Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16907 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16907 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18904/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MERCATO SAN SEVERINO, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 4471/2024 depositata il 20/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 540/2024 pubblicata il
20/2/2024, all’esito dell’adunanza camerale del 6 febbraio 2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione di NOME COGNOME avverso sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1513 del 2019, che, in accoglimento dell’appello principale del Comune di Mercato San Severino, aveva respinto le sue domande di condanna dell’ente locale al pagamento in suo favore del contributo di cui alla l. 14 maggio 1981, n. 219, per la ricostruzione di un immobile danneggiato dal sisma del 23 novembre 1980, quantificato in lire 57.757.965, e al risarcimento dei danni per mancata erogazione dello stesso, essendosi evidenziato che « l’attore non aveva dato dimostrazione che la sua istanza avesse carattere prioritario e che, conseguentemente, la soddisfazione del suo diritto poteva avere luogo solo all’esito dell’esaurimento delle «pratiche prioritarie» ai sensi dell’art. 3 l. 23 gennaio 1992, n. 32 ».
Questa Corte ha, in particolare, dichiarato:
-il primo motivo di ricorso, denunciante violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. conseguente alla mancata declaratoria di nullità, per difetto di specificità, dell’atto di appello, inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo il ricorrente riportato solo uno stralcio dell’atto di appello, per cui la censura non poteva essere esaminata, ma, in ogni caso, da tale stralcio, si evidenziava che il Comune avesse evidenziato in modo sufficientemente chiaro «(almeno) una delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata », avendo l’appellante fatto valere « la carenza, al momento dell’esame della istanza, dei requisiti di legge previsti per poter usufruire del beneficio richiesto, sottolineando l’omessa considerazione che l’art. 3 l.n. 32 del 1992 prevedeva criteri di priorità nell’erogazione del contribuito e che l’attore non aveva dato dimostrazione che la sua istanza soddisfaceva tali criteri »;
il secondo e il terzo motivo, denuncianti vizio di motivazione apparente, inammissibili, in quanto la Corte d’appello aveva accolto
il gravame del Comune in ragione dell’insussistenza dei criteri preferenziali di cui alle lett. a) e b) dell’art. 3 l. n. 32 del 1992, evidenziando, in particolare, che l’interessato aveva provveduto alla ristrutturazione dell’immobile a proprie cura e spese e che non aveva depositato tempestivamente la relativa documentazione nella sua completezza e aggiungendo che, per tali ragioni, non era possibile l’assegnazione prioritaria del contributo richiesto, benché l’immobile interessato fosse l’unico di proprietà dell’istante e il contributo medesimo fosse già stato determinato nel suo importo, e le doglianze non si confrontavano con tale ratio decidendi ;
– anche il quarto motivo, con il quale ci si doleva della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui la Corte di merito aveva omesso di considerare che l’ente locale non aveva mai contestato la regolarità e il completamento della pratica amministrativa, inammissibile, in quanto, laddove si contesti la mancata applicazione da parte del giudice di merito del principio di non contestazione si ha « l’onere di indicare, al fine di consentire la fondatezza e la concludenza della censura, non solo con quale atto e in quale sede sia avvenuta l’allegazione del fatto asseritamente non contestato, ma anche in quale modo la circostanza sia stata provata o risultata pacifica » e nella specie il ricorrente non aveva assolto a un siffatto onere, « omettendo di esaminare il contenuto del primo atto successivo a quello contenente l’asserita allegazione »;
-in ogni caso, dall’esame dalla comparsa di costituzione e risposta del Comune, riprodotta nel controricorso, si evinceva « che il Comune aveva contestato la sussistenza (anche) del requisito di cui all’art. 3, lett. b), l.n. 32 del 1992, nel cui ambito rientra la condizione del rituale deposito della documentazione pertinente e, dall’altro, che l’invocato principio di non contestazione, se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove
dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (così, Cass. 7 giugno 2023, n. 16028 )»;
anche il quinto motivo, in punto di extrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva negato la sussistenza delle condizioni di cui alla lett. b) dell’art. 3, l.n. 32 del 1992 in ragione della incompletezza della documentazione presentata benché tale questione non fosse stata oggetto di motivo di impugnazione, inammissibile, per difetto di autosufficienza, avendo il ricorrente omesso di riprodurre i motivi di appello, non consentendo alla Corte di poter valutare la fondatezza della doglianza;
inammissibile pure il sesto motivo, con il quale si contestava la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., nella parte in cui la Corte d’appello aveva trascurato il valore di prova legale del provvedimento del Sindaco dell’ente locale del 2 marzo 1990, con cui era stata autorizzata l’esecuzione dei lavori di riparazione dell’immobile danneggiato dal sisma ed era stato quantificato l’importo del contributo, non avendo il ricorrente omesso di riprodurre integralmente il provvedimento amministrativo indicato, non permettendo così la valutazione del relativo contenuto e, dunque, l’accertamento della veridicità dell’assunto, ma, in ogni caso, l’atto amministrativo può assumere rilevanza quale prova legale solo se riveste la forma dell’atto pubblico e limitatamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 cod. civ.), ma non anche in ordine a ulteriori accertamenti fattuali o valutazioni giuridiche ivi contenute, in forma espressa o implicita;
-infine anche l’ultimo motivo, denunciante omesso esame, ex art.360 n. 5 c.p.c., di fatto decisivo controverso (l’integrazione documentale effettuata dal ricorrente, a seguito di richiesta
dell’ente locale, a seguito della quale il Comune aveva emesso il provvedimento autorizzativo dei lavori di ristrutturazione, con quantificazione del relativo contributo), in quanto il fatto era invece stato esaminato dalla Corte di appello, la quale aveva concluso nel senso che il ricorrente non aveva provveduto alla chiesta integrazione, considerata necessaria al fine di definire la proprietà individuale rispetto a quella condominiale, e il motivo sottintendeva una contestazione della valutazione operata dal giudice del merito. Avverso la suddetta pronuncia, NOME COGNOME propone ricorso per revocazione, notificato il 9/9/2024, affidato a cinque motivi, nei confronti del Comune di Mercato San Severino (che resiste con controricorso) .
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta:
a) con il primo motivo, che questa Corte ha respinto il sesto motivo del ricorso per cassazione (con il quale si denunciava la nullità della sentenza impugnata d’appello per violazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 cpc comma 1 n. 4), supponendo erroneamente che nel Provvedimento Sindacale Prot. N.36/U.T. (ritenuto privo di valore di prova legale), dallo stesso richiamato (presente nel fascicolo attoreo di primo grado nonché in copia integrale anche nel fascicolo di cortesia) non vi fossero dichiarazioni del Sindaco relative a fatti dallo stesso compiuti (art. 2700 cod. civ.), essendo così sfuggito « che il Sindaco, attesta e dichiara -quali fatti dallo stesso personalmente compiuti in funzione di pubblico ufficiale di aver ‘visto’ agli atti comunali le domande del Salvati per ottenere il buono contributo per il terremoto riportanti le rispettive date 27/3/84 e 30/1/88 e di aver ‘visto’ altresì il provvedimento della Quarta Commissione tecnica Comunale ex art.14 legge 219/81, emesso nella seduta del 4/12/1989 verb.n.259, (successiva alla richiesta del ‘settembre
‘1989’ citata in sentenza dalla Corte di Appello) approvante, la perizia integrativa richiesta dalla stessa e tempestivamente prodotta dal COGNOME »;
b) con il secondo motivo, in punto di declaratoria di inammissibilità del settimo motivo del ricorso per cassazione, denunciante vizio motivazionale, essendo stato omesso l’esame da parte della corte d’appello delle « decisive dichiarazioni effettuate dal Sindaco nel provvedimento Sindacale Prot. N.36/U.T .», l’errore di fatto compiuto da questa Corte per non avere correttamente interpretato la sentenza d’appello impugnata (non avendo la Corte di Appello accertato e dichiarato, in sentenza, che « il ricorrente non aveva provveduto alla chiesta integrazion e», bensì rilevato « unicamente, ad accoglimento dell’appello, l’assenza di prova per ‘mancanza di specifica allegazione’ agli atti di giudizio, da parte attorea, della domanda di contributo ed integrazione documentale »), così erroneamente supponendo che la Corte d’appello avesse esaminato le specifiche decisive dichiarazioni rese dal Sindaco, di avvenuto riscontro delle domande ed integrazione documentale, e erroneamente concludendo che « sotto l’apparente censura di omesso esame di un fatto decisivo e controverso, la doglianza si risolve, in realtà, in una sostanziale contestazione della valutazione operata dal giudice di merito delle risultanze processuali che non è sindacabile in questa sede »;
c) con il terzo motivo, in relazione al rigetto del terzo motivo del ricorso del COGNOME (con il quale si denunciava illogica e contraddittoria motivazione addotta dalla Corte d’appello a base della riforma della sentenza di primo grado), l’errore di fatto consistente nel non avere colto sia « l’esatto contenuto del provvedimento della Quarta Commissione Comunale , del 10 maggio 1989 – (presente nel fascicolo attoreo di primo grado nonché in copia integrale anche nel fascicolo di cortesia) », con quale la Commissione chiedeva « unicamente l”aggiornamento” del
computo metrico già depositato agli atti comunali, nei termini di legge, unitamente alla domanda di contributo », a conferma dell’avvenuto deposito nei termini di legge della domanda di contributo, con relativa documentazione, in quanto, in assenza, la commissione non avrebbe chiesto tale aggiornamento, sia « l’esatto contenuto del provvedimento sindacale Prot. 36/U.T-AP n.003722 », errori tutti decisivi e non ricadenti su punto controverso, « avendo il Comune precisato in atto di appello che non impugna l’assenza di documentazione ma la possidenza dei requisiti della legge ’92 lettere a) e b) e la Corte d’Appello rigettato la domanda… per mancanza di materiale allegazione specifica dei documenti », nonché l’errore di fatto consistente nell’avere ritenuto che il motivo del ricorso COGNOME non avesse colto la ratio decidendi della sentenza d’appello;
d) con il quarto motivo, altro errore di fatto ex art. 391 bis e 395 c.p.c. n. 4, in relazione alla statuizione di inammissibilità del quinto motivo di ricorso, con il quale il COGNOME aveva chiesto l’accertamento della nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 cpc comma I n. 4, motivo ritenuto da questa Corte inammissibile per non avere il ricorrente riprodotto i motivi di appello e, dunque, non consentito alla Corte di poter valutare la fondatezza della doglianza, laddove il COGNOME « a pag.15 del ricorso ha riportato, l’unico motivo di appello, come formulato nel relativo atto dal Comune, cosi esponendo ‘ Il Comune, così motiva e lamenta anche in atto di appello a pagina 13 rigo 21: ‘Il comma 2 dell’art 3 della legge 32/92 attribuisce la priorità nell’erogazione dei contributi destinati ad esigenza abitativa, ai proprietari di un’unica abitazione, ancora costretti in situazione precarie o provvisorie in conseguenza degli eventi sismici…(lett a) ed ai proprietari di un’unica abitazione (lett.b). L’appellato non possedendo tali requisiti, non poteva ottenere il contributo richiesto, a danno di quanti versavano nelle condizioni di
legge ;
e) con il quinto motivo, errore di fatto ex art. 391 bis e 395 c.p.c. n. 4, in punto di inammissibilità del quarto motivo del ricorso COGNOME (con il quale si era chiesto l’accertamento della violazione dell’art 112 c.p.c in relazione all’art. 360 cpc comma I n. 4, in quanto il Comune, né in primo grado di giudizio né in atto di appello, aveva mai contestato la regolarità e completamento della pratica amministrativa ma solo il fatto che l’appellato non aveva mai provato di vivere in una struttura precaria, né di non possedere altra abitazione), ritenendo questa Corte che il ricorrente non avesse assolto all’onere allegativo specifico richiesto dalla doglianza di violazione del principio di non contestazione e che comunque, dalla lettura della comparsa di costituzione e risposta in primo grado, emergeva che « il Comune aveva contestato la sussistenza (anche) del requisito di cui all’art. 3, lett. b), l.n. 32 del 1992, nel cui ambito rientra la condizione del rituale deposito della documentazione pertinente », denunciandosi nel presente motivo di revocazione che questa Corte avrebbe considerato, per superficiale o omessa lettura del motivo di ricorso, non indicati l’atto e la sede, ove era avvenuta l’allegazione del fatto asseritamente non contestato, laddove era stato chiaramente fatto riferimento all’atto di appello del Comune, e che la stessa Corte non avrebbe proceduto ad una corretta lettura dell’atto di appello del Comune e degli atti interni, ritenendo, erroneamente, che il Comune, con l’indicazione di assenza dei requisiti di cui all’art.3 lett. a) e b) avesse contestato anche l’assenza del « rituale deposito della documentazione pertinente », mentre detto Ente aveva lamentato solo « l’assenza di possidenza, con riferimento alla ‘lett. a) del requisito di proprietario di un’unica abitazione, ancora costretto in situazione precarie o provvisorie in conseguenza degli eventi sismici e lett b) proprietario di un’unica abitazione’ e non l’assenza di domande o di documentazione integrativa ».
2. Il ricorrente assume che la Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 1513/2019 pubblicata il 05/11/2019, impugnata con il ricorso per cassazione esaminato da questa Corte nell’ordinanza impugnata per revocazione, avrebbe accolto « l’appello proposto dal Comune di Mercato San Severino, ritenendo che pur avendo il Salvati provato la possidenza dei requisiti di legge di cui all’art.3 lett.b) legge 32/92 mancava agli atti del giudizio ‘l’allegazione’ della domanda di contributo e del documento integrativo, richiesto dalla Quarta Commissione Comunale ».
Il controricorrente Comune, invece, deduce di avere « sempre eccepito che il COGNOME non possedeva i requisiti previsti di cui alle lett.a) e b) dell’art.3 della legge n. 32/1992, che include tra i requisiti anche quello della mancata e incompleta presentazione della domanda entro i termini prescritti ».
A soli fini di miglior comprensione si ricorda che la legge 23 gennaio 1992, Disposizioni in ordine alla ricostruzione nei territori di cui al testo unico delle leggi per gli interventi, tra i vari, nei territori della Campania, colpiti dagli eventi sismici del novembre 1980, prevedeva, all’art.3, nel testo vigente ratione temporis , che le disponibilità finanziarie per le esigenze abitative ai fini dell’erogazione dei contributi sarebbero state utilizzate « in via prioritaria e in ordine successivo, senza ammissione di deroga » in favore: « a) dei soggetti di cui al comma 1, proprietari di una unica abitazione, ancora costretti in sistemazioni precarie o provvisorie in conseguenza degli eventi sismici di cui al citato testo unico approvato con decreto legislativo n. 76 del 1990, sempreché abbiano presentato entro il 30 giugno 1988 la prescritta domanda ed entro il 31 marzo 1989 la documentazione ai fini della ricostruzione o della riparazione delle unità abitative; b) dei soggetti di cui al comma 1, proprietari di una unica abitazione, che abbiano presentato entro il 30 giugno 1988 la prescritta domanda ed entro il 31 marzo 1989 la documentazione ai fini della
ricostruzione o della riparazione delle unità abitative ».
Dalla sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1513/2019, acquisita agli atti del procedimento n. 18452/200, definito con l’ordinanza n. 540/2024, qui impugnata per revocazione, risulta che: a) il Tribunale aveva accolto la domanda del COGNOME di condanna del Comune di Mercato San Severino al pagamento in suo favore del contributo ex lege n. 219/81, nella misura determinata dallo stesso Comune, per la ricostruzione dell’abitazione catastalmente individuata, già proprietà di uno zio e della quale l’attore era divenuto proprietario iure hereditatis , con testamento pubblico dell’11.12.1985, contributo mai erogato dal Comune « perché non gli erano stati riconosciuti i requisiti ex lege n. 32/92, come gli veniva comunicato con nota del 30.12.1998 »; b) l’appellante Comune aveva « impugnato la sentenza, contestandone la motivazione per erronea valutazione, sostenendo di non aver mai negato il diritto del Salvati, ma che, con la legge n. 32/1992, erano stati modificati i criteri di assegnazione ed il soggetto, all’epoca della richiesta, non era in possesso dei requisiti preferenziali specificati ex art. 3 della medesima legge », in quanto il richiedente, pur avendo provveduto alla ristrutturazione del fabbricato a propria cura e spese, come da « domanda di autorizzazione a firma di NOME COGNOME dell’8.03.1989, assunta al prot. del 9.8.89 n. 450H », non possedeva i requisiti per l’erogazione secondo i criteri preferenziali di legge; c) il legislatore del 1992 era infatti intervenuto sulla fase procedimentale del finanziamento dei contributi, rielaborando i criteri di prelazione per l’inserimento dei proprietari danneggiati nella graduatoria degli aventi diritto al contributo, parametrando « la prelazione nell’assegnazione dei contributi … esclusivamente alla tutela delle effettive esigenze abitative degli aventi diritto, indipendentemente dal momento di approvazione della pratica, al quale faceva invece riferimento la legge n. 219/81 », operando « anche nel caso in cui il
decreto sindacale di indicazione del contributo sia intervenuto in assenza di disponibilità finanziarie »; d) nella specie, la pratica del COGNOME non era stata respinta ma « piuttos to» era « rimasta condizionata dal sistema di priorità delineato dalla citata legge n. 32/92, in base alla quale il diritto dell’interessato può trovare soddisfazione all’esito dell’esaurimento delle pratiche prioritarie »; e) non essendo i criteri preferenziali di cui all’art.3 richiesti in via cumulativa ma solo in ordine successivo, nella specie doveva escludersi la ricorrenza di cui all’ipotesi a), avendo l’interessato provveduto alla ristrutturazione dell’immobile a proprie cura e spese, ma difettava anche il criterio preferenziale di cui alla lettera b), atteso « che questo non è dato solo dalla unicità della proprietà abitativa – della quale il COGNOME ritiene di aver dato prova -, ma anche dal rispetto delle scadenze temporali per la presentazione delle relative domande, indicate nel 31 marzo 1984 per l’istanza di contributo e nel 31 marzo 1989 per la presentazione della documentazione relativa alla costruzione o della riparazione delle unità abitative »; f) invero il Comune, nel settembre 1989, aveva chiesto all’interessato l’integrazione della pratica di ristrutturazione dell’immobile con documentazione catastale e tecnica, necessaria a definire la proprietà individuale rispetto a quella condominiale e il COGNOME non aveva dato « prova del rispetto anche dei criteri temporali prescritti, pur essi in via indifferibile, per l’assegnazione prioritaria del contributo », con conseguente irrilevanza del dato che l’immobile de quo sia l’unico in proprietà; g) né poteva essere decisiva « la circostanza. che la misura del contributo dovuto al COGNOME era stata già deliberata, come sostenuto in prime cure, perché la relativa quantificazione, ex lege indicata nell’autorizzazione alla ristrutturazione rilasciata a richiesta dell’interessato, non equivale a liquidazione dello stesso, alla quale il Comune poteva procedere solo alle condizioni di legge, che nel caso specifico è stato ritenuto non ricorressero, con stima che deve
rimanere ferma in questa sede, per le superiori ragioni ».
La Corte d’appello, accolto il gravame principale del Comune, assorbito quello incidentale del COGNOME in punto di accessori, ha respinto l’originaria domanda dell’attore.
In generale, sui limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione ex art.395 n. 4 c.p.c., si osserva quanto segue.
Il ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c. è consentito solo se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di Cassazione è affetta da errore materiale ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4), ossia se la decisione è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.
Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.
L’errore revocatorio, previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.: -non può quindi riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche,
-deve consistere in un errore di percezione, del fatto, in una svista di carattere materiale,
-deve avere rilevanza decisiva,
non deve cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata,
-deve rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi.
Inoltre, la revocazione di pronuncia di cassazione deve riguardare gli atti interni, cio è quelli che la Corte esamina direttamente, con
propria autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della S.C., perch é , se invece l’errore è stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza d à adito agli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro le sentenze di merito (Sez. 1, n. 8295 del 20/04/2005 ;Cass. Sez. Un, n. 26022 del 2008).
Questa Corte (Cass.17443/2008) ha chiarito che « l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali ».
In particolare, costituiscono atti interni quelli conseguenti alla proposizione del ricorso (ad esempio, il deposito ex art. 369, primo comma, cod. proc. civ. ed il controricorso con eventuale ricorso incidentale), tutti gli atti che vanno depositati insieme al ricorso ai sensi dell’art. 369, secondo comma, cod.proc.civ., nonch é il fascicolo d’ufficio, ma esclusivamente nei casi in cui la Corte debba esaminarli direttamente con propria autonoma indagine di fatto, senza cio è la mediazione della sentenza impugnata, in quanto siano stati dedotti errores in procedendo , ovvero perch é siano emerse questioni processuali rilevabili d’ufficio (Sez. 1, n. 24856 del 22/11/2006).
Cass. 12283/2004 ha affermato che l’errore ex art.305 n. 4 c.p.c.
deve essere, oltre che di assoluta evidenza sulla base del mero raffronto tra gli atti e i documenti di causa la sentenza impugnata, essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tal che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa.
Nella pronuncia n.10466/2011 si è altresì precisato che « in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso »; deve escludersi che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un « fatto » ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un error in procedendo ovvero in iudicando, di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ. (Cass. 7064 del 2002, la quale ha appunto escluso la configurabilità di un errore revocatorio nel caso di pretesa errata valutazione ed interpretazione dei motivi del ricorso per cassazione; Cass. 6198 del 2005; Cass. 24856/2006; Cass.5221/2009; Cass14937/2017; Cass. 20635/2017; Cass. 17179/2020).
In sostanza, in tema di revocazione per errore di fatto, l’erronea percezione degli atti di causa (nella quale si sostanzia l’errore in parola) postula la esistenza di un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti rispettivamente l’una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (sempre che la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non anche di valutazione o di giudizio).
L’errore di fatto non è quindi ravvisabile nell’ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione.
Pertanto, l’errore di fatto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico -giuridico.
La prima censura, in punto di mancato accoglimento del sesto motivo di ricorso per cassazione, è inammissibile.
La Corte d’appello aveva ritenuto non decisivo, ai fini di causa, vertente sulla sussistenza delle condizioni di legge per il diritto all’ottenimento del contributo ex legge n. 219/1981 e legge n. 32/1992 (che aveva dettato criteri per l’erogazione dei contributi), il fatto che fosse intervenuta, il 2/31990, un’autorizzazione sindacale ad eseguire i lavori di riparazione nell’immobile per l’importo indicato nella perizia approvata, dovendo poi essere verificato, ai fini della effettiva erogazione del contributo, stante le limitate disponibilità finanziarie, che la posizione del Salvati rientrasse tra quelle da esaminare in via preferenziale, operando i nuovi criteri ex legge n. 32/1992« anche nel caso in cui il decreto sindacale di indicazione del contributo sia intervenuto in assenza di disponibilità finanziarie ».
Con il sesto motivo del ricorso del 2020, il COGNOME si doleva della parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto non decisiva la circostanza che l’importo del contributo, ex legge n. 219/1981, era stato anche determinato dal Sindaco, con provvedimento del 1990, su parere della competente Commissione tecnica, invocando la
nullità della sentenza impugnata d’appello per violazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 4, per avere la Corte salernitana « dimenticato » la valenza di prova legale delle dichiarazioni del Sindaco.
Il Comune aveva replicato, in controricorso, che il provvedimento sindacale del marzo 1990 « conteneva l’autorizzazione all’esecuzione delle opere a spese, dell’istante, mentre non assegnava il contributo » e che il fatto che il ricorrente fosse nelle condizioni economiche di poter anticipare la spesa «non implica e non prova che solo per questo rientrasse anche tra le categorie per cui la Legge prevedeva la liquidazione del contributo in via prioritaria, come esattamente rilevato dalla Corte ». Né l’accoglimento della sua istanza di ricostruire medio tempore a spese proprie poteva in qualche modo dargli una posizione privilegiata in graduatoria.
Questa Corte ha ritenuto inammissibile il motivo per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente omesso di « riprodurre integralmente » il provvedimento amministrativo indicato, non permettendo così una piena valutazione del relativo contenuto, ma anche infondato, in quanto, « in ogni caso », l’atto amministrativo può assumere rilevanza quale prova legale « solo se riveste la forma dell’atto pubblico e limitatamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art. 2700 cod. civ.), ma non anche in ordine a ulteriori accertamenti fattuali o valutazioni giuridiche ivi contenute, in forma espressa o implicita ».
Il ricorrente per revocazione lamenta che questa Corte abbia trascurato di dare rilievo al fatto che il Sindaco, nel suddetto atto, dichiarava di avere « visto » le domande presentate dal COGNOME e il provvedimento della Quarta Commissione tecnica di approvazione della perizia integrativa richiesta dalla stessa, « emesso nella seduta
del 4/12/1989… (successiva alla richiesta del «settembre 1989» citata in sentenza della Corte d’appello ), dal che si evinceva che il Sindaco avesse compiuto personalmente il riscontro degli atti comunali e della documentazione presentata dal COGNOME, giudicandola completa e sufficiente anche ai fini della erogazione del contributo richiesto, anche con riguardo alla lett.b) dell’art.3 della legge del 1992.
Il motivo si deve ritenere inammissibile perché attacca soltanto la seconda ratio decidendi della Corte, quella che inizia con « in ogni caso ».
Inoltre, con tale doglianza, ci si duole non di un errore percettivo fattuale su fatti non controversi ma proprio della valutazione operata sulla valenza ai fini della decisione della controversia del documento, il cui contenuto era stato esaminato dal giudice di merito con un giudizio di irrilevanza in ordine al punto controverso della integrazione il criterio preferenziale di cui alla lettera b), atteso « che questo non è dato solo dalla unicità della proprietà abitativa – della quale il Salvati ritiene di aver dato prova -, ma anche dal rispetto delle scadenze temporali per la presentazione delle relative domande, indicate nel 31 marzo 1984 per l’istanza di contributo e nel 31 marzo 1989 per la presentazione della documentazione relativa alla costruzione o della riparazione delle unità abitative». Ancora, la decisività e rilevanza dell’autorizzazione sindacale del 1990 ai fini della spettanza al Salvati del contributo era stata contestata anche dal Comune, non solo in appello, ma anche nel giudizio di cassazione, essendosi rilevato di avere « sempre eccepito che il COGNOME non possedeva i requisiti previsti di cui alle lett.a) e b) dell’art.3 della legge n. 32/1992, che include tra i requisiti anche quello della mancata e incompleta presentazione della domanda entro i termini prescritti » e che il provvedimento sindacale del marzo 1990 « conteneva l’autorizzazione
all’esecuzione delle opere a spese , dell’istante, mentre non assegnava il contributo ».
Il secondo motivo, in punto di inammissibilità del settimo motivo del ricorso del 2020, è inammissibile.
Il settimo motivo del ricorso per cassazione del 2020, denunciante l’omesso esame, ex art.360 n. 5 c.p.c., di fatto decisivo controverso (rappresentato dall’integrazione documentale effettuata dal ricorrente, a seguito di richiesta dell’ente locale, avvenuta a maggio 1989 e non, come erroneamente riportato nella sentenza d’appello a « settembre 1989 », successivamente alla quale integrazione la Commissione tecnica comunale, nel dicembre 1989, aveva approvato la perizia e il Comune aveva emesso, nel marzo 1990, il provvedimento autorizzativo dei lavori di ristrutturazione, con, asserita, quantificazione del relativo contributo), è stato dichiarato inammissibile in quanto il fatto, asseritamente omesso, era, invece, stato esaminato dalla Corte di appello, la quale aveva concluso nel senso che il ricorrente non aveva provveduto alla « chiesta integrazione, considerata necessaria al fine di definire la proprietà individuale rispetto a quella condominiale », e il motivo sottintendeva una contestazione della valutazione operata dal giudice del merito.
Invero, si ricorda che la Corte salernitana aveva ritenuto che il COGNOME non avesse assolto all’onere di allegazione e prova del « rispetto delle scadenze temporali per la presentazione delle relative domande, indicate nel 31 marzo 1984 per l’istanza di contributo e nel 31 marzo 1989 per la presentazione della documentazione relativa alla costruzione o della riparazione delle unità abitative »; il Comune, « nel settembre 1989 », aveva chiesto all’interessato l’integrazione della pratica di ristrutturazione dell’immobile con documentazione catastale e tecnica, necessaria a definire la proprietà individuale rispetto a quella condominiale, ma il COGNOME non aveva dato « prova del rispetto anche dei criteri
temporali prescritti, pur essi in via indifferibile, per l’assegnazione prioritaria del contributo », con conseguente irrilevanza del dato che l’immobile de qu o sia l’unico in proprietà.
In ogni caso, la Corte d’appello aveva rilevato che l’autorizzazione sindacale non equivalesse a liquidazione del contributo, in quanto questo era soggetto anche ai termini temporali indicati dalla legge del 1992, ossia « del 31 marzo 1989 » per la presentazione della documentazione relativa alla costruzione o della riparazione delle unità abitative, il che non era stato dimostrato dal COGNOME
Nuovamente il ricorrente invoca, anche in questa sede, la decisività dell’autorizzazione del Sindaco agli interventi di « riparazion e» dell’immobile e si contesta che la Corte di Appello avesse accertato e dichiarato, in sentenza, che « il ricorrente non aveva provveduto alla chiesta integrazione », bensì rilevato « unicamente, ad accoglimento dell’appello, l’assenza di prova per ‘mancanza di specifica allegazione’ agli atti di giudizio, da parte attorea, della domanda di contributo ed integrazione documentale »), così erroneamente supponendo che la Corte d’appello avesse esaminato le specifiche decisive dichiarazioni rese dal Sindaco.
Quindi il ricorrente contrappone sempre una propria interpretazione del contenuto dei documenti e una propria lettura della stessa sentenza d’appello allora impugnata.
Né rileva il fatto che la Corte territoriale avesse erroneamente indicato la data della richiesta all’interessato di integrazione documentale, in quanto con tale riferimento non si sposta il dato temporale di rilievo che, nella sentenza d’appello, era costituito dai termini fissati dalla legge, ai fini dell’erogazione del contributo secondo i criteri preferenziali individuati, non dalla Commissione tecnica comunale o dal Sindaco al fine dell’autorizzazione all’esecuzione delle opere.
Correttamente quindi questa Corte aveva ritenuto che, sotto il vizio ex art.360 n. 5 c.p.c., essendo stato il fatto dal giudice di merito
esaminato, si nascondesse in realtà una richiesta inammissibile di nuova valutazione meritale.
E comunque si ripropone una diversa interpretazione, anzitutto, in ordine all’essere stato il deposito della documentazione integrativa effettuato nei termini richiesti dalla vecchia normativa, non toccati dalla legge del 1992, in quanto l’unica condizione innovativa, rispetto alle precedenti disposizioni, tale da condizionare le già avanzate richieste di contributo, sarebbe data, secondo il ricorrente, dal « delineato sistema prioritario di “unica abitazione” di cui all’art 3 lett a) e b), per la concessione prioritaria del contributo ».
Nessun errore percettivo di dati fattuali è dunque rinvenibile.
Il terzo motivo denuncia un errore di fatto compiuto da questa Corte nell’esame del terzo motivo dell’originario ricorso per cassazione del 2020.
Il terzo motivo del ricorso originario denunciava, insieme al secondo, vizio di motivazione apparente, illogica e contraddittoria, per non essere state spiegate le ragioni (« in che modo -il sistema di priorità delineato dalla legge n.32/92 – abbia influito o abbia “condizionato” il suo diritto all’elargizione del contributo ai sensi della stessa legge 32/92 né il perché il diritto del Salvati dovrebbe trovare soddisfazione non nel dettato della lettera b) della predetta legge, come invocato dal Salvati, ma all’esaurimento delle pratiche prioritarie », pag. 10 del ricorso del 2020).
Esso è stato dichiarato i nammissibile, nell’ordinanza qui impugnata, perché non si confrontava con la ratio decidendi della sentenza impugnata , in quanto la Corte d’appello aveva accolto il gravame principale del Comune in ragione dell’insussistenza dei criteri preferenziali di cui alle lett. a) e b) dell’art. 3 l. n. 32 del 1992, evidenziando, in particolare, che l’interessato aveva provveduto alla ristrutturazione dell’immobile a proprie cura e spese e che non aveva depositato tempestivamente la relativa documentazione
nella sua completezza e aggiungendo che, per tali ragioni, non era possibile l’assegnazione prioritaria, ai sensi della legge n. 32/1992, del contributo richiesto, benché l’immobile interessato fosse l’unico di proprietà dell’istante e, quand’anche, il contributo medesimo fosse già stato determinato nel suo importo .
Secondo il ricorrente in revocazione, questa Corte erroneamente avrebbe dichiarato inammissibile il motivo non avvedendosi dell’« esatto contenuto del provvedimento della Quarta Commissione Comunale , del 10 maggio 1989 – (presente nel fascicolo attoreo di primo grado nonché in copia integrale anche nel fascicolo di cortesia). Con lo stesso la Commissione chiede unicamente l’ ‘aggiornamento” del computo metrico già depositato agli atti comunali, nei termini di legge, unitamente alla domanda di contributo. Il richiesto ‘aggiornamento’ conferma l’avvenuto deposito nei termini di legge della domanda di contributo, con relativa documentazione in quanto in assenza la commissione non avrebbe chiesto tale aggiornamento ». Altro errore fattuale sarebbe consistito nel non avere rilevato « che la Corte di Appello Corte dichiara che il diritto del Salvati al contributo di legge e (è) restato ‘condizionato’ dall’intervenuto sistema prioritario », il che doveva intendersi nel senso che tutti i documenti eran stati depositati « agli atti comunali della domanda e integrazione nei termini di legge ».
Ma, ancora una volta, si contrappone al giudizio di questa Corte sull’inammissibilità del motivo per le ragioni sopra esposte un’interpretazione diversa delle norme invocabili al caso concreto e del contenuto e valenza della documentazione prodotta.
Il quarto motivo concerne l’inammissibilità del quinto motivo del ricorso del 2020, con il quale si era chiesto l’accertamento della nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 cpc comma I n. 4. Si lamentava l’extrapetizione della sentenza impugnata d’appello nella parte in
cui aveva negato la sussistenza delle condizioni di cui alla lett. b) dell’art. 3, l.n. 32 del 1992 in ragione della incompletezza della documentazione presentata, benché tale questione non fosse stata oggetto di motivo di impugnazione, poiché l’appello avrebbe investito solo l’accertamento della sussistenza, in capo al Salvati, del requisito di « un’unica abitazione » previsto dalla Legge n. 32/92.
Questa Corte ha ritenuto la doglianza inammissibile per non avere il ricorrente riprodotto i motivi di appello e, dunque, per non avere consentito alla Corte di poter valutare la fondatezza della doglianza.
Si lamenta, nel ricorso per revocazione, che il COGNOME « a pag.15 del ricorso ha riportato, l’unico motivo di appello, come formulato nel relativo atto dal Comune, cosi esponendo Il Comune, così motiva e lamenta anche in atto di appello a pagina 13 rigo 21: ‘Il comma 2 dell’art 3 della legge 32/92 attribuisce la priorità nell’erogazione dei contributi destinati ad esigenza abitativa, ai proprietari di un’unica abitazione, ancora costretti in situazione precarie o provvisorie in conseguenza degli eventi sismici…(lett a) ed ai proprietari di un’unica abitazione (lett.b). L’appellato non possedendo tali requisiti, non poteva ottenere il contributo richiesto, a danno di quanti versavano nelle condizioni di legge ».
Ma il Comune, nel controricorso a suo tempo depositato, aveva evidenziato che « il motivo del diniego del pagamento da parte del Comune è sempre stato il mancato possesso, da parte del COGNOME, dei requisiti di cui alle lett. a) o b) dell’art. 3 della L. 32/92, e la norma richiamata include tra i requisiti anche quello della presentazione della documentazione entro precisi termini », che il COGNOME non possedeva « i requisiti di cui all’art. 3, co. 2 della L. 32/1992 e che quindi non era possibile erogare il contributo se non all’esito dell’esaurimento delle pratiche negli elenchi di priorità », mentre l’avere precisato anche « che il COGNOME non aveva mai
provato di vivere in una struttura precaria o di non possedere altra abitazione » non vuol dire che la contestazione si riferisse unicamente a questi due profili, come cerca di sostenere il ricorrente.
E la Corte d’appello ha espressamente affermato che l’appellante Comune aveva « impugnato la sentenza, contestandone la motivazione per erronea valutazione, sostenendo di non aver mai negato il diritto del Salvati, ma che, con la legge n. 32/1992, erano stati modificati i criteri di assegnazione ed il soggetto, all’epoca della richiesta, non era in possesso dei requisiti preferenziali specificati ex art. 3 della medesima legge », in quanto il richiedente, pur avendo provveduto alla ristrutturazione del fabbricato a propria cura e spese, come da « domanda di autorizzazione a firma di NOME COGNOME dell’8.03.1989, assunta al prot. del 9.8.89 n. 450H », non possedeva i requisiti per l’erogazione secondo i criteri preferenziali di legge.
A questo punto, doveva essere dimostrato che vi fosse il vizio di extrapetizione nella sentenza d’appello e l’estratto a pag.15 del ricorso per cassazione del 2020 dell’atto d’appello non consentiva di escludere che oggetto del gravame del Comune fosse l’insussistenza in capo al Salvato delle condizioni cui «il comma 2 dell’art 3 della legge 32/92 attribuisce la priorità nell’erogazione dei contributi destinati ad esigenza abitativa».
Peraltro, a monte del ragionamento di questa Corte, vi è sempre un giudizio o un’opzione interpretativa, quella secondo cui il giudice di legittimità, in caso di denunciato error in procedendo , non deve limitarsi a vagliare la sufficienza e logicità della motivazione con cui quello di merito ha statuito sul punto, avendo il potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, ma sempre « purché la censura sia stata ritualmente formulata, rispettando, in particolare, il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito di
specificità dei motivi di impugnazione, in quanto l’esame diretto degli atti e dei documenti è circoscritto a quelli che la parte abbia specificamente indicato ed allegato » (Cass.896 /2014), il che vale anche « In caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice di merito, per avere pronunciato su di una domanda non proposta, il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso introduttivo del giudizio, purché ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., al fine di verificare contenuto e limiti della domanda azionata » (Cass.8008 /2014; cfr. Cass. 20924/2019, secondo cui « qualora venga dedotto un “error in procedendo”, la Corte è giudice anche del “fatto processuale” e può esercitare il potere-dovere di esame diretto degli atti purchè la parte ricorrente li abbia compiutamente indicati, non essendo legittimata a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi », essendosi ritenuto che la censura di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi di impugnazione avrebbe potuto essere esaminata solo se nel ricorso per cassazione fossero stati riportati, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello ).
Non si rinviene quindi un errore percettivo in fatto.
8. Con il quinto motivo ci si duole della dichiarata inammissibilità del quarto motivo del ricorso COGNOME (con il quale si era chiesto l’accertamento della violazione dell’art 112 c.p.c in relazione all’art. 360 cpc comma I n. 4, in quanto il Comune, né in primo grado di giudizio né in atto di appello, aveva mai contestato la regolarità e completamento della pratica amministrativa ma solo il fatto che l’appellato non aveva mai provato di vivere in una struttura precaria, né di non possedere altra abitazione).
Questa Corte ha ritenuto, anzitutto, che il ricorrente non avesse
assolto all’onere allegativo specifico richiesto dalla doglianza di violazione del principio di non contestazione e che comunque, dalla lettura della comparsa di costituzione e risposta in primo grado, emergeva che « il Comune aveva contestato la sussistenza (anche) del requisito di cui all’art. 3, lett. b), l.n. 32 del 1992, nel cui ambito rientra la condizione del rituale deposito della documentazione pertinente ».
Nel presente motivo di revocazione, si denuncia come errore ex art.395 n. 4 c.p.c. che questa Corte avrebbe considerato, « per superficiale o omessa lettura del motivo di ricorso », « non indicati» l’atto e la sede, ove era avvenuta l’allegazione del fatto asseritamente non contestato, laddove era stato chiaramente fatto riferimento all’atto di appello del Comune, e che la stessa Corte non avrebbe proceduto ad una corretta lettura dell’atto di appello del Comune
Si denuncia poi un’erronea lettura degli atti interni, essendosi, erroneamente, ritenuto che il Comune, con l’indicazione di assenza dei requisiti di cui all’art.3 lett. a) e b) avesse contestato anche l’assenza del « rituale deposito della documentazione pertinente », mentre detto Ente aveva lamentato solo « l’assenza di possidenza, con riferimento alla ‘lett. a) del requisito di proprietario di un’unica abitazione, ancora costretto in situazione precarie o provvisorie in conseguenza degli eventi sismici e lett b) proprietario di un’unica abitazione’ e non l’assenza di domande o di documentazione integrativa ».
Anche tale doglianza è inammissibile per le ragioni già espresse nei precedenti paragrafi.
Quale fosse il contenuto dell’atto di appello del Comune, peraltro, era il punto controverso della causa, contrapponendo il ricorrente una lettura dell’atto di appello in termini diversi da quelli ritenuti dalla Corte di merito e dal controricorrente Comune, il quale deduce di avere « sempre eccepito che il COGNOME non possedeva i
requisiti previsti di cui alle lett.a) e b) dell’art.3 della legge n. 32/1992, che include tra i requisiti anche quello della mancata e incompleta presentazione della domanda entro i termini prescritti ».
Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 7.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio