Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11332 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 11332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14934-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 11397/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 02/05/2023 R.G.N. 31553/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Oggetto
Revocazione
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
Rilevato che
Con ricorso depositato il 3.12.2002, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, ex dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in servizio dal 27.7.1960 al 31.8.1987, hanno chiesto al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE riconoscersi in proprio favore il diritto all’inclusione, nella base di calcolo della pensione aziendale, dell’indennità di incentivazione pari all’80% dello stipendio lordo, quale elemento fisso e continuativo della retribuzione, e la condanna della convenuta al pagamento delle differenze maturate dall’1.9.1987 al 16.11.2001, oltre accessori.
Con sentenza depositata il 4.2.2007, il Tribunale adito, ritenuta sufficientemente provata la corresponsione in maniera fissa e continuativa dell’indennità di incentivazione, ne aveva riconosciuto la computabilità nel trattamento pensionistico in questione, adottando le conseguenti statuizioni di condanna, nei limiti della prescrizione.
Con sentenza n. 3289/20210, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, provvedendo sull’impugnazione dell’RAGIONE_SOCIALE contro la decisione di primo grado, pur riconoscendo il fatto che la pensione doveva essere calcolata su tutti gli altri emolumenti fissi e continuativi rientranti nella più ampia nozione di retribuzione, ha reputato insufficiente, ai fini della prova della continuità della percezione dell’emolumento nel caso concreto, la produzione di due soli cedolini di paga del de cuius. Pertanto, in accoglimento dell’ap pello, ha rigettato la domanda attorea. 4. Con sentenza n. 2060/2014, questa Corte di cassazione ha respinto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE contro la decisione del giudice di secondo grado.
Con la successiva sentenza n. 10644/2017, questa S.C. ha revocato la sentenza del 2014 e, in accoglimento del ricorso
in precedenza proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha cassato la decisione d’appello e rinviato per un nuovo esame alla Corte territoriale.
Riassunto il procedimento da COGNOME NOME (anche nella qualità di erede di NOME nelle more deceduta), la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 2452/2018, provvedendo in sede di rinvio, ha accolto l’appello a suo tempo proposto dall’RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda proposta dalla COGNOME in proprio e nella qualità di erede di COGNOME NOME.
Adita da NOME, la Corte di cassazione, con ordinanza n. 11397 del 2023, ha respinto il ricorso.
Avverso quest’ultima ordinanza la medesima parte ha proposto un nuovo ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 395 n. c.p.c. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. È stata depositata memoria nell’interesse della ricorrente.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con l’unico motivo la ricorrente in revocazione denuncia l’errore di percezione in cui sarebbe incorsa l’ordinanza n. 11397/2023 per avere ignorato il principio di diritto, che si reputa enunciato dalla sentenza rescindente n. 10644/2017, a mente del q uale ‘il documento di parte convenuta, di cui si assume l’avvenuta produzione in primo grado, assolve gli oneri che gravano sulla parte che agisce in giudizio’ e per avere anzi espressamente escluso (‘così evidentemente non è’) che un simile principio foss e rinvenibile nella citata sentenza.
11. Il motivo è infondato.
La sentenza n. 10644/2017 reca la seguente statuizione (pag. 5, § 9.1.): ‘Innanzitutto, l’allegazione al ricorso per cassazione del documento di parte convenuta, di cui si assume l’avvenuta produzione in primo grado, contenente l’elencazione dei periodi e degli importi percepiti dal dante causa delle odierne ricorrenti, assolve gli oneri che gravano sulla parte che agisce nel giudizio di legittimità sull’assunto che la controparte abbia tenuto condotte processuali di non contestazione (cfr. Cass. n. 16655 del 2016, n. 14784 del 2015, n. 8569 del 2013)’.
Tale statuizione deve essere letta in relazione al motivo di revocazione all’epoca proposto, concernente l’errore percettivo addebitato alla sentenza n. 2060/2014 con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto violato il principio di autosufficienza sul presupposto (rivelatosi erroneo) del mancato deposito, da parte delle ricorrenti, del documento contabile (il prospetto redatto dalla società) su cui le stesse avevano fondato l’impugnazione.
La sentenza rescindente n. 10644/2017, con la statuizione sopra riportata, ha inteso solo affermare che, nel procedimento di legittimità definito con la sentenza (revocata) n. 2060/2014, l’avvenuto deposito del citato prospetto soddisfaceva gli oneri gravanti sulle parti ricorrenti in cassazione al fine del rispetto del principio di autosufficienza, in conformità alle prescrizioni di cui agli artt. 366 n. 4 e 369 n. 6 c.p.c.
Come correttamente affermato nella ordinanza n. 11397/2023, di cui oggi si chiede la revocazione, la Corte di cassazione, con la sentenza del 2017, non ha espresso giudizi o valutazioni, né avrebbe potuto farlo, in ordine alla concreta idoneità dei doc umenti a soddisfare l’onere probatorio delle
ricorrenti sui fatti costitutivi del diritto azionato, trattandosi di accertamento riservato in via esclusiva al giudice di merito, là dove l’ambito del giudizio rescindente era delimitato dall’errore percettivo nella specie concretatosi in una errata statuizione di violazione del principio di autosufficienza, invece rispettato col deposito del documento.
Per le ragioni esposte, non ricorre il vizio revocatorio denunciato, dal che discende il rigetto del ricorso.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
Non ricorrono i presupposti dell’art. 96, comma 3, c.p.c., la cui applicazione è stata sollecitata dalla controricorrente, non potendosi far coincidere la mala fede o la colpa grave della parte soccombente con profili di inammissibilità in senso tecnico oppure con la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate (cfr. Cass., S.U. n. 9912 del 2018; Cass. n. 10327 del 2018; n. 7726 del 2016), in difetto, nel caso di specie, di elementi ulteriori significativi di un abuso dello strumento processuale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 14 febbraio 2024