Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22108 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22108 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19383/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
-ricorrente – contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME e ASSICURATORI RAGIONE_SOCIALE LONDRA;
-intimati – avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 5461/23, depositata il 22 febbraio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE) convenne in giudizio NOME COGNOME, già amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE per sentirlo condannare al risarcimento del danno cagionato dall’omessa presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2008.
Si costituì il convenuto e resistette alla domanda, chiamando in garanzia NOME COGNOME cui era stato affidato l’incarico di presentare la dichiarazione, ed al quale la società attrice estese la domanda.
Il convenuto ed il terzo chiamato estesero poi la domanda agli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra.
1.1. Con sentenza del 19 novembre 2015, il Tribunale di Milano rigettò la domanda.
Il gravame interposto dalla società attrice fu parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Milano, che con sentenza del 7 novembre 2017 condannò il Borgonovo ed il COGNOME in solido al pagamento di un dodicesimo della sanzione che sarebbe stata dovuta ad Equitalia in caso di ravvedimento operoso, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali.
Avverso la predetta sentenza la società propose ricorso per cassazione, parzialmente accolto con ordinanza del 22 febbraio 2023.
Premesso che, nel porre a carico dell’amministratore della società incorporante il dovere di verificare la situazione fiscale della società incorporata, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione, reputando irragionevole che, in quanto unica legittimata a provvedere al ravvedimento operoso, a partire dalla data della fusione, la società incorporante potesse non essere a conoscenza degli adempimenti IVA della società incorporata, questa Corte ha osservato che la fusione dà luogo ad un fenomeno di integrazione o compenetrazione, cui consegue l’imputazione all’incorporante dei rapporti attivi e passivi già facenti capo all’incorporata, ivi compresa la responsabilità per le infrazioni commesse anteriormente alla fusione. Ha confermato che, in caso di fusione per incorporazione, l’incorporante è tenuto a presentare la dichiarazione IVA anche per l’incorporato, relativamente al pe-
riodo anteriore alla fusione, precisando che nella specie, poiché la fusione aveva avuto luogo nel mese di ottobre, l’esposizione di un credito IVA dell’incorporata nella dichiarazione annuale della stessa, anziché in quella dell’incorporante, costituiva una violazione, sia pure di carattere meramente formale.
In ordine al concorso della ricorrente nella produzione del danno costituito dalle sanzioni e dagl’interessi applicati per l’utilizzazione del credito IVA della incorporata in mancanza della dichiarazione relativa all’anno precedente, in ragione della mancata effettuazione del ravvedimento operoso e della mancata contestazione della sanzione per indebita detrazione dell’IVA, questa Corte ha ritenuto invece dirimente la circostanza che la ricorrente non avesse contestato giudizialmente l’avviso ricevuto dall’Amministrazione finanziaria, pur avendo avuto la certezza dell’effettiva sussistenza del credito utilizzato.
Ha rilevato inoltre che il diritto allo scomputo del credito era idoneo a produrre effetti anche sugl’interessi e le sanzioni applicati a seguito dell’utilizzazione del credito IVA dell’incorporata, operando la compensazione dal giorno della coesistenza dei crediti, mentre ha ritenuto inammissibili le censure riguardanti la sussistenza dei presupposti per la configurabilità del concorso degli amministratori, in quanto riflettenti l’insufficienza della motivazione in diritto della sentenza impugnata.
Ha ritenuto invece fondato il motivo di ricorso avente ad oggetto l’omessa pronuncia in ordine alla domanda di restituzione delle spese processuali corrisposte dalla ricorrente in esecuzione della sentenza di primo grado.
Avverso la predetta ordinanza la PTH ha proposto ricorso per revocazione, affidato a un solo motivo. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., osservando che, nel ritenere sussistente il concorso nella causazione del danno costituito da sanzioni ed interessi per l’utilizzazione del credito IVA, l’ordinanza impugnata ha affermato che essa ricorrente non aveva contestato giudizialmente gli atti relativi
all’IVA, agl’interessi ed alle sanzioni notificati dall’Amministrazione, in contrasto con le risultanze degli atti di causa, da cui emergeva che fin dal primo grado essa aveva allegato e provato di aver promosso due giudizi tributari, aventi ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di pagamento e della cartella esattoriale, nei quali aveva chiesto l’accertamento del diritto all’utilizzazione del credito IVA e del diritto al rimborso delle sanzioni e degl’interessi, versati per poter beneficiare della riduzione delle sanzioni e per ottenere l’avvio della pratica di riconoscimento del credito IVA. Precisato che la cartella esattoriale è stata dapprima sospesa e poi annullata dall’Ufficio, a seguito del riconoscimento del credito IVA, mentre quella di rimborso delle sanzioni e degl’interessi è stata rigettata, sostiene che l’avvenuta proposizione delle predette impugnazioni aveva costituito un punto non controverso, essendosi discusso soltanto dell’impugnabilità dell’avviso bonario.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, la giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che l’errore rilevante ai sensi dello art. 395 n. 4 cod. proc. civ. a) deve consistere in un’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito oggetto di discussione delle parti) b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa, c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra il provvedimento impugnato e gli atti di causa, d) deve essere essenziale e decisivo, e e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione, nonché incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 19/07/2024, n. 20013). E’ stato altresì precisato che la decisività dell’ error facti addotto a sostegno dell’impugnazione deve emergere già in astratto, e cioè sulla base delle mere deduzioni del ricorrente in revocazione, cui incombe l’onere di prospettare e supportare documentalmente una falsa rappresentazione della realtà processuale idonea a costituire l’antecedente di un preciso determinismo causale rispetto alla concreta decisione adottata sulla base di tale errore (cfr. Cass., Sez. V, 2/09/ 2024, n. 23469).
Tali caratteri non sono ravvisabili nell’errore di fatto allegato dalla ricorrente, il quale non solo non emerge con immediatezza dal confronto con gli atti del giudizio di legittimità, ma risulta smentito dalla mera lettura dell’ordinanza impugnata, la quale dimostra che la falsa rappresentazione della vicenda addebitata al Collegio giudicante è dovuta all’omessa menzione, nei motivi di ricorso per cassazione, di circostanze allegate nel giudizio di merito, che la ricorrente aveva l’onere di richiamare a sostegno dell’impugnazione.
Ai fini del rigetto del secondo motivo di ricorso, riguardante l’affermazione del concorso prevalente di colpa della PTH per il danno derivante dall’applicazione di sanzioni ed interessi, l’ordinanza impugnata ha infatti rilevato (cfr. pag. 6, ultimo periodo) che la ricorrente, dopo aver menzionato nella narrativa del ricorso le sanzioni di natura formale concernenti l’omessa presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2008, nel motivo di ricorso non ne aveva fatto cenno, ma si era limitata a trattare delle sanzioni irrogate per l’utilizzazione del credito IVA relativo all’anno 2008 ai fini della compensazione con il debito relativo all’anno 2009 (non consentita, in assenza della dichiarazione relativa all’anno precedente), e di quelle applicate per il mancato versamento dell’IVA in sede di dichiarazione annuale (evidentemente, quella relativa all’anno 2009).
Ciò posto (e dichiarato di voler prescindere dalle ragioni d’inammissibilità delle censure: commistione tra violazione di legge e vizio di motivazione, qualificazione delle circolari come fatti decisivi), l’ordinanza impugnata ha ritenuto dirimente, ai fini dell’accertamento del concorso di colpa, «la circostanza che l’incorporante non abbia giudizialmente contestato l’avviso ricevuto dall’amministrazione finanziaria, sebbene avesse la certezza dell’effettiva sussistenza del credito utilizzato», precisando che l’omissione della dichiarazione costituisce una violazione puramente formale, inidonea ad incidere sull’insorgenza del credito IVA, «che è ancorata all’effettuazione delle operazioni imponibili, qualora le poste a credito sopravanzino quelle a debito, anche qualora nessuna dichiarazione sia presentata», ed aggiungendo che di ciò era consapevole anche la PTH, la quale aveva insistito «in via amministrativa» per il riconoscimento del credito, nonostante l’omissione della dichiarazione.
Tale rilievo, configurabile come ratio decidendi della statuizione riguardante il concorso di colpa, non risulta attinto dal motivo di revocazione, con cui la ricorrente si limita ad insistere sul fatto di avere «già in primo grado dedotto e dimostrato documentalmente di aver instaurato due vertenze tributarie dirette ad accertare sia il buon diritto ad aver utilizzato il credito IVA dell’anno precedente, sia il diritto al rimborso delle sanzioni ed interessi richiesti, come versati in via tuzioristica, per beneficiare da una parte della prevista riduzione delle sanzioni e dall’altra per acconsentire alla condizione posta dall’Ufficio per poter procedere all’avvio in tempo reale della pratica di riconoscimento del credito IVA in presenza di dichiarazione omessa» (cfr. pag. 12 del ricorso, ultimo periodo), senza fare alcun riferimento all’omissione di iniziative giudiziali, se non per ribadire la possibilità di ottenere ugualmente il riconoscimento del credito, ai fini della compensazione del debito IVA relativo all’anno successivo.
Il difetto di pertinenza delle censure trova conferma nell’ulteriore svolgimento del motivo di revocazione, con cui la ricorrente ribadisce di non aver impugnato l’avviso di pagamento bonario (recante la contestazione dell’omessa presentazione della dichiarazione IVA 2008), aggiungendo di non aver pagato il debito IVA, ma di essersi limitata a pagare interessi e sanzioni in misura ridotta, al solo fine di ottenere l’avvio della pratica per il riconoscimento del credito IVA. Essa sostiene di aver impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano il diniego di riconoscimento del credito IVA, e di aver chiesto in detta sede il rimborso di quanto pagato per sanzioni ed interessi (cfr. pag. 14 del ricorso, alla fine), nonché di aver impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze la cartella esattoriale notificatale a seguito dell’avviso bonario e di averne ottenuto la sospensione, seguita dall’annullamento d’ufficio, per effetto del successivo riconoscimento del credito IVA in via amministrativa (cfr. pag. 15 del ricorso, all’inizio): tali circostanze, che secondo la ricorrente sarebbero state allegate nel giudizio di merito, non risultano tuttavia dedotte nel ricorso per cassazione, nel quale la ricorrente si è limitata ad affermare di aver pagato interessi e sanzioni richiesti con l’avviso bonario, evidenziando la non impugnabilità di quest’ultimo e la conseguente necessità di attendere la notificazione della
cartella esattoriale, senza però allegare di averla impugnata. Nel ricorso per revocazione, la ricorrente insiste invece di aver allegato l’avvenuta impugnazione degli atti tributari, senza tuttavia riuscire a dimostrare di averla dedotta nei motivi di ricorso per cassazione, giacché gli atti a tal fine citati consistono soltanto nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. nel giudizio di merito, non richiamate in sede di legittimità.
In quest’ottica, l’impugnazione per revocazione, oltre a riflettere un errore di fatto non desumibile dagli atti interni al giudizio di legittimità, ma dagli atti del giudizio di merito (che questa Corte può esaminare direttamente soltanto nel caso in cui venga dedotto un error in procedendo , ed il cui esame diretto presuppone comunque, in ossequio al principio di specificità dell’impugnazione, il richiamo dei predetti atti, in termini idonei ad evidenziare il vizio della sentenza impugnata), si risolve in un tentativo di riproporre le censure sollevate con il ricorso per cassazione, emendandole dalle deficienze riscontrate dall’ordinanza impugnata.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degli intimati.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’8/04/2025