Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4883 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4883 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 993/2024 r.g. proposto da:
COGNOME quale titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
FALLIMENTO NOME
-intimato – avverso l ‘ordinanza , n. cron. 19648/2023, della CORTE DI CASSAZIONE pubblicata il giorno 11/07/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 12/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 6 marzo 2019, n. 1584, la Corte d’appello di Roma respinse il reclamo avverso la pronuncia del tribunale di quella stessa città che, contestualmente, aveva dichiarato l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo presentata da NOME COGNOME ed il fallimento di quest’ultima . Osservò quella corte che: i ) l’insolvenza era desumibile, anzitutto, dall’inadempimento del contratto di mutuo stipulato nel 2011 , del quale erano state pagate solo 13 rate, e di altre obbligazioni di rilevante ammontare, nonché dal mancato rinvenimento di acquirenti degli immobili della debitrice e dai dati di bilancio; ii ) secondo l’attestatore, la proposta concordataria, con le irrealistiche previsioni di continuazione della prospettata attività, non consentivano il superamento del dissesto.
Il ricorso per Cassazione proposto dalla COGNOME contro tale decisione è stato dichiarato inammissibile da questa Corte con ordinanza dell’11 luglio 2023, n. 19648, pronunciata nel contraddittorio con il Fallimento.
2.1. In quella sede, descritti il contenuto delle formulate censure ed i principi giurisprudenziali riguardanti il contenuto del sindacato permesso al tribunale sulla proposta concordataria ed i limiti in cui nel concordato preventivo con continuità aziendale è consentita la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati anche oltre il termine di un anno dall’omologazione, si è osservato, tra l’altro, che: i ) « La ricorrente contesta la decisione sull’irrilevanza del mancato rispetto del termine di un anno per il pagamento dei creditori privilegiati, in considerazione dell’ingente debito per il mutuo contratto nel 2011 e del mancato reperimento di acquirenti degli immobili della debitrice. Invero, la Corte d’appello ha escluso la fattibilità della proposta con argomentazioni non censurabili nel merito. Va anzitutto rilevato che è priva di autosufficienza la doglianza relativa all’accordo con il creditore Carim s.p.a. sulla dilazione del pagamento in rate per 25 anni, in quanto non trascritto nel ricorso, non consentendo tale irregolarità processuale l’esame della questione » ( cfr . pag. 4 della menzionata ordinanza); ii ) « Nel caso concreto, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, rilevando che: ogni questione sulla liceità del superamento del termine previsto dall’art. 186 -bis , comma 2, l.f., in ordine al consenso espresso dalla
creditrice privilegiata alla dilazione della debitoria in trecento rate è superata dal rilievo per il quale tale obbligazione fu stipulata nel 2011 e all’attualità risultavano pagate sole tredici rate; era da ritenere irrealistica la prospettiva secondo la quale la prosecuzione dell’attività d’impresa avrebbe consentito di superare il dissesto » ( cfr . pag. 5 della medesima ordinanza); iii ) « Il terzo motivo è parimenti inammissibile poiché le varie doglianze declinate attengono al merito della causa in ordine all’accertamento dello stato d’insolvenza, che il Tribunale ha desunto dall’inadempimento di varie obbligazioni » ( cfr. l’appena citata pagina 5).
Contro questa decisione NOME COGNOME ha promosso ricorso ex artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc., formulando due motivi, il primo dei quali articolato in un duplice profilo, e depositando anche memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Il Fallimento COGNOME NOME è rimasto solo intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Allo scrutinio dei formulati motivi, giova premettere che costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che il combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza o dell’ordinanza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; l’errore di fatto revocatorio consiste, difatti, in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato ( cfr ., tra le più recenti, Cass., SU, n. 5906 del 2020; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 735 del 2023).
1.1. In altri termini, come ripetutamente ribadito da questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 20013 del 2024; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 16439 del 2021; Cass. n. 4344 del 2020; Cass. n. 16138 del 2019; Cass. n. 27570 del 2018; Cass. n. 442 del 2018), l’istanza
di revocazione di una decisione della Corte di cassazione, proponibile ex art. 391bis cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 395, n. 4, cod. proc civ., e consistente in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile, escluso (o accertato) in base agli atti ed ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla decisione, l’altra dagli atti e documenti processuali ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3544 del 2022; Cass., SU., n. 10854 del 2021; Cass., SU, n. 10249 del 2021; Cass., SU, n. 31032 del 2019), sempreché la realtà desumibile dalla decisione stessa sia frutto di supposizione e non di giudizio ( cfr., e plurimis , Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 13915 del 2005; Cass. n. 2425 del 2006; Cass. n. 22171 del 2010; Cass., SU, n. 9882 del 2001; Cass., SU, n. 23856 del 2008; Cass., SU, n. 4413 del 2016; Cass. n. 16138 del 2019). Il vizio revocatorio, invece, non ricorre ove la statuizione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione ( cfr . Cass. n. 20635 del 2017, menzionata, in motivazione, anche dalle più recenti Cass. n. 16138 del 2019 e Cass. n. 3544 del 2022. Si veda pure Cass., SU, n. 4367 del 2021, che ha escluso la percorribilità della revocazione ove non si tratti di errore percettivo sull’identificazione degli atti, ma di attività di interpretazione e valutazione degli stessi). Un siffatto errore, poi, deve: i ) essere essenziale e decisivo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 20013 del 2024; Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 11200 del 2018; Cass. n. 25871 del 2017; Cass. 24334 del 2014), nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la statuizione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che, senza l’errore, la pronuncia sarebbe stata diversa ( cfr., ex aliis , Cass. n. 3544 del 2022; Cass. n. 16138
del 2019; Cass. n. 14656 del 2017); ii ) rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la decisione impugnata e gli atti o documenti del giudizio ( cfr . Cass., SU, n. 20013 del 2024), senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi.
Fermo quanto precede, i formulati motivi di ricorso assumono, rispettivamente, in sintesi, che:
I) « L’ordinanza della Corte di cassazione deve essere revocata ai sensi degli artt. 391 -bis c.p.c., 395 numero 4), c.p.c., in relazione a: a) motivi n. 2 e 3 del ricorso per cassazione, relativi allo stato di insolvenza basato su rate di mutuo erroneamente individuate; b) travisamento e omesso esame del terzo motivo del ricorso per cassazione ». Viene lamentato il seguente errore revocatorio: « l’accertamento dello stato di insolvenza della ricorrente è stato effettuato -in maniera assorbente -dalla considerazione e valutazione che la COGNOME avesse contratto il mutuo nel 2011; pagato solo 13 rate a decorrere dal 2011; e che pertanto ogni discorso di superare il dissesto era ‘irrealistico’. In realtà, il mutuo è stato contratto con Unicredit nel 2011, la Banca Carim s.p.a. è subentrata per surroga nel luglio 2016: la ricorrente ha pagato 68 rate, ossia tutte le rate dovute ad Unicredit e Carim sino ad agosto 2017, di cui 55 rate a Unicredit e 13 rate alla subentrata Carim s.p.a. ». Se ne prospetta la decisività perché « sia la Corte di Appello, sia la Corte di Cassazione, fondano la sussistenza di una crisi e di uno stato di insolvenza sulle rate di mutuo non pagate (o meglio sulle sole 13 rate di mutuo pagate dal 2011…); non vi erano infatti altre obbligazioni inadempiute tali da causare lo stato di insolvenza e da condurre alla dichiarazione di fallimento ». Si deduce, inoltre, che l’ordinanza oggi impugnata « effettua una mescolanza tra il secondo ed il terzo motivo del ricorso in Cassazione, per una svista, che ha creato confusione portando alla mancata valutazione di una parte del secondo motivo (integrazioni) , mentre alla fine riconduce l’insolvenza ad asseriti inadempimenti, inducendo la stessa Corte a non esaminare la documentazione integrativa citata »;
II) « L’ordinanza della Corte di cassazione deve essere revocata ai sensi degli artt. 391 -bis c.p.c., 395 numero 4), c.p.c.: travisamento di risultanze processuali e omesso esame di parte del secondo motivo di ricorso per cassazione (relazione integrativa del dott. COGNOME del 10.04.2018, integrazione al ricorso per l’ammissione al concordato pr eventivo in continuità aziendale del 10.04.2018, accordo Carim) ». Si assume, in sostanza, che, nell’esame del secondo e del terzo motivo del suo ricorso, « la Corte di Cassazione incorre nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che induce la Corte a ritenere inesistenti circostanze pacificamente esistenti: infatti, la Corte ritiene inesistenti sia la relazione integrativa al ricorso per l’am missione al concordato preventivo in continuità aziendale, datato 10 aprile 2018 , sia la integrazione della relazione del professionista ex art. 161, comma 3 L.F, che aveva espresso parere favorevole, documenti di cui occorreva tener conto nella decisione. La decisione è pertanto frutto di un errore di fatto che dà luogo ad un indiscutibile contrasto tra quanto in essa rappresentato e le oggettive risultanze degli atti processuali; sulla base di tale errore, la Corte sostiene illegittimamente la decisione assunta in violazione di un parametro di fonte legislativa ».
2.1. La prima di tali doglianze è inammissibile nel suo complesso.
3.1. Essa infatti, investe le determinazioni utilizzate dall’ordinanza impugnata (di cui si è già esaustivamente dato conto nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, da intendersi, qui, per brevità, interamente richiamato) per dichiarare inammissibili i motivi secondo e terzo del ricorso spiegato dalla COGNOME contro la sentenza della Corte di appello di Roma n. 1584 del 2019.
3.2. Invero, rileva il Collegio che la censura in esame, per come concretamente argomentata nel duplice profilo che la compone, cerca di contestare un (preteso) errore di giudizio, e non percettivo, atteso che ciò di cui si duole l’odierna ricorrente, lungi dall’essere una ‘ svista ‘ obbiettivamente ed immediatamente rilevabile in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte (il non essersi ‘ accorta ‘ che, alla stregua della documentazione invocata nell’odierno motivo, non sarebbe stata configurabile -come pretenderebbe la COGNOME -una situazione di sua insolvenza concretamente idonea a legittimarne la
dichiarazione di fallimento), si risolve, invece, nella contestazione afferente proprio la ritenuta sussistenza del suo stato di insolvenza, affermata dalla corte di appello con valutazione che, in quanto fondata su accertamenti di natura chiaramente fattuali, come tali non sindacabili in sede di legittimità (se non per vizio motivazionale, ove concretamente possibile il ricorso al vigente art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e nei limiti imposti dall’interpretazione dello stesso fornita dalla pressoché costante giurisprudenza di legittimità seguita a Cass., SU, n. 8053 del 2014), ha condotto alla declaratoria di inammissibilità del terzo motivo di ricorso da lei spiegato contro la sentenza della Corte di appello di Roma n. 1584 del 2019, ossia in una pretesa valutazione di un asserito errore di diritto e non di fatto.
3.2.1. Occorre ricordare, allora, che, come si è già detto in precedenza, in tema di revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone, non un qualsiasi errore di fatto, ma un errore di fatto (riguardante gli atti interni al giudizio di legittimità. Cfr . Cass., SU, n. 20013 del 2024) che si risolva in un’erronea percezione dei fatti di causa, non ricorrendo, dunque, vizio revocatorio, quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione o interpretazione di documenti e risultanze processuali e non della relativa inesatta percezione ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 13181 del 2013; Cass. n. 22171 del 2010; Cass. n. 16447 del 2009; Cass. n. 26022 del 2008. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche le più recenti Cass. n. 20635 del 2017, Cass. n. 16138 del 2019, Cass. n. 3544 del 2022, Cass. n. 735 del 2023 e Cass., SU, n. 20013 del 2024).
3.2.2. A ciò va soltanto aggiunto che, della pretesa decisività di questo lamentato ed asserito errore, la ricorrente nemmeno fornisce un’adeguata spiegazione, posto che: i ) come è noto, per la configurabilità dello stato di insolvenza richiesto al fine della dichiarazione di fallimento è sufficiente una situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 15869 del 2022; Cass. n.
25915 del 2021; Cass. n. 646 del 2019; Cass. n. 29913 del 2018; Cass. n. 30209 del 2017; Cass. n. 19027 del 2013; Cass. n. 25961 del 2011; Cass. n. 9856 del 2006); ii ) la ‘ decisività ‘ riguarda, di per sé, il nesso di causalità tra il fatto non esaminato e la decisione: esso deve, cioè, apparire tale che, se preso in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di ‘ certezza ‘ della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015); iii) i fatti e/o i documenti di cui oggi la ricorrente lamenta l’errata indicazione o l’omesso esame, lungi dall’essere, di per sé, ‘ decisivi ‘, nei sensi in precedenza ricordati, al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni circa l’insolvenza della COGNOME magari diverse da quelle esposte dalla corte capitolina (ritenuto non sindacabile da questa Corte con l’ordinanza oggi impugnata), così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.
3.2.3. In definitiva, quindi, nel caso di specie, la censura oggi complessivamente veicolata dalla ricorrente non denuncia una svista obiettivamente ed immediatamente percepibile, commessa dalla Corte regolatrice, bensì contesta la valutazione di complessiva inammissibilità effettuata da quest’ultima circa il terzo (e parte del secondo) motivo del precedente ricorso della prima, che, semmai (ed in via di mera ipotesi), potrebbe integrare un errore di giudizio (non altrimenti emendabile nel vigente sistema delle impugnazioni, ove riferito ad una decisione della Corte di cassazione, per superiore volontà della Legge affinché ne lites fiant paene perennes, et vita hominum modum excedant ) e non un errore di fatto revocatorio, tendendosi, in ultima istanza, a sollecitare un rinnovato giudizio sul precedente ricorso per cassazione.
Considerazioni affatto analoghe valgono pure per il secondo motivo dell’odierno ricorso, da ritenersi parimenti inammissibile perché
sostanzialmente volto, in realtà, a censurare le determinazioni poste dall’impugnata ordinanza di questa Corte a fondamento della declaratoria di inammissibilità della doglianza (secondo motivo) con cui la COGNOME aveva lamentato la mancata ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale per la non fattibilità del corrispondente piano sancita dalla Corte di appello di Roma con la sentenza n. 1584/2019.
4.1. Pure in questo caso, invero, la doglianza, per come concretamente argomentata, si risolve nella contestazione afferente proprio la ritenuta inammissibilità, per non fattibilità del suo piano, della istanza della COGNOME di ammissione alla suddetta procedura concordataria che ha condotto alla declaratoria di inammissibilità del corrispondente motivo di ricorso da lei spiegato contro l’appena menzionata sentenza della corte capitolina, ossia in una pretesa valutazione di un asserito errore di diritto e non di fatto.
4.2. Mette conto ribadire, comunque, che l’impugnazione per revocazione delle decisioni della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla decisione e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte che -come concretamente accaduto nella specie -la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come ragione di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio ( cfr . Cass., SU, n. 31032 del 2019; Cass., SU, n. 20013 del 2024).
In conclusione, dunque, il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Fallimento rimasto solo intimato,
altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato p ari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile