Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26498 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26498 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20201/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME. RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME , COGNOME NOME elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti- nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati-
Ricorso per revocazione della ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 23127/2023 depositata il 31/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, ha promosso l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori pro tempore NOME COGNOME e NOME COGNOME, per avere stipulato contratti d’appalto asseritamente pregiudizievoli.
La domanda è stata respinta dal Tribunale di Pescara, per difetto di prova del danno. La Corte d’appello de L’Aquila ha riformato la decisione, pronunciando dapprima la sentenza non definitiva con la quale ha riconosciuto la responsabilità degli amministratori e poi la sentenza con la quale ha liquidato il danno.
Le sentenze sono state impugnate da NOME COGNOME e dagli eredi di NOME COGNOME (NOME COGNOME e NOME COGNOME) sulla base di quindici motivi. Gli eredi di NOME COGNOME (NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME) hanno resistito con controricorso, nel quale hanno formulato due motivi di ricorso incidentale condizionato. La Corte di Cassazione con l’ordinanza oggi impugnata per revocazione ha respinto il ricorso principale e dichiarato assorbito l’incidentale.
COGNOME, COGNOME e COGNOME hanno proposto ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c. Hanno resistito con controricorso le altre parti.
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso per revocazione si lamenta che la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo del ricorso sia l’effetto di un errore di fatto revocatorio risultante dagli atti del giudizio di legittimità (art. 395 n. 4 c.p.c.). I ricorrenti deducono che il secondo motivo del loro ricorso è stato ritenuto inammissibile ‘ perchè parziale rispetto alla ben più consistente ed articolata valutazione della corte territoriale, prodromica all’affermazione di responsabilità e integrativa della ratio decidendi ‘. Secondo l’ordinanza qui impugnata i ricorrenti avrebbero criticato la sentenza in quanto il contenuto dei contratti era stato ritenuto corrispondente all’appalto ‘chiavi in mano’ mentre la Corte d’appello aveva anche affiancato a questa valutazione ‘ la considerazione complementare e decisiva che ‘inoltre’ la responsabilità era stata determinata dalla carente sequela del concreto svolgimento del rapporto ‘; la Corte di Cassazione ha quindi ritenuto che questa specifica parte della motivazione -che integra il profilo di responsabilità addebitato agli amministratori’non risulta in alcun modo censurata ‘(pag. 7 ordinanza impugnata). I ricorrenti osservano che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione, essi non si erano limitati a censurare il punto della motivazione indicato dall’ordinanza, ma avevano esteso la critica anche al punto successivo della motivazione della Corte d’appello. Trascrivono il secondo motivo del ricorso dal quale si evince, ai paragrafi 2.2 e 2.3, che hanno dedotto la violazione del criterio di interpretazione letterale, dal momento che la clausola contrattuale non prevedeva affatto che ogni variazione avrebbe dovuto essere precisata di
comune accordo e per iscritto e che era esclusa la possibilità di ottenere proroghe del termine di esecuzione.
2.- Il motivo è inammissibile
2.1.Si premette che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. consiste: a) nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (SU Ordinanza n. 20013 del 19/07/2024). Inoltre, questa Corte, sempre a Sezioni Unite (Cass. n. 31032/2019) ha affermato che ” l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata
considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio “.
2.2.- Seguendo questi principi può dirsi che il presunto errore di fatto denunciato consiste in realtà in una censura su come il Collegio giudicante abbia interpretato il motivo di ricorso, e cioè in maniera difforme rispetto a come (ex post) detto motivo è intrepretato dalla parte ricorrente.
Questa Corte ha infatti respinto la censura ritendendola parziale, perché riferita soltanto alla interpretazione del contratto resa dalla Corte d’appello e non anche alla valutazione che la Corte di merito aveva fatto del successivo comportamento delle parti. La ricorrente invece sostiene che alcune parti del secondo un motivo del ricorso riguardavano anche questo profilo, ma si limita a trascriverle, senza indicare quale sarebbe il fatto, inteso come fatto materiale immediatamente percepibile, che sarebbe stato travisato, limitandosi soltanto ad affermare -invero apoditticamente- che questa parte del motivo atterrebbe alla seconda parte della motivazione della sentenza della Corte d’appello.
2.3.- Si tratta della denuncia non già di un errore di percezione ma di un errore di valutazione, peraltro dedotto sul presupposto che si condivida l’interpretazione data dalla parte al suo secondo motivo d’appello, come motivo esteso anche a quelle considerazioni della sentenza d’appello che non riguardano l’interpretazione del contratto ma la valutazione del comportamento successivo.
Nel ritenere il motivo di ricorso parziale, infatti, questa Corte ha fatto riferimento alla circostanza che si fosse censurata solo la interpretazione delle clausole contrattuali che consentivano di qualificare il contratto quale l’appalto ‘chiavi a mano’, non modificabile se non di comune accordo e per iscritto in caso di modifiche ai lavori ancorché necessarie per l’esecuzione delle opere
a regole d’arte. Di contro, vi era nella sentenza d’appello tutta una parte della motivazione che atteneva al concreto svolgimento del rapporto perché ‘ gli amministratori COGNOME e COGNOME avevano fatto eseguire alla RAGIONE_SOCIALE amministrata lavori diversi e aggiuntivi rispetto a quelli previsti nei contratti senza concordarne il corrispettivo, e impedendo di conseguirne il compenso ulteriore rispetto a quello insufficiente pattuito ‘chiavi in mano ‘; ed è questa la specifica parte della motivazione che, secondo il giudizio reso da questa Corte nella ordinanza oggi impugnata, non è stata censurata.
2.4.- I ricorrenti sostengono che le censure erano rivolte anche a tale parte di sentenza, trascrivendole: ma in realtà anche le censure 2.2, e 2.3. parlano di ‘travisamento del significato negoziale di clausole’ o ‘violazione di regole di interpretazione dei contratti’ (pag. 8 e 9 ricorso) e non si riferiscono ai comportamenti tenuti successivamente, limitandosi alla generica osservazione che in base all’errata qualificazione ed interpretazione del contratto il giudicante abbia ritenuto la responsabilità ex articolo 2476 cc.
Con l’odierno motivo di ricorso revocatorio la parte mette dunque in discussione il giudizio reso dalla Corte prospettando un errore di valutazione, il che resta fuori dai parametri dati dall’art 395 n. 4 c.p.c. come sopra meglio descritti.
3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta che la declaratoria di inammissibilità e comunque di infondatezza del nono motivo di ricorso è l’effetto di un errore di fatto revocatorio risultante dagli atti del giudizio di legittimità (art. 395 n. 4 c.p.c.).
I ricorrenti deducono che con il nono motivo di ricorso si era impugnata la sentenza definitiva d’appello nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione di inammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti degli
amministratori a fronte dell’intervenuto ripianamento di tutte le perdite e, quindi, anche di quelle generate dai fatti di mala gestio che essa RAGIONE_SOCIALE imputava agli amministratori. Deducono che la Corte di Cassazione, nel rigettare il nono motivo di ricorso, ha affermato: « anche se alcune di tali perdite siano conseguenza di fatti imputabili agli amministratori, e si collochino negli esercizi interessati dalle condotte illecite, è dato incontestabile che altre sono le perdite da ripianare per consentire alla RAGIONE_SOCIALE di proseguire le attività, altri i danni risarcibili da parte degli amministratori ». Tale affermazione, secondo i ricorrenti, denuncia un errore di fatto in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo e, segnatamente, dal contenuto della relazione di CTU sulla quale gli esponenti avevano fondato il nono motivo di ricorso. Infatti, la relazione del CTU attesta inequivocabilmente che le perdite generate dagli appalti de quo sono incluse nel calcolo generale e complessivo delle perdite ripianate dai soci.
4. Il motivo è inammissibile.
Non è illustrata la decisività del preteso errore, a fronte del fatto che la ragione per la quale il motivo è stato respinto non è quella evidenziata dai ricorrenti. Il motivo nono, infatti, è stato ritenuto inammissibile in quanto si è osservato che la Corte d’appello ha attribuito una valenza neutra ai versamenti fatti al fine di ripianare le perdite degli esercizi e che la censura costituisce una censura di merito, ed in quanto tale, inammissibile. Questa Corte ha poi aggiunto che il motivo è anche infondato ma non già per compiere una inammissibile rivisitazione in punto di fatto sulla circostanza che per effetto di questo ripianamento non vi fosse alcun danno risarcibile (tesi oggi qui riproposta sotto veste di errore revocatorio), ma al fine di affermare un principio di diritto e
cioè che la responsabilità per il danno scaturente dal fatto di uno degli amministratori è cosa diversa e non interferente dalla circostanza che essi decidano spontaneamente di riparare le perdite di esercizio (v. pag. 16 ordinanza impugnata).
Anche il secondo motivo, pertanto, resta fuori dai parametri dati dall’art 395 n. 4 c.p.c.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore di dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna controparte costituita in euro 10.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 26/09/2024.