Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2409 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2409 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11656/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, DI COGNOME NOME, DI COGNOME NOME, DI COGNOME NOME, DI COGNOME NOME
-intimati- avverso l’ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 33625/2022, depositata il 15/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza n. 33625/2022 della Corte di cassazione, depositata il 15 novembre 2022.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Gli altri intimati, indicati in epigrafe, non hanno svolto attività difensive.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4ter , e 380 bis.1, c.p.c.
La controricorrente ha depositato memoria.
La citata ordinanza n. 33625/2022 ha rigettato il ricorso per cassazione di NOME COGNOME contro la sentenza n. 1472/2017 della Corte d’appello di Napoli, che aveva parzialmente accolto l’appello di NOME COGNOME contro la sentenza n. 1267/2009 del Tribunale di Avellino, nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria di NOME COGNOME.
2.1. La revocazione dell’ordinanza della Corte di cassazione è richiesta in relazione alla decisione sui primi tre motivi del ricorso per cassazione.
Essi attenevano alla nullità occorsa a seguito dell’ordinanza collegiale del 20 marzo 2013 con cui la Corte d’appello di Napoli aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condividenti non appellati entro la data del 30 luglio 2013. Alla successiva udienza del 26 novembre 2013 il Consigliere Istruttore aveva rilevato che non risultavano rispettati i termini per le notifiche all’estero e che mancava la cartolina di ricevimento della notifica a NOME COGNOME, disponendo la rinnovazione della notifica nel rispetto dei termini di legge. All’udienza ancora successiva del 28 ottobre 2014 il Consigliere Istruttore aveva dato atto della regolarità della notifica
all’estero, ma rilevato che la notifica era stata effettuata a NOME e NOME COGNOME presso il loro difensore in primo grado, sebbene fosse decorso oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza appellata, disponendone la rinnovazione con assegnazione di nuovo termine.
La tesi della ricorrente per cassazione era che la irritualità della notifica a NOME e NOME COGNOME effettuata presso il difensore in primo grado avesse comportato una nullità ostativa alla concessione di un nuovo termine, stante la perentorietà del termine assegnato per l’integrazione del contraddittorio con l’ordinanza collegiale del 20 marzo 2013 e, quindi, l’inammissibilità dell’appello.
2.2. La Corte di cassazione nell’ordinanza revocanda n. 33625/2022 ha tuttavia affermato che, nei giudizi di impugnazione, la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili ai sensi dell’art. 331 c.p.c., effettuata, decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, non alla parte personalmente ma al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, integra una mera violazione della prescrizione in tema di forma e, perciò, dà luogo a una nullità sanabile, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., con conseguente operatività dei rimedi della rinnovazione (artt. 162, 291 c.p.c.) o della sanatoria (artt. 156, comma 3, 157,164 c.p.c.). Correttamente, perciò, la Corte d’appello di Napoli avrebbe disposto la rinnovazione della notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, avvenuta nel termine assegnato ex art. 331 c.p.c.
Quanto alla censura sul mancato rispetto dei termini minimi a comparire nelle notifiche dell’atto di integrazione del contraddittorio, l’ordinanza revocanda ha dapprima richiamato l’orientamento secondo cui, in tema di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, l’art. 331 c.p.c. non prevede che fra la data di
notificazione della citazione e quella della nuova udienza di comparizione debba intercorrere un termine non inferiore a quello ex art. 163bis c.p.c., ed ha poi aggiunto (pag. 10) : ‘ pur vero che con una prima ordinanza istruttoria era stata disposta la rinnovazione della notifica dell’atto di integrazione del contradditorio sul presupposto che la medesima fosse avvenuta senza il rispetto dei termini a comparire di legge, ma trattasi di provvedimento a carattere non decisorio e sempre suscettibile di revoca da parte del Collegio e comunque modificabile con la sentenza, di guisa che deve reputarsi che la decisione resa sul punto in sentenza equivalga ad una revoca della ordinanza con la quale era stata disposta la rinnovazione, con una motivazione, che quanto meno in maniera implicita, dà atto della congruità del termine in origine assegnato con la prima ordinanza collegiale del 20 marzo 2013 ‘ .
3. Il ricorso per revocazione denuncia: ‘ Error in procedendo; Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. – errore ex art. 395 n. 4 c.p.c. La ordinanza impugnata in questa sede è inficiata da vizio revocatorio, ex art. 395 c.p.c. n. 4, riguardante l’inesatta percezione delle risultanze degli atti processuali del contenuto della sentenza d’appello sul quale detta sentenza si è pronunciata, consistente nel contrasto fra le rappresentazioni che emergono dalla lettura della sentenza e dalla lettura degli atti interni al processo’ .
