Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 124 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 124 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3895/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in VILLA DI BRIANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende anche disgiuntamente all’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3268/2021 depositata il 03/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal Presidente NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME NOME e NOME COGNOME adivano la Corte d’appello di Napoli proponendo nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze domanda d’equa riparazione ex lege n. 89/01. Giudizio presupposto, un processo da loro instaurato il 20.12.2011 innanzi alla sezione giurisdizionale della Campania della Corte dei conti, definito con sentenza del 9.12.2019.
Con decreto del 23.2.2021 il consigliere delegato accoglieva la domanda, ma mentre nell’epigrafe, nella motivazione e nel capo del dispositivo inerente alla liquidazione delle spese era indicata la giusta parte, ossia il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il capo del dispositivo contenente l’ingiunzione di pagare l’indennizzo menzionava erroneamente come Autorità ingiunta il Ministero della Giustizia (così, testualmente, si legge nel dispositivo: « accoglie il ricorso e, per l’effetto, condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento, senza dilazione, in favore di ciascun ricorrente la somma di € 2.250,00 in favore di ciascun ricorrente oltre interessi legali dalla domanda, autorizzando in mancanza la provvisoria esecuzione; condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, al pagamento delle spese processuali, in favore di parte ricorrente che liquida in € 27,00 per spese ed € 450 per compenso professionale, oltre IVA e CPA come per legge, con attribuzione al procuratore dichiaratosi antistatario »).
Il 25.2.2021 i ricorrenti proponevano istanza di correzione di detto errore materiale, cui la Corte d’appello provvedeva il
31.3.2021. Quindi, il 6.4.2021 notificavano all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli il ricorso e il decreto così come corretto.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze vi si opponeva, ai sensi dell’art. 5 -ter legge n. 89/01, eccependone l’inefficacia, per essere avvenuta detta notifica oltre il termine di 30 gg. previsto dal secondo comma dell’art. 5 legge cit.
Con decreto del 3.12.2021 la Corte d’appello di Napoli accoglieva l’opposizione e compensava le spese.
Osservava la Corte territoriale che in base al principio desumibile dall’art. 288 c.p.c. le sentenze contenenti errori materiali sottoposti a correzione possono essere impugnate, relativamente alle parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno della notifica dell’ordinanza di correzione. Tale norma, ritenuta pacificamente estensibile ai provvedimenti decisori diversi dalla sentenza, secondo la costante interpretazione datane dalla Corte di cassazione (di cui il decreto forniva ampi referenti giurisprudenziali) non determinava, però, né una riapertura né un prolungamento dei termini d’impugnazione, salvo che l’errore fosse tale da ingenerare un obiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza stessa del giudicato, ovvero quando con la correzione fosse stata impropriamente riformata la decisione stessa, non anche allorché l’errore fosse chiaramente percepibile dal contesto della decisione, risolvendosi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione.
Nel caso di specie, esponeva la Corte distrettuale, non ricorreva alcuna incertezza o interferenza sostanziale, atteso che l’erronea indicazione del Ministero della Giustizia era contenuta solo nel capo del dispositivo contenente l’ingiunzione, non anche nelle restanti parti del decreto, che nell’epigrafe, nella motivazione e nel capo del dispositivo inerente alla liquidazione delle spese della procedura indicava correttamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Pertanto, concludeva, era evidente che non potesse sorgere alcun ragionevole equivoco sull’erroneità del riferimento al Ministero della Giustizia e sul fatto che ingiunto del pagamento dell’indennizzo ex lege n. 89/01 fosse, invece, il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Né, infine, concludeva la Corte distrettuale, poteva disporsi la rimessione in termini richiesta dalla parte privata nelle note scritte di udienza, istanza, quest’ultima, infondata alla luce della decisione.
Per la cassazione di tale provvedimento NOME, NOME e NOME COGNOME propongono ricorso, affidato a tre motivi.
Vi resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale conclude per il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti alle spese e ai sensi dell’art. 96, primo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 5, legge n. 89/01 con riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che il decreto monocratico aveva ingiunto il pagamento al Ministero della Giustizia, e dunque non contemplava il soggetto contro cui era stata proposta la domanda -ossia il Ministero dell’Economia e delle Finanze individuato solo dopo l’ordinanza di correzione del 23.2.2021. Pertanto, l’ingiunzione di pagamento si sarebbe ‘perfezionata’ solo con l’ordinanza di correzione emessa il 31.3.2021, con la conseguenza che solo da tale momento sarebbe decorso il termine di cui all’art. 5, secondo comma, legge n. 89/01. Inoltre, si afferma, la notifica del decreto ad un soggetto -il Ministero della Giustizia -non legittimato avrebbe esposto la parte ricorrente a soccombere nelle spese della prevedibile opposizione. Né vi sarebbe stata inerzia da parte dei ricorrenti, sia perché l’errore era ascrivibile al Giudice, sia in quanto la Corte territoriale è stata in possesso degli atti dal 25.2.2021 (data dell’istanza di correzione) al 31.3.2021 (data di
emissione del relativo provvedimento) in virtù della legittima richiesta di correzione, per cui nessun termine poteva decorrere prima di tale ultimo momento. Infine, deduce parte ricorrente, «’ordinamento giuridico non può richiedere l’adempimento di atti pretestuosi, inesatti, errati, ingiusti e la notifica di essi, se diretti a soggetti estranei o terzi non legittimati passivi, per impedirne l’inefficacia» (così, testualmente, a pag. 7 del ricorso).
– Il secondo motivo espone la violazione o falsa applicazione degli artt. 287 e ss. c.p.c., in riferimento al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere non determinante l’erronea indicazione, nel dispositivo, del Ministero della Giustizia quale destinatario dell’ingiunzione di pagamento. Così formato, il decreto non avrebbe potuto costituire titolo per ottenere il pagamento della somma né dal Ministero della Giustizia, perché ingiunto ma estraneo al giudizio, né dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, perché soggetto evocato in giudizio ma non destinatario dell’ingiunzione.
Né, prosegue parte ricorrente, avrebbe rilievo la circostanza che, invece, al Ministero dell’Economia e delle Finanze sia stato correttamente ingiunto il pagamento delle spese del procedimento monitorio, trattandosi di pronuncia accessoria disposta, però, con distrazione delle spese stesse in favore del difensore antistatario. Se ne trarrebbe, secondo i ricorrenti, che «non si può anteporre l’interesse del difensore a quello della parte processuale» (così, a pag. 9 del ricorso).
Tutto ciò dimostrerebbe, secondo parte ricorrente, che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto non determinante l’errore oggetto della successiva correzione.
– Il terzo motivo allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 153, cpv. c.p.c., per non aver la Corte d’appello disposto la rimessione in termini della parte ricorrente, trattandosi di un errore del Giudice e non già di quest’ultima. Contrariamente a quanto
ritenuto dalla Corte partenopea, la ritenuta decadenza, qualora configurabile, si sarebbe verificata per causa imputabile non già agli odierni ricorrenti, ma al Giudice della fase monitoria del procedimento. I ricorrenti, infatti, ( i ) dopo solo due giorni dall’emissione del decreto monocratico si sono attivati presentando l’istanza di correzione d’errore materiale, e ( ii ) dopo solo sei giorni dal provvedimento di correzione hanno notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze il ricorso e il decreto ingiuntivo. Né l’istanza di cui al secondo comma dell’art. 153 c.p.c. è soggetta a termini.
Infine, conclude parte ricorrente, «non può non ritenersi applicabile il principio sulla sospensione o interruzione dei termini così come dedotto con la memoria di costituzione» (così, a pag. 11 del ricorso). Pertanto, a tutto voler concedere, ai fini del riscontro dell’eventuale inefficacia del decreto ingiuntivo, avrebbero potuto essere computati solo i periodi dal 23.2.2021 (data di deposito del decreto) al 25.2.2021 (data dell’istanza di correzione) e dal 31.3.2021 (data di emissione dell’ordinanza di correzione) al 6.4.2021 (data di notifica del ricorso e del decreto d’ingiunzione così come corretto).
– I primi due motivi -da esaminarsi congiuntamente per la loro sinergia argomentativa, inerente alla medesima questione della decorrenza del termine ex art. 5, secondo comma, legge n. 89/01, nel caso di correzione del decreto -sono manifestamente infondati.
Come esattamente chiarito nel provvedimento impugnato, nell’operare la piana esegesi dell’art. 288 c.p.c. la giurisprudenza di questa Corte è del tutto costante nell’affermare che il termine per l’impugnazione di una sentenza di cui è stata chiesta la correzione decorre dalla notificazione della relativa ordinanza, ex art. 288, ultimo comma, c.p.c., se con essa sono svelati “errores in iudicando” o “in procedendo” evidenziati solo dal procedimento
correttivo, oppure l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza del giudicato ovvero, quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la decisione, dando luogo a surrettizia violazione del giudicato; diversamente, l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori di redazione chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione. (Nella specie, la S.C. ha escluso il differimento del termine per l’impugnativa, riguardando il procedimento di correzione l’erronea indicazione, in un capo del dispositivo, del nome di battesimo di una parte processuale, correttamente indicato in altra parte dello stesso dispositivo, oltre che nell’intestazione e nella motivazione) (così, l’ordinanza n. 19959/23; conformi, nn. 8863/18, 22185/14, 19668/09, 22658/04, 192/99, 11429/96, 2491/86, 58/84, 6931/82, 1701/73 e 681/63, per citare solo alcune delle pronunce massimate).
