Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24067 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
Oggetto
Revocazione
R.G.N. 26754/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 18/06/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 26754-2024 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 15438/2024 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 03/06/2024 R.G.N. 12868/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 2156 del 2022, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato NOME COGNOME a restituire a Poste Italiane RAGIONE_SOCIALE la somma netta di euro 106.713,00, versata dalla società in esecuzione di una pronuncia parzialmente riformata in appello, nell’ambito di un primo giudizio intercorso tra le parti e conclusosi con una dichiarazione di improcedibilità del ricorso in riassunzione in sede di rinvio;
con ordinanza n. 15438 del 2024, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME avverso detta sentenza;
per la revocazione ‘ai sensi degli artt. 391 bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c.’ di tale ordinanza ha proposto ricorso la Lopez; ha resistito l’intimata società con controricorso, con cui ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso avversario ‘per mancanza di procura speciale alle liti’; parte ricorrente ha comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione sollevata dalla società di difetto di procura speciale idonea per la proposizione del ricorso per revocazione in mancanza di qualsivoglia riferimento al provvedimento di questa Corte oggetto di impugnazione;
l’eccezione non è accoglibile;
le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 36057 del 2022) hanno affermato che in tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla legge n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti;
sulla scia del precedente citato, si è ritenuto che nel giudizio di legittimità la nullità della procura speciale rilasciata su atto congiunto al ricorso è determinata dal contestuale ricorrere di quattro circostanze: 1) il riferimento ad attività tipiche del giudizio di merito; 2) la mancanza della indicazione della data; 3) la mancanza della indicazione del numero e dell’anno del provvedimento impugnato; 4) la mancanza di una proposizione esplicita di conferimento del potere di proporre ricorso per cassazione (Cass n. 20896 del 2023);
più recentemente Cass. SS.UU. n. 2075 del 2024, al punto 4.3. ha avuto poi modo di precisare: «ciò che, dunque, rileva
essenzialmente ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione è che il conferimento della procura alle liti avvenga all’interno della finestra temporale segnata dal momento (iniziale) di pubblicazione del provvedimento da impugnare e da quello (finale) della notificazione del ricorso: dunque, rispettivamente, né prima, né dopo (per tutte: Cass., S.U., n. 35466/2021, citata). In questa finestra temporale la procura rilasciata su foglio separato ed afferente a ricorso redatto in modalità analogica (com e nel caso di specie) ‘si considera apposta in calce’ al ricorso stesso in forza di presunzione legale assoluta, giacché l’art. 83, terzo comma, c.p.c. così stabilisce qualora vi sia la ‘congiunzione materiale’ tra la prima e il secondo, ossia in ragione di una operazione materiale di incorporazione (la ‘collocazione topografica’) tra due atti che nascono tra loro separati sia temporalmente, che spazialmente e la cui relazione fisica, instaurata dall’avvocato, è requisito necessario, ma anche sufficiente per soddisfare la prescrizione che il difensore stesso sia ‘munito di procura speciale’, come richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 365 c.p.c.» (pronuncia richiamata anche da Cass. n. 8334 del 2024);
nella specie la procura appare dunque idonea in quanto è rilasciata su foglio separato e riporta la data del 15 novembre 2024, successiva alla pubblicazione dell’ordinanza impugnata ed antecedente la notificazione del ricorso per cassazione effettuata a mezzo PEC con file contenente anche la procura, come risulta dalla relata di notificazione sottoscritta dal difensore della Lopez in data 3 dicembre 2024;
ciò premesso, l’ordinanza di questa Corte n. 15438/2024 è impugnata ‘per il seguente specifico motivo unico’ che si riporta testualmente:
«Revocazione ex art.395 c.p.c., n.4, per omessa percezione del contenuto materiale degli atti di giudizio e falsa percezione della realtà processuale. In sintesi: I. si rileva che la pronuncia è stata resa sull’errato presupposto della riforma integrale del titolo esecutivo, costituito dalla sentenza di primo grado, per effetto della sentenza nr.1172/2012 della Corte d’Appello di Bari: a) omettendo di evidenziare che l’esecuzione della sentenza di primo grado era avvenuta in data anteriore al deposito del ricorso in appello (18.03.2010) e che ‘ Poste Italiane RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Bari per ottenere dalla Lopez la restituzione della somma di euro 147.035,04 pagata in esecuzione della sentenza di primo grado n.6481/2009 ‘ , in data 22.01.2013, ossia dopo il deposito della sentenza n.1172/2012 della Corte d’Appello di Bari (23.02.2012) e prima del ricorso r.g.n.5877/2013 proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza n.1172/2012, con evidente omessa formulazione con l’atto di appello, prevista a pena di decadenza, della domanda restitutoria; b) omettendo di evidenziare che ‘ l’originaria sentenza di primo grado ‘ conteneva le seguenti decisioni (da pag.2 sent. n.1172/012 Corte d’Appello di Bari): ; c) omettendo di evidenziare che, con la sentenza n.1172/012, la Corte d’Appello di Bari, rigettando l’appello di Poste Italiane, ha così confermato la sentenza di primo grado (da pag. 7 sent. n.1172/012 cit.): ; d) omettendo di rilevare, con riferimento alle ‘ conseguenze economiche ‘ , che la Corte di Bari non ha accolto nessuna domanda formulata da Poste Italiane RAGIONE_SOCIALE con l’atto di appello, confermando la condanna di Poste Italiane al pagamento di una somma di danaro in favore di NOME e confermando la statuizione sull’ an debeatur ed il valore di titolo esecutivo alla sentenza di primo grado, limitandosi ad evidenziare che ; e) omettendo di evidenziare che la sentenza di prime cure era stata confermata in merito all’accoglimento della domanda di reintegra ed all’accoglimento della domanda di condanna di Poste Italiane al pagamento, in favore di NOME, delle ‘ conseguenze economiche ‘ ( an debeatur ), limitandosi ad operare d’ufficio una riduzione conseguente alla entrata in vigore dell’art.32 della legge 04/11/2010 n.183; f) erroneamente affermando (da pag. 6 sent. n.15438/2024): , omettendo di precisare che i giudici di appello non avevano sostituito il capo di condanna, pronunziata dal Tribunale sull’ an debeatur , bensì soltanto la quantificazione della somma dovuta da Poste Italiane RAGIONE_SOCIALE a Lopez Maria ( ‘ quantum debeatur ‘ ); g) erroneamente affermando, a pag.6 sentenza impugnata, che , senza rilevare che ‘ nel giudizio presupposto ‘ è rimasto il ‘ capo condannatorio ‘ inerente la riammissione in servizio della ricorrente ed il ‘ capo condannatorio ‘ inerente la condanna al pagamento in favore di NOME delle ‘ conseguenze economiche ‘ del precedente ‘ capo condannatorio ‘ , la cui ‘ sopravvivenza ‘ rende erronea in fatto l’affermazione, applicata alla fattispecie in esame, (da pag.7 sent.n.15438/2024) che »;
si lamenta poi che l’omessa percezione del contenuto materiale di atti del giudizio e la falsa percezione della realtà processuale sarebbe resa evidente anche dall’omesso esame, da parte della Corte di cassazione, della eccezione di erronea applicazione degli artt. 336 e 389 c.p.c.;
il ricorso è inammissibile;
3.1. opportuno premettere i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’ipotesi di revocazione di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c.;
invero tale ipotesi sussiste solo se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita;
pacificamente per questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016);
pertanto in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche, e cioè deve tradursi di una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile; deve essere un errore essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore
la pronuncia sarebbe stata diversa (tra le molte v. Cass. n. 14656 del 2017);
in particolare, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; n. 4605 del 2013; n. 16003 del 2011) fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga l’interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità;
inoltre, non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudi zio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale -quand’anche risulti errata di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013); è così consolidato l’orientamento secondo cui una sentenza di questa Corte non possa essere impugnata per revocazione qualora si ipotizzi che essa abbia mal valutato i motivi di ricorso, perché questo vizio costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto revocatorio (di recente, Cass. n. 6945 del 2022);
3.2. tali princìpi, costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità (ancora, da ultimo, Cass. SS.UU. n. 20321 del 2025 e Cass. n. 20013 del 2024), vengono del tutto trascurati o male intesi dalla parte ricorrente che con essi non si confronta adeguatamente, per cui l’invocata revocazione si pone al di fuori del perimetro consentito da tale mezzo di impugnazione;
invero, la parte ricorrente non enuclea quale sia il fatto -con le caratteristiche indicate innanzi -la cui verità sia incontrastabilmente esclusa ovvero positivamente stabilita e non rientra nell’area dei vizi revocatori la sindacabilità di
eventuali errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. Cass. n. 20635 del 2017) né tanto meno l’omesso esame di atti difensivi (v. Cass. n. 791 del 2017);
neanche si coglie, da parte ricorrente, l’effettiva portata della pronuncia erroneamente impugnata, che non sta nell’affermare o negare fatti, quanto piuttosto nell’evidenziare l’assunto secondo cui ‘l’estinzione del giudizio di rinvio a seguito della Cassazione della sentenza d’appello che ha riformato/sostituito il capo condannatorio della sentenza di primo grado -determina l’inesistenza di qualunq ue titolo giudiziale, come si ricava dall’art. 393 c.p.c., che prevede l’estinzione dell’intero processo e non soltanto di quello di rinvio’;
si tratta di affermazione decisiva in diritto, perché dalla ritenuta ‘inesistenza di qualunque titolo giudiziale’ deriva la conseguenza della restituzione delle somme percepite dalla COGNOME, stabilita dai giudici del merito e confermata innanzi a questa Corte Suprema;
rispetto a tale statuizione che riguarda l’interpretazione di norme giuridiche, chi ricorre si limita a proporre l’insoddisfazione per la risposta adottata dalla S.C., che non ha nulla a che vedere con l’errore revocatorio ex art. 391 bis e 395 c.p.c., non potendo costituire il ricorso per revocazione in cassazione un ulteriore grado di giudizio, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo -come più sopra ricordato – il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità;
di recente (v. Cass. n. 4893 del 2023) è stato ricordato che la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea riconosce, da un lato, l’importanza del principio della cosa giudicata, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia,
e rimettendo, dall’altro, le modalità di formazione della cosa giudicata e quelle di attuazione del relativo principio agli ordinamenti giuridici degli Stati membri (Cass. SS.UU. n. 13181 del 2013; Cass. n. 8984 del 2018; Cass. n. 8630 del 2019); quanto all’effettività della tutela giudiziaria, la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia (Corte giust., 03/09/2009, Olimpiclub; 30/09/2003, Kobler; 16/03/2006, Kapferer; conf. Corte EDU, 28/07/1998, Omar c. Francia; 27/03/2014, NOMECOGNOME c. Grecia; 03/07/2012, COGNOME c. Bulgaria); il che convalida il contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di «sviste» o di «puri equivoci» senza che rilevino pretesi errori di valutazione;
pertanto, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ala ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 7.000,00,
oltre euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 giugno