Si sostiene che ‘dalla lettura del provvedimento reso all’udienza del 26 novembre 2013, con cui il Giudice disponeva la rinnovazione, si evince contrariamente a quanto sostenuto prima dalla Corte territoriale e poi, in adesione, dalla Cassazione, che è lo stesso Giudice nell’esercizio della sua discrezionalità a non aver ritenuto congruo il termine di cui sopra, tanto da disporre la rinnovazione della notifica dell’atto di appello, ribadendo la necessità della rinnovazione anche alla successiva udienza del 28.10.2014, considerato che la
notifica veniva eseguita nei confronti del procuratore dei sig.ri NOME e NOME e non già ai predetti personalmente (…). Pertanto, la Corte d’appello non ha revocato implicitamente l’ordinanza come erroneamente ritenuto dalla Suprema Corte ma ha ritenuto che nell’ordinanza il Consigliere istruttore avesse valutato nell’esercizio della propria discrezionalità congruo un termine inferiore a quello inizialmente assegnato’. Ed ancora: ‘ertanto il Giudice dell’appello non ha revocato implicitamente l’ordinanza come erroneamente ritenuto da questa Corte ma piuttosto l’ha confermata attribuendogli però ben altro tenore, atteso che il Consigliere istruttore in quella sede diversamente da quanto ritenuto in sentenza dal Giudice dell’appello, aveva vagliato le conseguenze di un termine di comparizione troppo breve tanto è vero che disponeva, non una ma ben due volte, la rinnovazione’.
In definitiva, l’errore revocatorio starebbe nell’aver la Corte di cassazione ‘supposto l’esistenza di un fatto ‘revoca implicita dell’ordinanza’ che invece è smentito dalla sentenza di appello che non ha revocato l’ordinanza in parola ma anzi l’ha confermata…’.
Il motivo di ricorso è palesemente estraneo al parametro dell’errore revocatorio di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.
L’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. postula un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza (o da ordinanza decisoria) , l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla pronuncia sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione. Deve, dunque, trattarsi di un errore meramente percettivo, tale da aver indotto la Corte a fondare la propria decisione sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo.
L’errore di fatto che può legittimare la revocazione di una decisione della Corte di cassazione deve, quindi, pur sempre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e deve avere, quindi, carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla decisione medesima (Cass. Sez. Unite, 27 novembre 2019, n. 31032; Cass. Sez. Unite, 28 maggio 2013, n. 13181).
È invece inammissibile il ricorso ex art. 395, n. 4, c.p.c., ove vengano dedotti errori di giudizio concernenti i motivi di ricorso esaminati dalla sentenza della quale è chiesta la revocazione, ovvero l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati o, ancora, l’omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate (Cass. 22 settembre 2014, n. 19926; Cass. 9 dicembre 2013, n. 27451; Cass. 12 dicembre 2012, n. 22868; Cass. 18 gennaio 2012, n. 714; Cass. Sez. Unite 30 ottobre 2008, n. 26022).
5. L’ordinanza revocanda ha fatto applicazione del principio per cui il giudice d’appello, che abbia ordinato la rinnovazione della notifica del gravame con prescrizioni rivelatesi erronee, non può dichiarare inammissibile l’impugnazione, ma deve revocare l’ordinanza (Cass. 12 maggio 2014, n. 10273).
Accertare se la sentenza del giudice di appello, la quale abbia escluso -come nella specie l’inammissibilità dell’impugnazione per la inosservanza delle erronee prescrizioni inizialmente dettate in sede di ordine di rinnovazione della notifica del gravame (provvedimento certamente avente valore incidentale e provvisorio, e quindi inidoneo a impegnare la decisione della causa o costituire preclusioni in sede di sentenza), abbia, o meno, dato luogo ad una revoca di quell’ordinanza, avvenuta tacitamente ed implicitamente, attraverso
un riesame o una diversa valutazione dei presupposti in diritto della stessa, non si spiega come supposizione da parte del giudice dell’esistenza di un ‘fatto’ che non abbia costituito un punto controverso oggetto di pronuncia, ma come espressione di un giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.
Il ricorso non è perciò volto a far valere un errore di fatto revocatorio, quanto semmai un ” error in iudicando de iure procedendi “, ovvero una erronea interpretazione dell’atto processuale.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza le spese processuali, liquidate in dispositivo, in favore della controricorrente. Non deve provvedersi per gli altri intimati che non hanno svolto attività difensive.
Va respinta la domanda della controricorrente di condanna per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., non rilevandosi che la ricorrente abbia agito con mala fede o colpa grave, né che abbia abusato dello strumento processuale.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di revocazione dalla controricorrente, che liquida in complessivi € 5.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione