Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32978 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32978 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23378-2023 proposto da:
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 26202/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 08/09/2023 R.G.N. 19954/2017;
Oggetto
REVOCAZIONE
R.G.N. 23378/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 26202 del 2023 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Comune di Baranello avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso con la quale -in accoglimento del gravame dell’INPS – era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale l’Istituto aveva chiesto al Comune il versamento dei contributi dovuti in favore di quattro dipendenti per i quali il Tar del Molise aveva accertato l’esistenza di rapporti di lavoro, ricostruendone la carriera, disponendo la regolarizzazione contributiva e condannando il Comune ai dovuti versamenti.
1.1. La Corte di legittimità, pur riconoscendo che il giudicato amministrativo non poteva essere opposto ad un terzo rimasto estraneo a quei giudizi, ha evidenziato che il decreto ingiuntivo era stato ottenuto azionando la prova scritta costituita proprio dalle citate sentenze del TAR.
1.2. Quanto alla censura involgente la prescrizione dei contributi, poi, il giudice di legittimità ne ha evidenziato la genericità atteso che, a fronte dell’accertamento in fatto svolto dal giudice di appello circa l’esistenza di validi atti interruttivi della prescrizione, il Comune ricorrente non aveva chiarito quale fosse il dies a quo della decorrenza della prescrizione e dunque ha ritenuto che l’errore denunciato non fosse decisivo.
1.3. Infine, ha rigettato la censura che investiva il quantum della condanna escludendo l’inesistenza della motivazione, che faceva espresso rinvio ai conteggi effettuati e trasmessi al Comune con nota del 25 maggio 2009 in atti, ed evidenziando che tale accertamento di fatto avrebbe potuto essere censurato solo nei limiti di ammissibilità del vizio di motivazione.
Il Comune di Baranello chiede la revocazione della sentenza della cassazione e articola un unico motivo al quale resiste con controricorso l’INPS. Il Comune ha depositato memoria illustrativa. Al termine della camera di consiglio il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RITENUTO CHE
Con il ricorso, ai sensi dell’art. 391 bis , comma 1, c.p.c., è impugnata l’ordinanza in epigrafe in quanto affetta da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. nella parte in cui, nell’esaminare il secondo motivo di ricorso, pur ritenendo che ‘ la sentenza impugnata contenga affermazioni in diritto non conformi ai principi espressi da questa Corte in ordine alla natura normativa degli elementi costitutivi della fattispecie della prescrizione dei contributi (Cass. n. 8291 del 2023) ‘, ha poi dichiarato generico il motivo ‘ in quanto non prospetta, tenuto conto dell’accertamento in fatto sulla presenza di validi atti interruttivi effettuato dalla Corte territoriale, quale sia il dies a quo della eccepita prescrizione per cui l’errore interpretativo sia stato decisivo nell’accertamento dello spirare a prescrizione (vd. per tale principio Cass. n. 11573 del 1995) ‘.
3.1. Ad avviso del Comune ricorrente in tale parte la decisione sarebbe affetta da erronea percezione del contenuto materiale del ricorso posto che in esso vi era non solo la indicazione del dies a quo ai fini del computo della prescrizione ma anche l’espressa indicazione della data in cui sarebbe spirato il termine di prescrizione.
3.2. Ritiene quindi che ricorrano entrambi i presupposti necessari per configurare l’errore revocatorio. Quanto all’errore di percezione sottolinea che il ricorso in cassazione, già nel paragrafo intitolato ‘ svolgimento del processo ‘ (cfr. da pag. 2 a pag. 7 dell’all. 3.1), conteneva in più parti l’indicazione del dies
a quo da cui far decorrere la prescrizione. In particolare, nel ricorso si era evidenziato che l’obbligo contributivo in capo al Comune nei confronti dell’istituto era sorto al momento dello svolgimento della prestazione lavorativa (1981 -1991) e non già, come sostenuto dall’INPS, a seguito dell’intervenute sentenze da parte del giudice amministrativo ‘. Davanti alla Corte di appello, poi, era stato sottolineato che era corretta la decisione di primo grado posto che: -l’obbligazione al pagamento dei contributi in capo al Comune , ‘ sorgendo ope legis al momento dell’effettuazione della prestazione lavorativa, era esigibile dall’istituto già nel periodo 1986 1991 ; -conseguentemente, essendo la prima richiesta di pagamento intervenuta solo nel 2009, a tale data il credito doveva considerarsi prescritto indipendentemente dal relativo termine applicabile (decennale o quinquennale) ‘.
3.3. Sostiene che gli elementi fattuali devono essere individuabili ‘ nel contesto del ricorso ‘ e non necessariamente nel paragrafo relativo al singolo motivo e ritiene che tanto basterebbe per dimostrare l’errore di percezione del contenuto del ricorso in cui sarebbe incorso il collegio giudicante. Peraltro, evidenzia che il dies a quo era indicato anche nello specifico paragrafo dedicato al motivo della prescrizione (cfr. motivo ‘II’, da pag. 13 a pag. 22 dell’all. 3.1) oltre al termine in cui la stessa doveva intendersi perfezionata (pag. 18 e 19) e che perciò, contrariamente a quanto erroneamente percepito dal Collegio giudicante, nel paragrafo relativo al motivo di ricorso erano espressamente indicati:
il dies a quo della prescrizione (1986, anno di proposizione dei ricorsi amministrativi o, al più tardi, 1995, anno di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995);
i documenti comprovanti il dies a quo del decorso della prescrizione (ossia le sentenze relative ai ricorsi innanzi al TAR
proposti dai dipendenti indicati come ‘ all. 1, 2, 3 e 4 del fascicoletto ex art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. ‘);
il termine in cui sarebbe al più tardi maturata la prescrizione (l’anno 2000 in applicazione del disposto contenuto nell’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995);
la data del primo presunto atto interruttivo della prescrizione (2007).
3.4. Conclusivamente ritiene che l ‘errata percezione del contenuto del ricorso in cassazione da parte del collegio giudicante sarebbe stata determinante ai fini della valutazione del secondo motivo di ricorso dal momento che avrebbe determinato la declaratoria di inammissibilità dello stesso e quindi l’impossibilità di una sua valutazione nel merito. Dalla stessa motivazione della sentenza emergerebbe che, ove il collegio giudicante non avesse dichiarato inammissibile il motivo per genericità (declaratoria determinata appunto dall’errore percettivo sul contenuto del ricorso), non avrebbe potuto che accoglierlo dal momento che esso stesso aveva evidenziato, richiamando la giurisprudenza della Corte di legittimità, che in relazione a tale motivo che la sentenza impugnata conteneva ‘ affermazioni in diritto non conformi ai principi espressi da questa Corte in ordine alla natura normativa degli elementi costitutivi della fattispecie della prescrizione dei contributi ‘ .
Il ricorso è inammissibile.
4.1. Come è noto, l ‘istanza di revocazione di una pronuncia di questa Corte, proponibile ai sensi dell’art. 391 -bis cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 n. 4, cod. proc. civ. ( cfr. tra le tante, Cass. 11/01/2018 n. 442).
4.2. L’errore di fatto presuppone un errore di percezione o una mera svista materiale, rilevabile ictu oculi , che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto decisivo,
che risulti, invece, incontestabilmente escluso o accertato in base agli atti e ai documenti di causa.
4.3. In sostanza l ‘errore revocatorio postula il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto: l’una emerge dalla pronuncia e non promana da una valutazione, l’altra emerge dagli atti e dai documenti di causa (cfr. Cass. S.U. 27/11/2019 n. 31032).
4.4. Il fatto, su cui verte l’errore, non deve investire un punto controverso, sul quale il giudice abbia avuto occasione di pronunciarsi.
4.5. Il rimedio straordinario della revocazione non può essere esperito per censurare una decisione di questa Corte, che rappresenti l’approdo della valutazione o dell’interpretazione delle risultanze processuali (Cass. 29/03/2022 n. 10040).
Orbene, applicando gli esposti principi al caso in esame emerge evidente che con il ricorso per revocazione si intende denunciare l’interpretazione dell’atto da parte del Collegio decidente e non invece un errore di percezione dei fatti che ne erano oggetto.
5.1. La Corte di Cassazione nella sua ordinanza ha proceduto ad una interpretazione del ricorso proposto dal Comune di Baranello avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso avente ad oggetto la violazione degli artt. 2909 c.c. 324 c.p.c. in relazione all’art. 2126 c.c. , 1 l. n. 152 del 1968, 1 e 6 r.d.l. n. 1605 del 1925, 26 l. n. 1034 del 1971 e 13 l. n. 1338 del 1962 e, chiarito che l’efficacia riflessa del giudicato non si estende a terzi che siano titolari di un diritto autonomo rispetto al rapporto giuridico definito con il giudicato stesso ha poi evidenziato che le sentenze del TAR erano la prova documentale sulla cui base era stato emesso il decreto ingiuntivo. Sulla base di tale premessa ha quindi corretto la motivazione della sentenza di appello che ha confermato nel suo
dispositivo. Inoltre, ha disatteso il secondo motivo a cagione della sua genericità (poiché non teneva conto degli atti interruttivi della prescrizione la cui esistenza era stata accertata dal giudice del merito. Ancora una volta s i verte nell’ambito della valutazione dei fatti che può ridondare in un errore di giudizio ma non certo in un errore revocatorio.
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
6.1. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali , € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del c itato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 18 settembre 2024