Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33861 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33861 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28602/2020 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
PROVINCIA GROSSETO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1575/2019 depositata il 27/06/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1476/2012 del 16.11.2012 la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 184 del 15.2.2008 con cui il Tribunale di Grosseto aveva revocato, in accoglimento dell’opposizione della Provincia di Grosseto, il decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di € 371.064, oltre accessori, dallo stesso ottenuto quale cessionario del credito maturato da RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello ha ritenuto, riguardo al primo motivo d’appello, con cui il COGNOME contestava l’affermazione del giudice di primo grado di non poter sindacare i motivi del rifiuto della Provincia di aderire alla cessione del credito da Gedifa in suo favore, che tale motivo fosse inammissibile in rito, prima ancora che infondato nel merito, dato che, in primo grado, l’attore sostanziale non aveva formulato alcuna domanda o eccezione circa la legittimità del diniego della Provincia rispetto alla cessione, ma aveva solo lamentato la tardività della manifestazione della scelta. La sentenza d’appello aveva, inoltre, rilevato che il Tribunale aveva spiegato perché non fosse sindacabile in questa sede il rifiuto dell’Amministrazione in quanto libera scelta negoziale non soggetta a valutazioni pubblicistiche compiuta nella sfera di autodeterminazione privatistica dell’ente pubblico e di cui le controparti sono tenute a prendere atto.
La predetta sentenza d’appello ha poi evidenziato la tempestività del diniego della Provincia, nel termine di 15 giorni dalla notifica della cessione di cui all’art. 115 , comma 3, DPR 554/1999, atteso che la comunicazione della cessione, seppur inviata il 13.9.2002,
era pervenuta alla Provincia soltanto il successivo 17, come attestato dall’estratto del protocollo.
La sentenza di appello, infine, aveva ritenuto che non vi fossero state altre manifestazioni di volontà della Provincia di segno opposto, rispettose delle formalità che devono circondare la manifestazione di volontà negoziale della P.A., tali da smentire il diniego, atteso che, da un lato, il diniego era stato formalmente manifestato dal funzionario competente in risposta alla comunicazione altrettanto formalmente pervenuta, e, dall’altro, tale manifestazione di volontà non poteva essere smentita da fatti alternativi concludenti, né dalle dichiarazioni di altri funzionari, o dalla espressioni di pareri interni alla struttura burocratica. Pertanto, nessun valore confessorio poteva essere attribuito alla dichiarazione di resa ex art. 547 c.p.c. da un funzionario della Provincia davanti al Giudice dell’Esecuzione, né aveva nessuna valenza il certificato di collaudo, come ininfluente era, del resto, il parere interno reso dagli uffici legali della Provincia.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per revocazione ex art. 395 comma 4 c.p.c. deducendo quali motivi:
l’errore di fatto in cui era incorsa la Corte d’Appello circa l’inammissibilità del primo motivo d’appello, e ciò in quanto nel giudizio di primo grado aveva ampiamente dedotto sull’illegittimità del rifiuto della Provincia, essendo basato sul presupposto erroneo della insufficienza del credito;
la violazione degli artt. 1323, 1325, 1327, 1362 – 1371, 1175, 1176, 1366 e 1375 c.c. sul rilievo che la sentenza d’appello non aveva tenuto conto della nota di trasmissione di cessione del credito del 13.9.2002, consegnata in pari data e costituente data certa, della nota dell’ufficio legale della Provincia del 27.1.2003 ai dirigenti dei settori con cui li invitava ad astenersi da pagamenti alla Gedifa, della dichiarazione del funzionario delegato in sede di
pignoramento presso terzi, della dichiarazione dell’ufficio legale della Provincia, che affermava che nulla ostava al pagamento al COGNOME;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 187, comma 2, 189 comma 3, 195 comma 1, lett. 2), 209 DPR 554/1999, relativamente alla ritenuta valenza del certificato di collaudo che prescriveva un pagamento a suo favore;
la violazione dell’art. 115 , comma 3, DPR 554/99 sulla sindacabilità del rifiuto, applicandosi tale norma solo allo Stato;
la violazione degli artt. 1362 e ss., 1175, 1176, 1366 e 1375 c.c. sul rilievo che il rifiuto della cessione non poteva essere una libera scelta della P.A.;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, comma 3, DPR 554/2005, 339 L. 2248/1865 all F., 69 e 70 RD 2440/23, sul rilievo che la sentenza non aveva tenuto conto di documenti decisivi, ovvero la nota del 13.9.2002 della RAGIONE_SOCIALE, della nota del 27.1.2003 della Provincia di Grosseto e della cessione di credito, consegnata promanibus proprio alla segreteria dell’ufficio LLPP della Provincia di Grosseto (cfr. doc. 14), da cui emergeva che la Provincia era a conoscenza della cessione già in data 13.9.2002, mentre la nota di diniego era stata ricevuta il successivo 30, oltre i termini di legge.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1575/2019, depositata il 27.6.2019, ha rigettato la revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c..
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che:
l’errore di fatto dedotto con riferimento alla affermata inammissibilità del primo motivo d’appello (sulla questione della illegittimità del rifiuto della Provincia) non costituisce vizio revocatorio, atteso che la sentenza impugnata, sia pure per completezza, aveva motivato, aderendo al rilievo del Tribunale sulla insindacabilità del rifiuto;
quanto al non aver tenuto conto di altre manifestazioni di volontà o di comportamento concludenti della Provincia diretti all’accettazione della cessione di credito, ha osservato la Corte d’Appello che, posto che le norme asseritamente violate non possono rilevare in sede di revocazione, si trattava di questione che aveva formato oggetto di discussione nel giudizio;
l’affermazione che la nota di diniego non era stata notificata, come previsto dall’art. 115 DPR 554/2005, non costituiva errore di fatto revocatorio;
il certificato di collaudo era stato esaminato e ne era stata esclusa la rilevanza e si trattava, quindi, di questione che aveva formato oggetto di discussione tra le parti;
l’affermata non sindacabilità del rifiuto della Provincia alla cessione di credito, in quanto basata sul rilievo della natura di libera scelta negoziale del rifiuto. Non poteva perciò assumere i caratteri dell’errore revocatorio;
il quinto motivo di impugnazione faceva esclusivamente riferimento a dedotte violazioni di legge, come tali esulanti in radice dall’errore revocatorio;
l’errore di fatto consistente nel non avere la sentenza tenuto conto della nota di Gedifa del 13.9.2002 e della nota del 27.1.2003 della Provincia, da cui emergeva che la Provincia era a conoscenza della cessione in data 13.9.2002, era inesistente, atteso che la lettera della Gedifa recante tale data risultava ricevuta dalla Provincia in data 16.9.2003 (come da ricevuta di raccomandata), mentre nessuna ricezione pro manibus risultava in atti (il doc. 14 era tutt’altro, si trattava di cedole di pagamento), e la nota della Provincia del 27.1.2003 nulla diceva circa la ricezione della cessione e della sua data, trattandosi, in ogni caso, di questione che aveva formato oggetto di discussione in giudizio.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a tre motivi. La Provincia di Grosseto ha resistito in giudizio con controricorso.
Il ricorrente ha tardivamente depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 395 4, c.p.c.
, n.
Espone il ricorrente che il fatto revocatorio investe tutta la vicenda in esame; in particolare, in primo luogo, l’errore (di calcolo) in cui era incorsa la Provincia nel redigere il conteggio analitico delle somme da erogare a RAGIONE_SOCIALE alla data del 31.8.2002. La stazione appaltante era incorsa in un ulteriore errore di calcolo, configurandosi come errore di ‘fatto’, pagando all’altra cessionaria RAGIONE_SOCIALE € 33.507,00 in più. Sul punto, il giudice del gravame era incorso in un’altra svista, non avendo tenuto conto delle istanze dedotte alle pagg. 3 e 4 del procedimento monitorio.
Quanto alla tempestività del diniego della Provincia, la nota di rigetto della cessione era stata resa oltre i 15 giorni, come da nota di consegna della cessione di credito a mani del 13.9.2002, documento non contestato dalla controparte e disatteso dal giudice del Tribunale di Grosseto che era incorso in una svista. Anche nel giudizio d’appello, il COGNOME aveva dedotto che il rifiuto dell’Ente era tardivo, come da nota del 13.09.2002, consegnata a mani del dirigente addetto della Provincia di Grosseto, la quale, in tale grado, non aveva contestato la nota consegnata a mani, né il certificato di collaudo, peraltro non contestati nemmeno nel giudizio di primo grado.
Il ricorrente ha poi riportato nel proprio ricorso lunghi stralci della comparsa conclusionale del giudizio d’appello e del ricorso per revocazione, evidenziando (pag. 23) che ‘ … da ciò si configura una
falsa percezione della realtà, svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale ha portato ad affermare o suppore l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, che consente l’azione revocatoria’.
Infine, il ricorrente, soffermandosi sull’affermazione contenuta nella sentenza d’appello n. 1467/2012, secondo cui il COGNOME non aveva formulato alcuna domanda o eccezione circa l’intrinseca legittimità del diniego della Provincia -affermazione smentita dalla documentazione in atti -deduce che il giudice d’appello era incorso in un errore di fatto, da sottoporre al giudizio di revocazione, potendo l’errore revocatorio avere ad oggetto il contenuto degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 395 , n. 4, c.p.c. afferente al secondo motivo di appello per revocazione.
Il ricorrente espone che nel ricorso per revocazione era stato evidenziato che il giudice d’appello era incorso in una svista per non aver esaminato la determinazione n. 426/2003 di approvazione definitiva del certificato di collaudo e degli atti di contabilità finale, che era presente negli atti del giudizio. Peraltro su tale determinazione non vi era stato alcun contraddittorio da parte del Tribunale di Grosseto, né era stato oggetto di contraddittorio negli altri giudizi (compreso quello per revocazione) e quindi era ‘ergo censurabile per ricorso per revocazione’.
Viene, altresì, dedotto che il giudice del gravame era incorso in una svista nel non prendere in esame la delega del Presidente della Provincia al funzionario, tal COGNOME, incaricato di prestare la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. nel procedimento di pignoramento presso terzi.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 395 , n. 4, c.p.c.. afferente al quarto motivo di appello per revocazione.
Il ricorrente contesta l’affermazione del giudice della revocazione secondo cui ‘ nessuna ricezione pro manibus risulta in atti ‘.
Evidenzia che la nota di RAGIONE_SOCIALE del 13.9.2002 consegnata a mani era presente nel fascicolo d’appello come doc. 9 ed era altresì presente nel fascicolo di primo grado come doc. 1. del fascicolo di parte.
Ad avviso del ricorrente l’errore di fatto in cui è incorso il giudice è provato dagli atti e non è stato mai oggetto di contraddittorio in quanto né il giudice di primo grado, né quello del gravame menzionano mai tale nota.
Tutti i motivi, da esaminare unitariamente, afferendo tutti alla dedotta violazione dell’art. 395 , n. 4, c.p.c., sono inammissibili.
Va preliminarmente osservato che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 26890/2019; Cass. n. 2236/2022), l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali.
Dall’esame dei tre motivi del ricorso emerge con evidenza che gli errori di fatto denunciati dal ricorrente sono i seguenti:
l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello n. 1467/2012, secondo cui il COGNOME non aveva formulato alcuna domanda o eccezione circa l’intrinseca legittimità del diniego della Provincia, affermazione smentita dalla documentazione in atti (primo motivo);
omesso esame della determinazione n. 426/2003 di approvazione definitiva del certificato di collaudo e degli atti di contabilità finale (presente negli atti del giudizio) su cui non vi è stato alcun contraddittorio né in primo grado del giudizio, né in secondo, né in quello per revocazione (secondo motivo);
3) omesso esame dell’atto di delega conferito dal Presidente della Provincia al funzionario, tal COGNOME incaricato di prestare la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. nel procedimento di pignoramento presso terzi (secondo motivo);
4) omesso esame della nota di RAGIONE_SOCIALE del 13.9.2002 consegnata a mani (presente nel fascicolo d’appello come doc. 9 ed altresì presente nel fascicolo di primo grado come doc. 1.), mai oggetto di contraddittorio, in quanto non menzionata né dal giudice di primo grado né da quello del gravame (terzo motivo).
Nel primo motivo, il ricorrente ha, inoltre, dedotto altro errore revocatorio che ‘investe l’intera vicenda in esame’, ma, sul punto, le censure del ricorrente sono scarsamente intellegibili contenendo un coacervo di frasi virgolettate, richiamo del contenuto di documenti e di atti processuali, ricostruzione di fasi processuali, intervallate da affermazioni in ordine alla ricorrenza dell’errore revocatorio che non trovano alcun substrato argomentativo. Sul punto, va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 16700/2020; Cass. n. 24298/2016; Cass. n. 4651/2021 in motivazione) quello secondo cui ‘Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione’.
A questo punto, esaminando gli errori di fatto denunciati dal ricorrente, chiaramente illustrati, come sopra individuati ai punti da 1 a 4, va osservato, con riferimento, al punto sub 1, che l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello n. 1467/2012, secondo cui il COGNOME non aveva formulato alcuna domanda o eccezione circa l’intrinseca legittimità del diniego della Provincia, non integra, nel caso di specie, un errore revocatorio, anche se è vero che, in astratto, può configurarsi l’errore revocatorio riconducibile ad un’errata ricognizione del contenuto di atti processuali (vedi Cass. n. 2478/2007; Cass n. 22569/2013). Infatti, come ben evidenziato dalla sentenza impugnata, nonostante l’affermazione in premessa, la sentenza d’appello n. 1467/2012 ha regolarmente esaminato nel merito il primo motivo d’appello, aderendo al rilievo del Tribunale circa l’insindacabilità del rifiuto della Provincia alla cessione del credito. Non vi è dubbio, quindi, che la premessa iniziale non fosse altro che una mera motivazione ad abundantiam priva di effetti giuridici e ininfluente ai fini della decisione – di modo che la parte soccombente non aveva né l’onere né l’interesse ad impugnarla -atteso che l’appello è stato rigettato, previo esame nel merito di tutti i motivi.
Quanto agli errori di fatto denunciati sub 2, 3 e 4 -omesso esame della determinazione n. 426/200, della delega conferita al funzionario dal Presidente della Provincia nel procedimento per pignoramento presso terzi e della nota del 13.9.2002 asseritamente consegnata a mani -dalla stessa analitica illustrazione del ricorrente emerge con evidenza che non si tratta di errori di fatto, riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 395 , n. 4, c.p.c..
Neppure il ricorrente allega che la Corte d’Appello, nella sentenza n. 1467/2012, abbia espressamente escluso, contrariamente alle dedotte risultanze processuali, l’esistenza della determinazione n. 426/03, della delega del Presidente della Provincia e della nota del
13.9.2002, tanto è vero che viene denunciato, al contrario, lo ‘omesso esame’ di tali documenti che, peraltro, secondo la stessa prospettazione di parte ricorrente, non hanno formato mai oggetto di contraddittorio.
Dunque, il ricorrente, pur affermando apoditticamente che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in un errore di fatto percettivo, in realtà, quello che lamenta reiteratamente non è che la decisione della causa sia stata fondata sull’affermazione o la supposizione dell’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure sull’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, ma l’omessa valutazione dei fatti veicolati nei documenti sopra indicati e che tali fatti siano stati ignorati nonostante che i documenti relativi si trovassero tutti nel fascicolo processuale. Ma è evidente che così si censura solo il giudizio valutativo espresso dal decidente in ordine alla risultanze fattuali acquisite del processo, il che colloca le censure in rassegna fuori dal perimetro dell’art. 395, n 4, c.p.c.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuna controricorrente, nella somma di € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile il 29.11.2024
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME