Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24644 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24644 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26411-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di erede di RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 26579/2024 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 11/10/2024 R.G.N. 17585/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 26411/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
RILEVATO CHE
NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME, chiede la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. sezionale 2296/2024, n. raccolta generale 26579/2024, in causa n. rg. 17585/2018 per errore di fatto in ordine all’art. 152 disp. att. cod. proc. civ.
INPS resiste con controricorso lamentando l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, per non essere state trascritte le dichiarazioni ex art. 152 disp. att cod. proc. civ. richiamate.
A tale eccezione risponde nella memoria il ricorrente.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 25 giugno 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Come ancora di recente ribadito in Cass. n. 12506/2024, «questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. idoneo a costituire motivo di revocazione si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta
immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche. Esso non può consistere in un preteso inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in t al caso, nell’ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.. L’errore revocatorio presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio sul piano logico giuridico, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (cfr. tra le altre, Cass. n. 16439 del 2021, n. 22171 del 2010, n. 8180 del 2009, n. 14267 del 2007, n. 4015 del 2006, n.3652 del 2006)».
Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., secondo le acquisizioni della giurisprudenza di questa Corte da ultimo ricordate da Cass. SU n.20013/2024, «a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione tra le parti; b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; d) deve essere
essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione revocanda deve esistere un nesso causale tale da affermare con certezza che, ove l’errore fosse mancato, la pronuncia avrebbe avuto un contenuto diverso; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione ed incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili contro la decisione stessa» (Cass. SU n. 20013/2024 e giurisprudenza ivi citata).
Pertanto, «non è viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali. In tali casi si verte in errori di giudizio e, conseguentemente, il ricorso per revocazione è inammissibile (cfr. Cass. n. 29369 del 2023 e ivi le richiamate Cass. n. 1040 del 2022, n. 442 del 2018, n.16136 del 2009, n. 3365 del 2009 e Cass. Sez. Un. n. 26022 del 2008)» (Cass. n. 12506/2024).
E’ altresì principio consolidato quello per cui «l’errore di fatto non è ravvisabile nell’ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione. Pertanto, l’errore di fatto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che
investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico -giuridico» (Cass. n. 10973/2024).
Tanto premesso il motivo è ammissibile quale motivo revocatorio, come ex multis Cass. n. 5416/2022, e non hanno pregio le censure di difetto di autosufficienza, considerato che: nel ricorso per revocazione si afferma che il ricorso di primo grado e la memoria in appello riportavano in calce la dichiarazione ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ. ed era depositata la relativa autocertificazione; che lo stesso era stato fatto nelle conclusioni dell’originario ricorso in cassazione (a pag. 8), dove era presente la dichiarazione di trovarsi nelle condizioni di cui all’art. 42 comma 11 d.l. n. 269/2003 per l’esenzione ed era depositata la dichiarazione sostituiva come doc. 7; la sentenza della Corte d’appello di Firenze impugnata, in ordine alle spese statuiva: ‘ Le spese di lite del giudizio sono irripetibili in presenza della dichiarazione sui redditi resa dalla parte soccombente ai sensi dell’art. 42 del d.l. 269/2003’ (pag. 4 del presente ricorso); il fascic olo di parte dell’originario giudizio di cassazione, contenente la dichiarazione ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ., è stato depositato come allegato F. Ciò posto, il motivo è fondato.
L’ordinanza impugnata per revocazione, quanto al regolamento delle spese di lite, è evidentemente fondata su un presupposto di fatto erroneo, ossia sull’avere ritenuto non operanti le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. per l’esonero del pagamento delle spese processuali.
Infatti, se la dichiarazione di esenzione presente nel corpo dell’originario ricorso di legittimità non era stata sottoscritta dalla parte e non era, pertanto, rispondente ai canoni legali, la dichiarazione sostituiva reddituale per prodotta come allegato sub 7 dell’originario ricorso in Cassazione possedeva tutti i
requisiti richiesti (e le condizioni minime formali per fruire dell’esonero sono per giurisprudenza di legittimità uniforme riconosciute anche nell’ipotesi in cui dei contenuti venga dato conto nell’atto introduttivo del giudizio, ancorché la dichiarazione sottoscritta dalla parte personalmente sia materialmente redatta su foglio separato ed essa sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio e ritualmente prodotta con il medesimo (Cass. n. 16616/2018)), considerato altresì che la sentenza della Corte fiorentina aveva dichiarato irripetibili le spese ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ.
Trattasi di un mero errore di percezione su una circostanza di fatto che emergeva con evidenza e non vi è dubbio che detto errore sia stato decisivo in relazione al regolamento delle spese di lite e che il fatto non costituì un punto controverso.
L’ordinanza impugnata, dunque, deve essere revocata quanto al regolamento delle spese di lite che, in sede rescissoria, devono essere dichiarate non dovute ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ.
Le spese del giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico dell’INPS, giacchè l’Istituto ha resistito all’accoglimento del ricorso.
PQM
La Corte accoglie il ricorso per revocazione, revoca l’ordinanza impugnata n. 26579/2024 in ordine alla statuizione sulle spese e, decidendo in sede rescissoria sul ricorso n. rg. N. 17585/2018, limitatamente a tale capo, dichiara che nulla è dovuto per spese processuali.
Condanna INPS al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 1200,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 giugno