Ciò posto -e pacifica l’applicabilità dell’art. 288, ult. comma, c.p.c. anche a provvedimenti diversi dalla sentenza (cfr. ad es. sentenza n. 19722/15 in tema di decreto ex art. 99 legge fall.) -, va osservato che, nella specie, esattamente la Corte distrettuale ha considerato (chiaramente percepibile e) inidoneo a ingenerare qualsivoglia dubbio sulla portata volitiva del decreto d’ingiunzione l’erronea indicazione, solo in una parte del dispositivo, del Ministero della Giustizia in luogo di quello dell’Economia e delle Finanze. Quest’ultimo, infatti, era menzionato nell’epigrafe, nella parte motiva del citato decreto e nel capo del dispositivo inerente alla condanna alle spese, la cui distrazione ex art. 93 c.p.c. non ne elide certo la rilevanza sub specie facti , vale a dire al fine di confermare che si trattava di un mero refuso, del tutto
insuscettibile, una volta corretto, a disvelarsi come intrinseco ad un diverso senso giuridico della statuizione. (Non senza osservare, sia pure sotto il minus valente e non decisivo profilo del dover essere del provvedimento, che il giudizio presupposto predicava chiaramente la legittimazione passiva del MEF).
Ancora, priva di pregio è la tesi di parte ricorrente, lì dove lamenta che la notifica al Ministero dell’Economia e delle Finanze del decreto non ancora corretto sarebbe stata un atto ‘pretestuoso’, di cui sarebbe ‘aberrante’ esigere l’adempimento.
Le parti -private o erariali che siano -hanno l’onere di conoscere la sopra richiamata sessantennale e granitica giurisprudenza, che non soffre eccezione (né registra voci dissonanti in dottrina), così come hanno l’onere d’interrogarsi sul perché l’art. 288, ult. comma, c.p.c., invece di far decorrere tout court dalla data di correzione il termine per impugnare l’intero provvedimento, limiti tale diversa decorrenza alle sole parti corrette. Di talché, ‘pretestuosa’ sarebbe stata non già la notifica al MEF del ricorso e del decreto ante correzione, ma l’eventuale opposizione del predetto Ministero ove avesse inteso far valere come dirimente o anche solo impediente il suddetto errore, di assoluta chiarezza e di nulla influenza. Tanto che -ed è questo l’approdo logico -giuridico che sfugge alla parte odierna ricorrente -la stessa correzione, pur ammissibile, non era per nulla necessaria al fine di resistere efficacemente ad una tale ipotetica opposizione erariale.
5. – Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.
La rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni che si sono succedute (artt. 184 bis e 153 c.p.c.), ossia per errore cagionato da fatto impeditivo estraneo alla volontà della parte, che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà e si ponga in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza, non è invocabile in caso di errori di
diritto nell’interpretazione della legge processuale, pur se determinati da difficoltà interpretative di norme nuove o di complessa decifrazione, in quanto imputabili a scelte difensive rivelatesi sbagliate. (Principio affermato in relazione ad un’ipotesi in cui il difensore aveva rinunciato ad impugnare il lodo per errori di diritto, ritenendo tale possibilità esclusa dalla lettera dell’art. 27 del d.lgs. n. 40 del 2006 anche in riferimento a convezione arbitrale risalente, come nella specie, a data anteriore all’entrata in vigore della norma, interpretazione smentita dalla S.C. solo successivamente all’impugnazione del lodo medesimo) (così e per tutte, S.U. n. 4135/19).
A maggior ragione tale principio è applicabile in rapporto all’interpretazione di una norma (l’ultimo comma dell’art. 288 c.p.c.) vigente da ottant’anni, che non ha subìto modifica alcuna nel tempo ed è di nota e reiterata interpretazione giurisprudenziale.
Infine, è arduo: a ) pretendere di ricavare un principio generale di sospensione o interruzione dei termini non da una previa ricognizione legislativa, ma dalla propria personale visione del diritto processuale; b ) ascrivere a causa dell’infruttuoso decorso del termine di cui all’art. 5, secondo comma, legge n. 89/01, ora l’originario errore contenuto nel decreto d’ingiunzione, ora i tempi tecnici impiegati dalla Corte d’appello per rimediarvi, come se l’odierna parte ricorrente non fosse stata perfettamente in grado di non soffrire né dell’uno né degli altri, ove avesse interpretato in maniera corretta una norma di non recente conio (l’art. 288, utl. comma, c.p.c.), sulla base di una giurisprudenza costante; pertanto, è solo quest’ultima mancanza della parte stessa ad aver prodotto l’effetto consuntivo che ora si lamenta .
– In conclusione, il ricorso è respinto.
– Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
– Non ricorrono le condizioni per applicare l’art. 96 c.p.c.
– Il procedimento è esente dal contributo unificato e, quindi, dal suo raddoppio per il rigetto del ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, alle spese in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che liquida in euro 800,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda