto (artt. 644 cod. proc. civ. e 188 disp. att. cod. proc. civ.), la quale può esser pronunciata solo in caso di mancata notifica o di notifica giuridicamente inesistente del decreto (Cass., Sez. II, 30 agosto 2018, n. 21420).
Nella specie, pertanto, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che la domanda di equa riparazione proposta nei confronti del Ministero dell’economia -anziché del Ministero della giustizia –
dovesse ritenersi sanata dall’art. 4 della l. n. 260 del 1958, non assumendo rilievo dirimente il fatto che il consigliere delegato per la fase monitoria avesse proceduto a condannare il Ministero della Giustizia. Sotto altro profilo, la notifica del decreto, erroneamente eseguita al Ministero dell’Economia e delle Finanze presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, portava a escludere la declaratoria di inefficacia del decreto. Vi è inoltre da osservare che il termine per la rinotifica è stato correttamente dato per consentire la difesa nel merito del Ministero della Giustizia, mentre alcun rilievo assumono le questioni sollevate in merito alla struttura del procedimento, giacché l’opposizione di cui all’art. 5ter della l. n. 89 del 2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass., Sez. VI-2, 26 maggio 2020, n. 9728).
2. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Essendo la decisione resa nell’ambito del procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96 commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d. lgs. n.
149 del 2022), è ammissibile la condanna, ai sensi dell’art. 96 comma 4 cod. proc. civ., del Ministero della giustizia che abbia richiesto la decisione allorquando quest’ultima risulti conforme alla proposta di definizione del giudizio, atteso che la Cassa delle ammende, quantunque sottoposta all’attività di vigilanza del predetto ministero, è, rispetto a quest’ultimo, ente di diritto pubblico dotato di soggettività distinta e di autonomia amministrativa, regolamentare, patrimoniale, contabile e finanziaria (Cass. Sez. II, 31 maggio 2024, n. 15354).
Trattandosi di ricorso in materia di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2021, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, in tema di raddoppio del contributo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.100,00 per compensi, oltre ad euro 100,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna altresì i ricorrenti, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di euro 1.100,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. – al pagamento della somma di euro 600,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione