Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25151 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 25151 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 14185/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentato e difes o dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti
– ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME per procura in calce al ricorso
– controricorrente –
avverso l ‘ordina nza n. 9741/22 della Corte di Cassazione, depositata il 25.03.2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME sentita la requisitoria del Procuratore Generale.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza n. 9741 del 25 marzo 2022, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso di RAGIONE_SOCIALE condannando la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio, oltre che del versamento del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n. 115/02.
In particolare, per quel che rileva in questa sede, la Corte osservava che: ‘ Il ricorso è infondato. Il primo motivo riguarda la validità della clausola contrattuale d’appalto che indica quale termine di decorrenza degli interessi la data in cui viene erogato il finanziamento delle opere appaltate alla committente, rispetto al disposto dell’art. 4, c.3., l. n. 741/81, applicabile ratione temporis, secondo il cui disposto: l’ importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve. Il termine di novanta giorni previsto negli articoli 35, primo e secondo comma, e 36, terzo comma, del capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con D.P.R.16 luglio 1962, n. 1063, è ridotto a sessanta giorni. Sono nulli i patti in contrario o in deroga.
A sostegno della sentenza impugnata, che ha affermato la nullità delle suddette clausole, è stata invocata una giurisprudenza di legittimità risalente (Cass., n. 16814/06; n. 14974/02, v. anche n. 15788/00) alla cui stregua, in tema di appalto di opere pubbliche, in virtù delle disposizioni di cui al primo ed all’ultimo comma dell’art. 4 della legge
10 dicembre 1981, n. 741, sono nulle tutte le pattuizioni, che prevedano particolari modalità o termini dilatori per la corresponsione degli interessi moratori spettanti all’appaltatore, dovendo tali interessi essere computati e corrisposti, senza la necessità di apposite riserve o domande (il che significa ancorare la loro decorrenza esclusivamente al ritardo nell’adempimento senza che rispetto al momento previsto per l’adempimento stesso possano essere previste consistenti dilazioni del termine di decorrenza, restando altrimenti frustrate le finalità acceleratorie della normativa in esame) in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo.
In senso contrario, la giurisprudenza di legittimità più recente, afferma che, in tema di appalto di opere pubbliche, la clausola che impegni l’appaltante a pagare la sorte capitale (per stati di avanzamento e saldo finale dei lavori) al momento della effettiva acquisizione dei finanziamenti da parte di un altro ente, non è nulla ex art. 4, terzo comma, della legge 10 dicembre 1981, n. 741, ratione temporis applicabile, che sancisce la nullità dei patti contrari o in deroga alla disciplina degli interessi per ritardato pagamento, poiché, senza implicare alcuna rinuncia, ha la funzione di determinare il termine dell’adempimento dell’obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell’appaltatore diventi esigibile in concomitanza con la disponibilità delle somme accreditate all’appaltante. Ne consegue che gli interessi moratori sono dovuti quando quest’ultimo, pur avendo ricevuto tempestivamente l’accredito delle somme da parte dell’ente finanziatore, abbia ritardato il versamento nel termine pattuito (Cass., n. 3648/09; n. 22996/14; n. n. 2509/18).
Il collegio ritiene di aderire a tale ultimo orientamento in quanto il divieto di derogare al citato art. 4 non afferisce ad una norma imperativa; invero, la tesi della tutela del contraente più debole, cioé
l’appaltatore, appare troppo rigorosa, tenuto conto che le clausole in questiono, più verosimilmente, nascono dal fatto che la concreta erogazione dei finanziamenti è spesso incerta nella data e dunque le parti intendono così prevenire contenzioni, senza che ciò si traduca necessariamente in una sorte di approfittamento del contraente più debole, con il venir meno della presunzione che l’appaltatore non abbia lo stesso potere contrattuale dell’ente committente.
Va dunque affermato il principio secondo il quale il termine dell’adempimento dell’obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell’appaltatore diventi esigibile, coincida con la concreta disponibilità delle somme accreditate all’appaltante. Ne consegue che gli interessi moratori sono dovuti quando quest’ultimo, pur avendo ricevuto tempestivamente l’accredito delle somme da parte dell’ente finanziatore, abbia ritardato il versamento nel termine pattuito’ (Cass., n. 22966/14).
Ora, la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la correzione dell’errore materiale che sareb be contenuto nell’ordinanza impugnata , in ordine ad un palese contrasto tra la motivazione e il dispositivo, in relazione alla pronuncia sul primo motivo del ricorso promosso dalla stessa società.
Invero, con sentenza depositata il 30.8.16, la Corte d’appello di Roma accolse l’impugnazione proposta dalla I mpresa COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale che aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 29.625,50 – oltre interessi legali – a titolo di saldo degli interessi per ritardato pagamento del corrispettivo relativo all’esecuzione dei lavori appaltati dalla convenuta in regime di concessione, nella parte riguardante il calcolo degli interessi stessi.
Al riguardo, la Corte territoriale ritenne che la clausola stipulata tra le parti, la quale prevedeva di dilazionare il pagamento degli stati di avanzamento dei lavori al momento dell’accreditamento all’appaltante
del finanziamento, fosse nulla perché stipulata in violazione dell’art. 4 della l. n. 741/81, secondo il cui disposto ‘ l’importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale, o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o in saldo, senza necessità di apposita domanda ‘.
Premesso ciò, la ricorrente espone che: con il primo, citato, motivo del ricorso per cassazione era stata impugnata la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui aveva statuito la nullità della clausola contrattuale relativa alle modalità di pagamento degli interessi per ritardato pagamento, poiché stipulata in violazione degli artt. 4, c.3, l. n. 741/81, 35 e 36 dpr n. 1063/62, in quanto tali norme erano inapplicabili nella fattispecie, sia perché l’appaltatore aveva accettato che la mora decorresse dal momento in cui la concessionaria avesse ricevuto il finanziamento e fosse stata, dunque, in condizione di poter adempiere l’obbligazione, sia perché la clausola stipulata non contemplava una rinuncia preventiva al diritto, bensì una specifica pattuizione sul termine del decorso degli interessi, incidendo peraltro sulla sola esigibilità in capo all’appaltatore; l a suddetta ordinanza era affetta da un evidente errore materiale, in quanto sussisteva un palese contrasto tra la parte motiva della stessa e il dispositivo; più precisamente, nella motivazione della predetta ordinanza (da pagg. 58) era stato accolto il primo motivo del ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, mentre erano stati respinti il secondo e il terzo motivo; nel dispositivo, invece, il ricorso era stato integralmente respinto, anziché cassato con rinvio con riguardo al primo motivo; tale errore sarebbe facilmente rinvenibile dalla lettura della parte motiva dell’ordinanza, con riguardo al primo motivo del ricorso in Cassazione; infatti, con il predetto primo motivo, come detto, era stata impugnata la sentenza della Corte
d’Appello di Roma n. 5115/2016 nella parte in cui aveva erroneamente statuito la nullità delle clausole contrattuali disciplinanti le modalità di pagamento del corrispettivo di appalto (art. 13 del Capitolato Speciale D’Appalto doc. D e art. 6 dell’Atto Aggiuntivo – doc. C), in quanto ritenute contrarie al d ivieto di cui all’art. 4 della legge 10 dicembre 1981 n. 741; a tale riguardo, a pag. 5 del l’ordinanza oggetto del ricorso in esame , si legge che: ‘ a sostegno della sentenza impugnata, che ha affermato la nullità della suddette clausole, è stata invocata una giurisprudenza di legittimità risalente (Cass., n. 16814/06; n. 14974/02, v. anche n. 15788/00) alla cui stregua, in tema di appalto di opere pubbliche in virtù delle disposizioni di cui al primo e all’ultimo comma dell’art. 4 della legge 10 dicembre 1981 n. 741, sono nulle tutte le pattuizioni, che prevedono particolari modalità o termini dilatori per la corresponsione degli interessi moratori spettanti all’appaltatore, dovendo tali interessi essere computati e corrisposti, senza la necessità di apposite riserve o domande in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo ‘.
L ‘ordinanza impugnata aveva altresì statuit o che ‘ in senso contrario, la giurisprudenza di legittimità più recente, afferma che, in tema di appalto di opere pubbliche, la clausola che impegni l’appaltante a pagare la sorte capitale (per stati di avanzamento e saldo finale dei lavori) al momento della effettiva acquisizione dei finanziamenti da parte di un altro ente, non è nulla ex art. 4, terzo comma, della legge 10 dicembre 1981 n. 741, ratione temporis applicabile, che sancisce la nullità dei patti contrari o in deroga alla disciplina degli interessi per ritardato pagamento, poiché senza implicare alcuna rinuncia, ha la funzione di determinare il termine dell’adempimento dell’obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell’appaltatore diventi esigibile in concomitanza con la disponibilità delle somme accreditate
all’appaltante; ne consegue che gli interessi moratori sono dovuti quando quest’ultimo, pur avendo ricevuto tempestivamente l’accredito delle somme da parte dell’ente finanziatore, abbia ritardato il versamento nel termine pattuito (Cass. n. 3648/09; n. 22996/14; n. 2509/18); sulla scorta di tale ragionamento, la Corte aveva quindi concluso nel senso che ‘ il collegio ritiene di aderire a tale ultimo orientamento in quanto il divieto di derogare al citato art. 4 non afferisce ad una norma imperativa ‘.
Con ordinanza interlocutoria del 25.11.2022, la Cassazione-sezione sesta, nel decidere il suddetto ricorso per errore materiale, rinviava la causa alla pubblica udienza, osservando che, data la particolarità della fattispecie concreta, non emergendo una manifesta inammissibilità o fondatezza del ricorso in questione, anche alla stregua della richiamata giurisprudenza di questa Corte, ricorrevano i presupposti della rimessione della causa alla prima sezione.
Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria, argomentando che l’evidente contraddittorietà dell’ordinanza impugnata appariva suscettibile di rimedio con lo strumento revocatorio e non con quello disciplinato dagli artt. 287 e ss c.p.c.;
L’Impresa COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso; entrambe le parti hanno presentato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Il collegio ritiene che sulla questione in esame occorra riportare gli orientamenti di questa Corte in tema di correzione di errore materiale. Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., è diretto a porre rimedio ad un vizio meramente formale della sentenza, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l’intendimento del giudice e la sua
esteriorizzazione, con esclusione di tutto ciò che attiene al processo formativo della volontà. Coerentemente, detto procedimento, ed il provvedimento mediante il quale la sentenza può essere corretta, hanno natura amministrativa, sicché, al riguardo, non opera il principio della immutabilità del giudice, di cui all’art. 276. cod. proc. civ., dovendosi intendere il riferimento di cui all’art. 287 alla correzione effettuata dallo “stesso giudice” nel senso di “stesso ufficio giudiziario”, senza che rilevi la persona fisica del magistrato che ha pronunciato il provvedimento (Cass., n. 1207/2015).
Deve qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile “ictu oculi ‘ (Cass., n. 19601/2011). Il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute nella motivazione, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione (Cass., n. 572/2019; n. 16877/2020).
E’ stato altresì rilevato che l ‘errore materiale, che colpisce la manifestazione della volontà espressa dal comando giudiziale, va distinto dall’errore revocatorio, che incide sulla formazione del giudizio di fatto contenuto nella decisione; ne deriva che, mentre il ricorso per correzione di errore materiale non può essere convertito in un ricorso per revocazione, per il quale, assumendosi l’erroneità del deciso per
effetto di un’errata percezione delle risultanze di fatto, vi è necessità di impugnazione, è ammissibile la conversione del ricorso per revocazione in quello per correzione dell’errore materiale che implica, al contrario, l’esattezza della decisione, nonostante l’erronea indicazione dei dati documentali (SU, n. 12210/2022).
Nel caso concreto, il dispositivo di rigetto del ricorso per cassazione della RAGIONE_SOCIALE diverge chiaramente dalla motivazione specifica sul primo motivo – come sopra richiamato – emergendo un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile ictu oculi, senza che venga in rilievo un’inammissibile attività di specificazione o di interpretazione del provvedimento di legittimità.
Controparte, invece, assume che il vizio denunziato riguarda la formazione e non la manifestazione della decisione, in quanto la divergenza denunziata nell’istanza non sarebbe evidente, non desumendosi con chiarezza dalla motivazione.
Invero, l’a rgomentazione della Corte di legittimità è alquanto chiara nel ritenere fondato il primo motivo, salvo però premettere nella stessa motivazione ‘ il ricorso è infondato’ per evidente svista o lapsus calami. Tuttavia, nello sviluppo della motivazione emerge plasticamente il difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua mat eriale rappresentazione grafica, in quanto, come detto, la Corte , nell’esporre i due contrapposti orientamenti circa la predetta questione della validità della clausola contrattuale d’appalto , che indica quale termine di decorrenza degli interessi la data in cui viene erogato il finanziamento delle opere appaltate alla committente, rispetto al disposto dell’art. 4, c.3., l. n. 741/81, riteneva di aderire all’ultimo citato orientamento, in quanto il divieto di derogare al citato art. 4 non afferisce ad una norma imperativa, motivando esaustivamente e
formulando anche il principio di diritto secondo il quale :’ il termine dell’adempimento dell’obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell’appaltatore diventi esigibile, coincide con la concreta disponibilità delle somme accreditate all’appaltante. Ne consegue che gli interessi moratori sono dovuti quando quest’ultimo, pur avendo ricevuto tempestivamente l’accredito delle somme da parte dell’ente finanziatore, abbia ritardato il v ersamento nel termine pattuito’ (Cass., n. 22966/14).
L’errore in questione non ha, dunque, riguardato la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento, risolvendosi in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale.
Al riguardo, giova richiamare il principio affermato da questa Corte a tenore del quale, il contrasto tra formulazione letterale del dispositivo di una sentenza della Corte di cassazione (nella specie, di rigetto del ricorso) e pronuncia adottata in motivazione (nella specie, di fondatezza di una delle censure dell’impugnazione proposta), non incidendo sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, non integra un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, correggibile ai sensi degli artt. 287 e 391bis cod. proc. civ., trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile “ictu oculi” dal testo del provvedimento, senza che venga in rilievo un’inammissibile attività di specificazione o di interpretazione della sentenza di legittimità (Cass., n. 15321/2012).
Nell’ambito di tale orientamento, è stato altresì osservato che i l contrasto tra formulazione letterale del dispositivo di una pronuncia
della Corte di cassazione e quanto dichiarato in motivazione, non incidendo sull’idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, non integra un vizio attinente alla portata concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, correggibile ai sensi degli artt. 287 e 391bis c.p.c., trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile “ictu oculi” dal testo del provvedimento, senza che venga in rilievo un’inammissibile attività di specificazione o di interpretazione della sentenza di legittimità (Cass., n. 668/2019; nella specie, la S.C., in accoglimento del ricorso per correzione degli errori materiali, rilevato che in motivazione venivano dichiarati come fondati i primi due motivi di ricorso mentre nel dispositivo si rigettava il primo e si accoglieva il secondo, ha ordinato di completare il dispositivo dell’ordinanza mediante declaratoria di accoglimento sia del primo sia del secondo motivo).
Tale ultima pronuncia è del tutto afferente alla fattispecie concreta, in quanto nella motivazione dell’ordinanza, oggetto del ricorso in esame, si riteneva fondato il primo motivo, sebbene la relativa premessa fosse erronea (.. il ricorso è infondato..) , mentre nel dispositivo era statuito il rigetto del ricorso.
Ne consegue l’infondatezza della tesi secondo la quale l’errore denunziato configurerebbe un vizio revocatorio, ex art. 395, n.4, cpc. Invero, costituisce errore di fatto deducibile come motivo di revocazione della sentenza ex art. 395, n. 4, c.p.c. quello che si verifica in presenza non già di sviste di giudizio ma della percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice sia stato indotto ad
affermare l’esistenza o l’inesistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta o risulta dai documenti di causa (Cass., n. 9471/2025; n. 2529/2016).
Nella specie, non viene in rilievo una percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, ma un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, rilevabile ictu oculi .
Per quanto esposto, deve dunque ritenersi la sussistenza dell’errore materiale lamentato dalla società ricorrente, con la conseguente modifica della motivazione e del dispositivo con l’inserimento della statuizione di accoglimento del primo motivo del ricorso e la cassazione del provvedimento impugnato e l’eliminazione della condanna alle spese.
Le spese del procedimento sono da compensare, in considerazione della particolarità della fattispecie.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina la correzione dell’errore materiale contenuto nell’ordinanza impugnata, n. 9741/2022- depositata il 22.3.2022- e dispone che: alla pagina 4, al rigo 14, le parole da ‘ ricorso” a “infond ato’ siano sostituite dalle parole ‘ primo motivo di ricorso è fondato’, che alla pagina 8, al rigo 5, siano soppresse le parole da ‘ le” a “soccombenza. ‘, e che al rigo 7 e seguenti la parole d a ‘rigetta’ a ‘dovuto’ del rigo 16, siano sosti tuite dalle parole ‘accoglie il primo motivo di ricorso, cassa l ‘impugnata sentenza, nei limiti di cui in motivazione, e rinvia la causa alla C orte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Rigetta il secondo e terzo motivo del ricorso’.
Manda alla cancelleria per l’annotazione della presente sentenza a margine del provvedimento oggetto di correzione.
Compensa le spese del procedimento.
Così deciso nella camera di consiglio della I sezione civile il 17 giugno