Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27593 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 757-2024 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 18068/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 23/06/2023 R.G.N. 22321/2021;
Oggetto
R.G.N.
757/2024
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva ricorso per revocazione della ordinanza n. 18068/203 pronunciata da questa Corte di legittimità nel giudizio proposto dallo stesso COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
Con la predetta ordinanza la Corte rigettava il ricorso principale promosso dallo stesso COGNOME diretto alla revocazione della sentenza n.897/2021 (avente ad oggetto la revocazione della sentenza n. 755/2015 dichiarativa della legittimità del licenziamento) pronunciata dalla Corte di appello di Milano e dichiarato assorbito il ricorso incidentale della predetta società.
In particolare, la corte di legittimità riteneva che non incorresse in una ipotesi di vizio revocatorio la sentenza impugnata (n.897/2021) con riguardo alla ritenuta non decisività delle intercettazioni di cui il lavoratore era entrato in possesso successivamente alla decisione sul suo licenziamento.
Più esattamente valutava che, avendo i giudici di appello fondato la decisione sul licenziamento sulla base di addebiti di fatti accertati nella loro sussistenza, erano da ritenersi non rilevanti le intercettazioni, in quanto dirette a dimostrare l’intento ritorsivo del licenziamento. Invero, in applicazione dei principi giurisprudenziali che affermano la necessaria dimostrazione della univocità della ragione ritorsiva del licenziamento, la corte, considerava che la presenza di altre e differenti motivazioni attinenti al licenziamento dovessero far escludere la decisività delle intercettazioni in questione.
Tale valutazione, svolta dai giudici del merito, portava la corte di legittimità, con la ordinanza attualmente impugnata, a ritenere infondati i rilievi revocatori proposti anche con riguardo al carattere esplorativo ed offensivo dei controlli datoriali effettuati. Il difetto di decisività delle intercettazioni e dei fatti ivi accertati, rendeva infondate anche le contestazioni circa la natura esplorativa ed offensiva delle intercettazioni stesse.
Con l’attuale ricorso il COGNOME ha contestato il dictum della corte di legittimità ritenendolo fondato su un vizio revocatorio consistente nel ‘fatto processuale’ della valutazione asseritamente operata dalla corte di appello nella sentenza n. 897/2021 circa la natura difensiva e non esplorativa ed offensiva delle intercettazioni. Tale valutazione, a dire del ricorrente, non sarebbe stata effettuata dal giudice d’appello ed invece ritenuta tale dalla corte di legittimità. Se, invece, la corte d’appello ave sse, in sede di revocazione, dato ingresso ai nuovi elementi probatori, da cui risultava che in realtà le intercettazioni ed il pedinamento erano durate circa tre mesi e non fossero pertanto definibili come indagini difensive ma offensive ed esplorative con finalità ritorsiva, si sarebbe giunti ad un differente giudizio finale.
Tale vizio, denunciato al giudice di legittimità, era stato erroneamente valutato in quanto fondato sull’errata considerazione della valutazione sul punto fatta dal giudice del merito, invece inesistente.
Con tali premesse il COGNOME proponeva ricorso per revocazione della ordinanza n. 1806/2023, anche depositando successiva memoria, cui resisteva con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
1)Con unico articolato motivo è denunciato l’errore per supposta esistenza di un fatto processuale, a norma dell’art. 395 co.1 n. 4 c.p.c., e, dunque, per la errata supposizione della sussistenza della valutazione di merito da parte del giudice della revocazione, alla luce delle nuove prove prodotte con riguardo alla natura del controllo investigativo.
Il ricorrente ha ritenuto che nell’ inciso della ordinanza secondo cui ‘ Il ritenuto difetto di decisività delle intercettazioni telefoniche rende infondati anche i rilievi, che su di esse dovrebbero poggiare, in ordine al carattere esplorativo dei controlli datoriali ‘, la Corte di legittimità fosse incorsa in errore revocatorio in quanto nessun accertamento in tal senso era stato compiuto dal giudice del merito che, se vi avesse proceduto, avrebbe raggiunto una differente decisione sulla controversia.
Il motivo risulta privo di fondamento.
Ripercorrendo la lunga vicenda processuale sopra illustrata, deve sottolinearsi come correttamente la Corte di legittimità abbia ritenuto priva di rilievo la censura inerente al preteso vizio revocatorio basato su nuovi documenti attestanti indagini durate più a lungo, vuoi perché rimaste indimostrate la pretestuosità e la finalità ritorsiva, vuoi perché il licenziamento, come detto in tutte le sedi processuali, è stato fondato su altri fatti accertati (assenze ingiustificate).
Si rammenta che, come evidenziato dalle Sezioni Unite del Giudice di legittimità ‘Il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4, c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione’ (Cass. SU n. 8984/2018). Soggiunge la Corte che ‘ La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla
violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell’ error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vadasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a § 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997). Restano, quindi, esclusi dall’area del vizio revocatorio ipotetici errori di valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logicogiuridico, perché siffatto tipo di errore, quand’anche fosse fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., n. 30994/2017, cit.)’.
Il principio richiamato fissa il discrimine tra vizio revocatorio ed error iuris , escludendo dal primo ogni asserita errata valutazione, sia in fatto che in diritto, svolta dal Giudice di legittimità.
Le Sezioni Unite hanno di recente confermato i suddetti principi statuendo che in tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di
discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (SU n. 20013/2024).
In coerenza con i principi richiamati deve affermarsi che nel caso in esame nessun errore di percezione è ravvisabile nella ordinanza oggetto di revocazione. Invero, il vizio denunciato risulta attinente a documentazione assoggettata pur sempre, a valutazione, e non attestante in via oggettiva un fatto materiale (la durata delle indagini in sé non ha i requisiti del fatto dirimente, ma puo’ essere oggetto di giudizio valutativo). Peraltro, se pur accertata e valutata negativamente, la circostanza in questione non sarebbe comunque ragione univocamente determinante del licenziamento, fondato, come visto, anche su altre ragioni (assenze ingiustificate) e non esclusivamente sulla ragione (eventualmente) ritorsiva.
In conclusione, deve escludersi che nella decisione assunta sia presente un errore percettivo.
Pertanto, il ricorso deve dichiararsi inammissibile.
Le spese seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 6.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto. Cosi’ deciso in Roma il 18 settembre 2024
Il Presidente NOME COGNOME