Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30468 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30468 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17560/2023 R.G. proposto da :
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonché
NOME NOME;
-intimato-
avverso l’ ORDINANZA di CORTE DI CASSAZIONE n. 16934/2023, pubblicata il 14/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda con la quale NOME COGNOME, proprietario di due unità immobiliari ubicate al piano terra ed al terzo piano di un fabbricato, aveva convenuto in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari, rispettivamente, il primo di due unità immobiliari ubicate al piano terra ed al secondo piano dello stesso stabile ed il secondo di due unità immobiliari site al piano terra ed al primo piano del medesimo edificio , per sentire accertare l’illegittimità della installazione nei pianerottoli della scala di mobili ad uso esclusivo dei proprietari posti ai piani primo e secondo, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi ‘ quo ante ‘; l’attore aveva chiesto anche la rimozione della canna fumaria e la redazione di una nuova tabella millesimale.
La Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda, accolse parzialmente l’appello proposto da NOME COGNOME e, sulla base della CTU, condannò i convenuti a rimuovere mobili e similari collocati nel corpo delle scale a loro esclusivo uso; condannò NOME COGNOME alla rimozione della canna fumaria con ripristino dello stato dei luoghi e dispose l’adozione da parte del Condominio delle tabelle allegate alla relazione del CTU.
Era emerso dalla CTU che gli originari convenuti avevano trasformato di fatto il pianerottolo in modo permanente e tale da impedire un pari uso degli altri condomini, che NOME COGNOME aveva collocato la canna
fumaria ad una distanza dal tetto inferiore a quella legale e che, a causa di lesioni nel condotto vi era una fuoriuscita di fumi ed odori.
Il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME venne respinto da questa Corte con ordinanza n. 16934/2023, pubblicata il 14.6.2023.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per revocazione ordinaria avverso la citata ordinanza ai sensi dell’art. 391 -bis c.p.c.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, nonché al risarcimento dei danni da lite temeraria ex art.96, comma 3, c.p.c.
COGNOME NOME non ha, invece, svolto attività difensiva nella presente sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso per revocazione lamenta l’erronea lettura delle risultanze della CTU in relazione ai mobili e similari collocati nel corpo scala, alla nicchia posta nell’intercapedine, alle tabelle millesimali, alla violazione delle distanze della canna fumaria, alle lesioni della stessa con conseguente fuoriuscita di fumi ed odori.
L’errore revocatorio secondo il ricorrente consisterebbe nell’aver il giudice di secondo grado trascurato altri elementi probatori emersi nel giudizio d’appello.
Il ricorso è inammissibile.
Già nell’ incipit del ricorso per revocazione (v. pag. 2), il ricorrente lamenta le ‘lacune di accertamento e gli errori di valutazione
contenuti nella relazione del CTU e/o per evidenziare gli erronei apprezzamenti contenuti nella sentenza che li ha recepiti’.
Al fine di dimostrare l’errore revocatorio, il ricorrente dichiara di riportare ‘i passaggi salienti e non condivisi’ e trascrive il contenuto delle critiche sollevate alla CTU per evidenziare gli assunti errori commessi dalla Corte d’appello di Palermo.
Il motivo di doglianza, così articolato, è inammissibile perché lo stesso non denuncia, in realtà, un errore revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., e cioè un errore di fatto in cui sarebbe incorsa questa Corte nell’ordinanza qui impugnata, quanto, invero, un supposto errore di valutazione del giudice di legittimità, ed ancor prima della Corte d’appello in ordine alle risultanze della CTU.
Sul punto è necessario ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, c.p.c., che consiste propriamente in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato.
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione (cfr., ex multis , Cass. SU n. 26022/2008; Cass. n. 20635/2017 e Cass. n. 10040/2022).
Non sono, quindi, suscettibili di revocazione le sentenze e ordinanze della Corte di Cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa, poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (v., ad es., Cass. n. 5326/2023).
Orbene, dalla lettura del ricorso in che vien qui in rilievo non è dato neanche evincere – perché neppure enucleato (risultando piuttosto ricondotto sotto la diversa veste sostanziale di “errore di giudizio”) quale sia stato l’errore percettivo in cui sarebbe incorsa questa Corte nel provvedimento qui impugnato per revocazione.
Il ricorrente, sotto l’apparente riconduzione del vizio all’art. 395, n. 4, c.p.c., svolge una censura che attiene al merito della causa, per avere la Corte di c assazione, ed ancor prima la Corte d’appello, mal valutato le risultanze della CTU con riferimento alle altre risultanze istruttorie.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. La redazione di un ricorso per revocazione basato su motivi di fatto, con i quali si chiede il riesame del merito della decisione, è palesemente fuori dell’ambito applicativo del citato art. 395, n. 4, c.p.c. e rivela una grave negligenza, soprattutto considerando che si tratta di una prestazione professionale particolarmente qualificata, quale è quella dell’avvocato cassazionista (Cass. n. 18512/2020; Cass. n. 29462/2018)
Il ricorrente deve, perciò, essere condannato -sussistendone i legittimi presupposti di legge – anche al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., con
liquidazione effettuata in via equitativa nell’entità riportata in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi quantificati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Condanna il ricorrente al pagamento, sempre in favore del controricorrente, dell’ulteriore somma di euro 3.000,00, in applicazione dell’ art. 96, comma 3, c.p.c.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione