Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5372 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5372 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 19563/2023
promosso da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese dall’ avv. NOME COGNOME (PEC: pec EMAIL) ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma, INDIRIZZOin virtù di procura speciale in atti;
parte ricorrente
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo, in persona del liquidatore sociale pro tempore e del commissario liquidatore pro tempore (nominato nel decreto di omologazione del concordato preventivo emesso dal Tribunale di Frosinone, in data 28/01/2014, nella procedura n. 15/2012), rappresentata e difesa da ll’avv. prof. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’ avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL), presso lo studio del primo
elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
e di
Roma Capitale , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avv. COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura capitolina ;
contro
ricorrente
avverso l ‘ordinanza di questa Corte di Cassazione n. 10701/2023, pubblicata il 20/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, NOME COGNOME con le quali è stato chiesto l’accoglimento del ricorso.
Letti gli atti e i documenti di causa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La RAGIONE_SOCIALE (di seguito, ICO), proponeva immediato appello contro la sentenza non definitiva n. 14261/2016, con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato le domande proposte dalla ICO nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, del RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE (di seguito, Concessionarie), volte ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto di appalto stipulato l’11/01/2010 con queste ultime, avente ad oggetto la realizzazione di parcheggi nel sottosuolo di INDIRIZZO, in Roma, strutturato su tre piani interrati, per un totale di 707 posti auto, e la ripetizione dell’indebito, oltre al risarcimento danni per abuso di dipendenza economica e per violazione dell’obbligo di buona fede, dichiarando inammissibile l’azione di
ingiustificato arricchimento, proposta dalla ICO nei confronti delle Concessionarie e rigettando la medesima azione nei confronti di Roma Capitale.
Per quanto ancora di rilievo in questa sede, nel proporre appello, la ICO deduceva l’erroneo rigetto della domanda di accertamento della nullità del menzionato contratto di appalto, e comunque il mancato rilievo ufficioso di tale nullità, pur sollecitata dalla parte, per violazione della normativa in tema di evidenza pubblica, avente carattere imperativo, come pure la nullità, sempre per violazione della normativa in tema di evidenza pubblica, del contratto che aveva dato accesso alla concessione di costruzione e gestione del parcheggio interrato in Roma, INDIRIZZO, stipulato tra il Comune di Roma e le Concessionarie in data 13/01/2005 e successivamente modificato in data 03/08/2009, avente ad oggetto la costruzione e la gestione del parcheggio interrato di INDIRIZZO
In particolare, secondo la ICO, il contratto di appalto era nullo, perché stipulato in violazione delle norme sull’evidenza pubblica, essendo le Concessionarie tenute a rispettare le regole dell’evidenza pubblica per la scelta dell’appaltatore, e comunque per invalidità derivata, perché neppure il contratto tra Roma Capitale e le Committenti non aveva rispettato le regole dell’evidenza pubblica .
La Corte d’appello ha respinto l’impugnazione , statuendo, per quanto ancora di rilievo, come segue: « … Invero nella convenzione stipulata tra il Consorzio appellato si prevede espressamente la realizzazione del parcheggio quale parcheggio privato, realizzato nel sottosuolo di proprietà comunale ai sensi dell’art. 9, comma 4, della legge 24 marzo 1989, n. 122 (legge Tognoli), nell’ambito del Programma urbano Parcheggi (P.U.P.) emergenza nella città di Roma. Detta norma prevede: ‘ 4. I comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzioni o di società anche
cooperative, possono prevedere, nell’ambito del programma urbano dei parcheggi la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse. Tale disposizione si applica anche agli interventi in fase di avvio o già avviati. La costituzione del diritto di superficie è subordinata alla stipula di una convenzione nella quale siano previsti: a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a novanta anni; b) il dimensionamento dell’opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione; c) i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e la esecuzione dei lavori; d) i tempi e le modalità per la verifica dello stato di attuazione nonché le sanzioni previste per gli eventuali inadempimenti. ‘ La legittimità della procedura seguita dal Comune di Roma è stata confermata dal T.A.R. Lazio nella sentenza n. 13332/2015 resa in caso analogo, avente ad oggetto gli atti concernenti il progetto di parcheggio privato di pertinenza interrato che il Sindaco di Roma, quale Commissario delegato, aspirava a realizzare sotto la propria sede viaria di INDIRIZZO ovvero nell’area comunale immediatamente prospiciente le proprietà private e condominiali; in particolare, erano state impugnate le Ordinanze del Commissario delegato per l’emergenza del traffico e della mobilità nella città di Roma n. 52 del 27 luglio 2007, recante “Rimodulazione integrazione, con inserimento di nuovi interventi ed adozione di nuova denominazione di alcuni interventi già inseriti, del Piano Parcheggi ex ordinanza sindacale n. 2 e successive modificazioni”, e n. 53 del 27 luglio 2007, recante “Approvazione del nuovo schema di Convenzione per la concessione di diritto di superficie per i parcheggi di cui all’art. 9, comma 3, l. 24 marzo 1989, n. 122 (legge Tognoli) ed in parte qua, l’Ordinanza del Presidente del Consiglio ei Ministri n. 3543 del 26 settembre 2006. In particolare, il TAR Lazio ha avuto modo di precisare che: ‘ con D.P.C.M del
4.8.2006 veniva dichiarato lo stato di emergenza per la situazione determinatasi ne settore del traffico e della mobilità della città di Roma, cui seguiva la nomina del Sindaco di Roma (O.P.C.M n. 3543/2006) quale Commissario Delegato per l’attuazione degli opportuni interventi volti a fronteggiare l’emergenza. In virtù della facoltà concessa ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b) dell’O.P.C.M n. 3543/06, il nuovo piano parcheggi emergenziali ha quindi previsto la realizzazione di parcheggi destinati in gran parte a posti auto pertinenziali ad unità immobiliari di residenti e, per il rimanente a posti auto a disposizione del privati, da utilizzarsi anche dai non proprietari. Orbene, il citato art. 9 della legge 122/1989 prevede due distinte tlpologie di parcheggi, i parcheggi privati in senso stretto (art. 9, commi 1 e 2) ed i parcheggi realizzati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse per essere destinati a pertinenza di immobili privati previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie (art. 9, comma 4). Con riguardo a tale seconda ipotesi (come la presente fattispecie) la norma emergenziale ha abilitato il Comune a realizzare un’opera destinata a essere funzionalizzata a un immobile privato, anziché a una collettività; tale ipotesi, espressamente prevista dalla citata O.P.C.M. n. 3543/2006, non solo non contraddice le richiamate previsioni di cui all’art. 9 della legge 122/1989 ma vi trova addirittura conferma nel comma 5 del ripetuto art. 9, come sostituito dal DL 9 febbraio 2012, n. 5 conv. in legge 4 aprile 2012, n. 35, laddove espressamente si prevede la facoltà per il Comune di autorizzare la cessione di parcheggi pertinenziali realizzati su suolo pubblico anche in deroga al vincolo di pertinenzialità ‘ . Altresì, il T.A.R. Lazio ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse tutte le doglianze volte a criticare l’omessa individuazione del concessionario del diritto di superficie su aree di proprietà capitolina e relativo sottosuolo per la realizzazione del parcheggio in questione mediante indizione di una procedura ad evidenza pubblica, sul rilievo che:
‘ tale contestazione non è sostenuta da un interesse avente giuridico rilievo, perché il mancato ricorso alla procedura ad evidenza pubblica può essere censurato solo da chi abbia interesse all’assegnazione della concessione e sia stato estromesso a seguito di un affidamento avvenuto in via diretta, mentre parte ricorrente non è un’impresa che opera nel settore e non ha un interesse alla realizzazione dell’opera de qua ‘ . La pronuncia del TAR è stata confermata dal Consiglio di Stato, sez IV, 21/12/2016 (ud. 01/12/2016, dep.21/12/2016), n. 5406. In forza dell’articolo 9 della convenzione stipulata con il Comune di Roma erano previsti, quali unici requisiti per l’affidamento dell’appalto, la SOA ed il possesso dei requisiti antimafia. Non solo, ma, ai sensi dell’art. 9 citato, la concessionaria avrebbe potuto eseguire in proprio i lavori ovvero affidarli ad un appaltatore in possesso dei requisiti SOA e del certificato antimafia, senza che vi fosse alcun obbligo a carico delle concessionarie di affidare i lavori mediante una gara pubblica. La parte appellante ha sostenuto che la pronuncia del TAR sarebbe ininfluente ai fini del giudizio in quanto, sul punto relativo alla omessa procedura ad evidenza pubblica, il giudice amministrativo si sarebbe limitato a rigettare il motivo sul rilievo del difetto di interesse delle parti ricorrenti in quel giudizio. La tesi non ha pregio. …Omissis… Sviluppando il ragionamento, va ricordato che ai sensi dell’articolo 1421 c.c. la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse. Nel caso in questione, è evidente la mancanza di interesse dell’appellante a far valere la nullità derivante dalla mancanza di procedimento evidenza pubblica, risultando proprio la ICO il soggetto prescelto per l’esecuzione dell’opere a seguito di trattativa privata, e, dunque, con violazione delle norme in materia di appalto pubblico che si pretendono violate. D’altra parte, anche l ‘ indebito arricchimento richiesto dalla attrice, in quanto fondato su la dedotta nullità per violazione del procedimento ad evidenza pubblica, non è causalmente riconducibile alla
circostanza che il contraente sia stato scelto a seguito di trattativa privata e non, invece, seguito di gara. Ne deriva, sotto questo aspetto, il difetto di interesse dell’attrice a far valere la suddetta nullità. In ogni caso, va aggiunto che l’applicabilità della procedura ad evidenza pubblica è stata esclusa dalla deliberazione ANAC n. 57 del 30 maggio 2012 prodotta in atti, riguardante il parcheggio di INDIRIZZO realizzato in base ai medesimi presupposti di quello oggetto del presente giudizio. Detta delibera trae origine dalla richiesta da parte del Comitato dei cittadini di INDIRIZZO circa una verifica sulla correttezza formale della concessione stipulata tra il Comune di Roma e la società RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione del parcheggio interrato in INDIRIZZO. A tal fine, l’Autorità adita ha richiesto alla Stazione appaltante di fornire chiarimenti e informazioni inerenti la procedura adottata per l’individuazione della società concessionaria del diritto di superficie per la realizzazione dell’intervento. Dopo aver ricostruito lo stato di emergenza che ha determinato il susseguirsi di D.P.C.M e O.P.C.M. e delle deroghe ivi previste, l’ANAC ritenuto coerenti con il quadro normativo di riferimento tutti gli affidamenti avvenuti all’epoca dell’avviso pubblico con cui il Comune ha individuato le proposte formulate dai privati ritenute ammissibili ai fini del P.U.P. 89/91, tra cui la realizzazione del parcheggi di INDIRIZZO. Con la delibera in esame, dunque, l’ AVCP ha espressamente escluso gli affidamenti pregressi in materia di parcheggi nell’ambito del P.U.P. dall’applicabilità ella normativa in materia di evidenza pubblica. Questo il dispositivo della delibera in esame: · ‘ ritiene che la procedura di realizzazione del parcheggio in INDIRIZZO sia coerente con il quadro normativo di riferimento se si riconduce la stessa all’epoca dell’avviso pubblico con cui il Comune ha individuato le proposte formulate dai privati ritenute ammissibili ai fini dell’inserimento nel P.U.P. 89/91; · rileva, tuttavia, come il Comune Roma continui a realizzare
parcheggi, da ritenersi rientranti nella nozione di opera pubblica, sulla base delle semplici proposte presentate dai privati oltre venti anni fa, protraendo fini all’attualità l’effetto di procedure oramai on più coerenti con l’attuale quadro normativo; · ritiene, pertanto, opportuno che il Comune di Roma proceda ad una ricognizione complessiva degli interventi strettamente riconducibili al citato avviso pubblico ancora da realizzare e al completamento degli stessi in tempi limitati, al fine di poter procedere nel caso di nuovi ulteriori interventi, con modalità coerenti all’attuale quadro normativo; · ritiene, inoltre, che nel caso di eventuali decadenza decadenze delle convenzioni in atto, l’affidamento della concessione del diritto di superficie a un nuovo soggetto non potrà che avvenire nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica previste dalle norme vigenti ‘ . È evidente, pertanto, sulla base della su detta delibera del 30 maggio 2012, la legittimità delle procedure pregresse, tra le quali quella prevista dalla concessione perfezionatasi tra Roma Capitale e le società ed il consorzio convenuto in data 13/1/2005 cosi come modificato in data 3/8/2009, nonché del contratto di appalto stipulato l’11 gennaio 2010 tra RAGIONE_SOCIALE e le società appellante. … »
Contro tale decisione la ICO ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di doglianza, nel contraddittorio con gli intimati che si sono difesi con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso la parte ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., per violazione di norme imperative, in relazione all’omesso accertamento della nullità del contratto d’appalto stipulato dalle concessionarie del Comune di Roma, RAGIONE_SOCIALE, con la ricorrente l’11 /01/2010, nonché del contratto che aveva dato accesso alla concessione di costruzione e gestione del parcheggio interrato di INDIRIZZO, stipulato dalle predette concessionarie del Comune di Roma con l’ente, in data
13/01/2005, modificato il 03/08/2009, per radicale mancanza della procedura ad evidenza pubblica.
Con il secondo motivo di ricorso, la ICO ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 9 l. n. 122 del 1989 (cd. legge Tognoli), nonché la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, c omma 2, n.4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (motivazione apparente o manifestamente illogica e contraddittoria) , per aver la Corte d’appello affermato l’esenzione dei contratti in questione dalla procedura ad evidenza pubblica, ritenendo erroneamente che il parcheggio interrato, oggetto dei citati contratti, fosse da qualificarsi come parcheggio privato realizzato nel sottosuolo comunale ex art. 9, comma 4, l. 122 del 1989.
Secondo la ricorrente, il parcheggio in questione, per le sue dimensioni e la sua collocazione doveva ritenersi obiettivamente destinato alla fruizione dell’intera collettività e non poteva essere considerato parcheggio pertinenziale di un qualche edificio o fabbricato e, comunque, costituiva opera di urbanizzazione, come tale destinata a tornare, al termine di durata del diritto di superficie, nella piena disponibilità del Comune. La realizzazione del parcheggio doveva pertanto essere considerata un’opera pubblica e, per essere realizzata, richiedeva il rispetto delle norme di evidenza pubblica.
Ad opinione della ICO, inoltre, la disciplina della l. n. 122 del 1989 non conteneva alcuna deroga espressa alla disciplina relativa alla realizzazione di opere pubbliche.
Nell’ottica della parte, non assumeva rilievo la sentenza del TAR Lazio n. 13332/2015, menzionata dalla Corte d’appello , che aveva riguardato il parcheggio in INDIRIZZO, trattandosi di un piccolo parcheggio da localizzarsi su area comunale immediatamente adiacente alle proprietà private e condominiali che serviva, che poteva essere, dunque, correttamente considerato come un parcheggio pertinenziale, mentre,
invece, il parcheggio di INDIRIZZO, per le sue caratteristiche e la sua ubicazione, era destinato a servire non già immobili di proprietà privata, ma la collettività indifferenziata dei cittadini, aggiungendo che, in ordine alla questione della mancanza del rispetto della procedura di evidenza pubblica, il TAR aveva semplicemente affermato la carenza d’interesse , dato che il ricorso era stato presentato dai cittadini residenti nelle vicinanze del parcheggio.
In sintesi, secondo la ricorrente, la Corte d’appello aveva erroneamente ricondotto la fattispecie a quella prevista e disciplinata dalla l. n. 122 del 1989, incorrendo nel vizio di sussunzione della norma invocata, deducendo, gradatamente, il vizio di motivazione apparente, in ordine alle ragioni per cui il parcheggio in INDIRIZZO avrebbe dovuto ritenersi un parcheggio privato con asservimento di natura pertinenziale ad un qualche immobile di proprietà privata.
La stessa parte ha, inoltre, ritenuto che l a delibera dell’AVCP (ora ANAC) , sempre richiamata nella sentenza impugnata, non aveva il rilievo ritenuto dalla Corte di merito, in quanto, da un lato, non era vincolante per il giudice e , dall’altro , sanciva comunque, come principio di matrice eurounitaria, l’obbligatorietà della procedura ad evidenza pubblica nel caso di affidamento in concessione del diritto di superficie relativo a parcheggi privati, aggiungendo che, con una successiva delibera (n. 763 del 2016), l’ANAC aveva chiarito che l’evidenza pubblica è necessaria ogni qualvolta la concessione stipulata tra Amministrazione e privato, avente ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche, abbia natura onerosa, come avviene nel caso in cui il concessionario acquisti il diritto di sfruttare economicamente l’opera , e con u n’altra delibera ANAC (n. 64 del 2015), relativa alla concessione di affidamento del servizio di gestione di parcheggi, la stessa ANAC aveva affermato, in tale ipotesi, la necessaria applicazione delle norme sull’evidenza pubblica, che non poteva certo
escludersi per il caso di concessione, oltre che della gestione, anche della costruzione del parcheggio.
La ricorrente ha, infine, dedotto c he il riferimento all’urgenza della costruzione nel parcheggio non poteva giustificare la mancata applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici, come chiarito dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22/10/2004, che stabiliva che le ordinanze contingibili e urgenti potevano derogare alle norme sugli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture di rilievo comunitario solo al ricorrere di situazioni di urgenza e necessità aventi carattere di assoluta imperiosità , tant’è che né il decreto dichiarativo dello stato di emergenza né l’O .P.C.M. n. 3546/2006, richiamata in sentenza, attribuivano simili poteri derogatori.
Con il terzo motivo di ricorso, la ICO ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1421 e 2041, c.c., in relazione all’art. 100 c.p.c., per avere la Corte erroneamente negato la sussistenza, in capo ad essa istante, dell’interesse ad agire, con riferimento all’azione di nullità contrattuale e d’ingiustificato arricchimento, in quanto l’azione di nullità era finalizzata a paralizzare la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per vizi e difetti dell’opera realizzata. Sotto tale profilo, invero, il contratto d’appalto , ad opinione della parte, era da ritenersi nullo per contrasto con norme imperative e in conseguenza della nullità del contratto che aveva dato accesso alla concessione per la costruzione e la gestione del parcheggio interrato in favore delle committenti. Di conseguenza – mancando il titolo contrattuale – sarebbe stata ammissibile l’azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c.
Con il quarto motivo la ICO ha dedotto la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n.4, c.p.c. e 118 disp. att., c.p.c., per motivazione apparente e contraddittoria in quanto ha negato l’interesse ad
agire, come detto, ma ha rigettato la domanda ex art. 2041 c.c. (così implicitamente riconoscendo tale interesse).
Roma Capitale, nel difendersi con controricorso che dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, evidenziando, per quanto in questa sede di interesse, che nella convenzione tra il Comune di Roma e il consorzio era prevista la realizzazione del parcheggio come parcheggio privato nel sottosuolo di proprietà del Comune come previsto dalla l. n. 122 del 1989 nell’ambito dei P.U.P., che non era assoggettata all’evidenza pubblica prima dalla l. n. 109 del 1994 e poi dal d.lgs. n. 163 del 2006. Aggiungeva che, sulla scorta della delibera AVCP (ora ANAC) sopra menzionata, la nozione di opera pubblica riguardava solo ed esclusivamente il rapporto tra il Comune e le Concessionarie e non gli appalti da queste ultime stipulati e che, comunque, ai sensi dell’art. 30 d.lgs. cit., l’operazione di assentimento di un parcheggio con connesso diritto di gestione non costituisce un appalto n senso stretto, bensì un affidamento in concessione di servizi, cui non poteva applicarsi il titolo II del d.lgs. n. 13 del 2006.
Le Concessionarie, nel controricorso, hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità dei motivi avversari, ritenendoli comunque infondati. Con riferimento al primo e al secondo motivo di ricorso per cassazione, per quanto in questa sede ancora di rilievo, le parti hanno dedotto che il TAR Lazio (sentenza n. 13332/2015) aveva statuito in una fattispecie identica (convenzione di concessione del diritto di superficie per la realizzazione di un parcheggio ai sensi dell’art. 9, comma 4, l. n. 122 del 1989 , inserito in un P.U.P. ), respingendo l’impugnazione contro l’ ordinanza del Sindaco che, in qualità di Commissario delegato per l’emergenza del traffico, aveva rimodulato il Piano parcheggi di Roma, nella parte in cui aveva consentito di derogare al vincolo di pertinenzialità di cui all’art. 9, comma 4, l. cit., in virtù della facoltà concessa da ll’art. 1 , comma 2, lett. b) del l’ O.P.C.M. n.
3543/06, così prevedendo la realizzazione di parcheggi destinati in gran parte a posti auto pertinenziali ad unità immobiliari di residenti e per il rimanente a posti auto a disposizione dei privati, da utilizzarsi anche dai non proprietari, come pure successivamente previsto da ll’art. 9 , comma 5, l. cit., come sostituito dal d.l. n. 5 del 2012, conv. con modif. in l. n. 35 del 2012.
Le Controricorrenti hanno anche dedotto che il TAR, nella stessa pronuncia, aveva ritenuto i ricorrenti privi di interesse a far valere la violazione delle regole di evidenza pubblica nella scelta delle società Concessionarie, potendo tale violazione essere fatta valere solo dalle parti interessate alla all ‘assegnaz ione, aggiungendo che la deliberazione AVCP (poi ANAC) n. 57 del 30/05/2012 aveva confermato la legittimità degli affidamenti diretti intervenuti nell’ambito del P.U.P. di Roma relativi a contratti già stipulati e convenzioni già esistenti al momento della pronuncia.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso per cassazione, evidenziando, per quanto in questa sede di rilievo, quanto segue: «5. I quattro motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati. 5.1. Occorre muovere dalla natura dell’opera realizzata dalla ICO, che la convenzione tra Roma Capitale e le tre concessionarie prevede essere un ‘ parcheggio privato ‘, ai sensi dell’art. 9, comma 4, l. 122/1989 (legge Tognoli), norma che, peraltro, la ricorrente ritiene – correttamente – essere stata violata. Va osservato, infatti, che la disposizione in questione prevede: ‘ I comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati interessati o di società anche cooperative appositamente costituite tra gli stessi, possono prevedere nell’ambito del programma urbano dei parcheggi la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse. La costituzione del diritto di
superficie è subordinata alla stipula di una convenzione nella quale siano previsti: a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a novanta anni; b) ‘. 5.2. Orbene, nel caso di specie, non risulta esservi stata né la richiesta di privati interessati o di cooperative all’uopo costituite, né – tanto meno – la destinazione del parcheggio interrato a pertinenza di immobili privati, come richiesto da tale norma. Sotto tale profilo, la Corte d’appello sarebbe dovuta pervenire alla conclusione – e sotto tale profilo i motivi di ricorso, nella illustrazione delle doglianze, censurano anche il risultato interpretativo cui è approdato il giudice di appello, laddove deducono che la Corte avrebbe erroneamente ‘ opinato ‘ , sulla base della convenzione di concessione, che si tratti di un parcheggio privato – che, in realtà, si tratta della realizzazione di un’opera pubblica, mediante concessione di opera pubblica. A tale conclusione la Corte sarebbe dovuta pervenire anche considerando che la sentenza del TAR citata, n. 13332/2015, riguardava il ben diverso caso di un parcheggio interrato, in INDIRIZZO in area comunale immediatamente prospiciente proprietà private e condominiali, e dunque con finalizzazione (come riportato nella sentenza citata) a immobili privati. Caratteristiche che difettano nel caso di specie. Né è persuasivo il riferimento alla delibera dell’Anac del 2012 che non si era pronunciata espressamente sulla piena legittimità della procedura prescelta per individuare il concessionario dell’opera, limitandosi ad affermare che, nel caso di decadenza dalla concessione, il Comune avrebbe certo dovuto applicare le norme sull’evidenza pubblica. 5.3. Per tale ragione, proprio in quanto trattavasi di un’opera pubblica, Roma Capitale non si è limitata alla costituzione di un diritto di superficie con apposita convenzione, ma ha fatto ricorso ad un contratto costitutivo di una concessione di costruzione e gestione dell’opera, a favore delle tre concessionarie, seguita dall’appalto a favore della ICO. E ciò in conformità dell’art. 5 della l.
122/1989, secondo cui ‘ Per l’attuazione del piano il comune interessato provvede alla progettazione ed alla esecuzione dei lavori, nonché alla gestione del servizio direttamente ovvero mediante concessione di costruzione e gestione con affidamento a società, imprese di costruzione anche cooperative, loro consorzi ‘ . 5.2. Ebbene, la concessione di costruzione e di gestione di un’opera pubblica è sussumibile nella unitaria categoria, regolata dal d.lgs. n. 163 del 2006, della ‘ concessione di lavori pubblici ‘ , nella quale la gestione funzionale ed economica dell’opera non costituisce un accessorio eventuale della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario ‘ (Cass., S.U., n.5594/2020). 5.3. Si pone, a questo punto, il problema se il contratto di appalto che il concessionario di lavori pubblici, e successivamente di opera pubblica, stipula con un soggetto diverso – se non provvede direttamente alla costruzione ed alla gestione dell’opera debba seguire o meno, la procedura di evidenza pubblica. La risposta affermativa … Omissis.»
Ritenuta pertanto la nullità del contratto di appalto di opera pubblica, stipulato a seguito di trattativa privata, ex art. 1418, primo comma , c.c., per contrarietà alle norme imperative che prescrivono il ricorso alle regole dell’evidenza pubblica per la scelta del contraente, questa Corte ha ritenuto sussistente l’interesse della ICO a far valere tale nullità, atteso che, con riferimento alla domanda (o all’eventuale eccezione) di nullità di contratto, per le parti contraenti l’interesse ad agire è in re ipsa , in dipendenza dell’attitudine del contratto di cui si invoca la nullità ad incidere nella loro sfera giuridica (Cass., n.2670/2020), aggiungendo che, nella specie, l ‘interesse deriva dalla necessità per l’istante di difendersi dalla domanda riconvenzionale di inadempimento contrattuale (non vi è inadempimento di un contratto nullo) e di risarcimento danni, proposta in
via riconvenzionale dai committenti, inoltre, la nullità del contratto di appalto consente all’appaltatore di far valere l’azione ex art. 2041 c.c.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per revocazione le Concessionarie, affidato ad un solo motivo di impugnazione.
Gli intimati si sono difesi con controricorso.
Roma Capitale ha aderito al ricorso, mentre la ICO ne ha chiesto la declaratoria di inammissibilità.
Il Pubblico Ministero ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Le ricorrenti e i controricorrenti hanno depositato memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e unico motivo di ricorso è dedotto che questa Corte è incorsa in un errore di fatto ex artt. 391 bis c.p.c. e 395, n. 4, c.p.c. , per avere l’ ordinanza oggetto della richiesta di revocazione deciso la controversia erroneamente supponendo l’inesistenza del vincolo di destinazione pertinenziale del parcheggio sito in INDIRIZZO alle proprietà immobiliari circostanti.
Secondo le ricorrenti, il vincolo pertinenziale era, invece, esistente e connaturato al parcheggio oggetto della presente controversia, come emergeva dalle Convenzioni stipulate tra la RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Roma. La destinazione del parcheggio interrato a pertinenza di immobili privati era, infatti, una circostanza che non era mai stata oggetto di controversia e risultava dalle Convenzioni stipulate tra le ricorrenti e il Comune di Roma.
In particolare, le ricorrenti hanno evidenziato che:
-l’art. 4 della Convenzione del 24 gennaio 2005 (doc. 1 fasc. ric.), stipulata dal Comune di Roma con le Committenti, prevedeva la realizzazione di 318 posti auto e boxes (133 boxes, di cui 14 doppi, al primo livello interrato; – 171 stalli aperti al secondo piano interrato, la cui
eventuale gestione a rotazione anziché pertinenziale era subordinata ad a un’articolata approvazione comunale), stabilendo che la l’opera avrebbe dovuto essere destinata esclusivamente a parcheggio di pertinenza di unità immobiliari di proprietà di ivi residenti o comunque aventi titolo secondo le vigenti normative applicabili;
-successivamente, il Sindaco, quale Commissario delegato per l’attuazione degli opportuni interventi volti a fronteggiare l’emergenza del traffico, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b) dell’O.P.C.M. n. 3543/ 2006 (che dichiarava lo stato di emergenza per la situazione determinatasi nel settore del traffico e della mobilità della città di Roma), veniva autorizzato a prevedere, nel nuovo piano parcheggi emergenziali, la realizzazione di parcheggi destinati in gran parte a posti auto pertinenziali ad unità immobiliari di residenti e, per il rimanente, a posti auto a disposizione dei privati, da utilizzarsi anche dai non proprietari, se necessario, in deroga all’art. 9, comma 4, l. n. 122 del 1989 ;
– il Sindaco adottava, quindi, l’Ordinanza sindacale n. 129 del 27/11/2008, la quale, negli allegati, individuava i parcheggi ritenuti prioritari dal Comune di Roma, tra i quali erano compresi sia il parcheggio di INDIRIZZO che il parcheggio di INDIRIZZO oggetto della presente controversia. In particolare, il parcheggio lungotevere INDIRIZZO, oggetto della statuizione del TAR, sopra descritta, figurava nell’elenco B ‘Interventi prioritari’ Municipio n. 17 , mentre il parcheggio di INDIRIZZO figurava nell’allegato C ‘interventi con procedure avviate o con opere in corso di realizzazione’ Municipio 17. Nell’allegato B della suddetta ordinanza figurava anche il parcheggio di INDIRIZZO) oggetto della menzionata delibera AVCP (poi ANAC) n. 57 del 30/05/2012; – con Convenzione integrativa del 3 agosto 2009, a seguito di specifica Ordinanza Commissariale n. 6816 del 03/08/2009, veniva previsto un ampliamento del parcheggio di INDIRIZZO , tant’è che venivano previsti
ben n. 707 posti auto di cui n. 404 pertinenziali, posti al terzo e quarto piano interrato, e n. 303 stalli a disposizione dei privati anche in deroga al vincolo di pertinenzialità, posti al primo e al secondo piano interrato.
Secondo le ricorrenti, dai suddetti documenti emergeva chiaramente il vincolo di pertinenzialità, che non era mai stato contestato e/o revocato in dubbio dalle parti del processo e né, ovviamente, smentito dalla documentazione depositata in giudizio.
Ad opinione delle parti, l ‘errore di fatto revocatorio è rinvenibile anche nella parte in cui l’ordinanza ha supposto la diversità tra la fattispecie oggetto della presente controversia e il parcheggio interrato in INDIRIZZO Si trattava, invece, in entrambi i casi, di parcheggi pertinenziali (in parte a disposizione dei privati) inseriti nell’ambito del P.U.P. approvato dal Comune di Roma per il triennio 1989-1991 ai sensi e per gli effetti di cui alla legge 24 marzo 1989 n. 122 e attuati secondo quanto previsto dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3543 del 26 settembre 2006 rubricato ‘interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare l’emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nel territorio di Roma Capitale’. Entrambi gli interventi risultano riportati nell’Ordinanza del Sindaco , quale Commissario delegato, n. 129 del 27/11/2008. Negli allegati alla ordinanza che individuano i parcheggi ritenuti prioritari dal Comune di Roma, per i quali è stato acquisito il parere favorevole dei Municipi competenti per territorio, figurano sia il parcheggio di INDIRIZZO che il parcheggio di INDIRIZZO oggetto della presente controversia.
A fronte di tali pacifiche emergenze processuali, secondo le Concessionarie, l’avere la Corte presupposto l’inesistenza del vincolo di pertinenzialità ha inciso sulla complessiva economia della sentenza, poiché ha indotto la Corte a ritenere il Parcheggio di INDIRIZZO un’opera pubblica, sussumibile nella fattispecie di concessione di costruzione e
gestione soggetta alla normativa vigente in materia di opere pubbliche, e più precisamente nella unitaria categoria della ‘concessione dei lavori pubblici ‘ regolata dal d.lgs. 163 del 2006.
Ad opinione delle ricorrenti, in sintesi, l ‘errore revocatorio commesso dalla Corte di cassazione è la causa (o concausa) dell’equivoco sull’esistenza od inesistenza di un determinato fatto (la mancanza del vincolo di pertinenzialità del parcheggio di INDIRIZZO) in quanto esso sarebbe stato evitato mediante la lettura dei riferimenti alle risultanze processuali in atti (documentazione prodotta e richiamata).
Il motivo di revocazione è inammissibile per due ordini di ragioni.
2.1. Com’è noto, il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4), c.p.c. consente la revocazione della decisione assunta dalla Corte di cassazione: «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.»
2.2. Come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4), c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione, ma solo l’errore di fatto (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 8984 del 11/04/2018 e Cass., Sez. U, Sentenza n. 30994 del 27/12/2017).
Tale tipologia di errore, rilevante ai fini della revocazione della decisione, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla decisione impugnata e l’altra dagli atti processuali.
Detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (così Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 16439 del 10/06/2021).
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla statuizione impugnata per revocazione e l’altra dagli atti o documenti processuali, sempreché la realtà desumibile da tale statuizione sia frutto di supposizione e non di giudizio formatosi sulla base della valutazione di situazioni controverse tra le parti (così Cass., Sez. 5, Sentenza n. 442 dell’11/01/2018).
È infatti evidente che, ove l’errata rappresentazione del fatto abbia costituto un punto controverso della causa, su cui le parti abbiano discusso, che il giudice abbia valutato ai fini della decisione, non si tratta di errore revocatorio ma di un eventuale errore di giudizio (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 15227 del 30/06/2009).
Se, poi, l’errore non attiene alla percezione di un fatto ma alla valutazione giuridica dello stesso, l’errore dipende dalla violazione o dalla falsa applicazione della norma che regola la fattispecie.
L’errore che giustifica l’impugnazione per revocazione è, dunque, un errore determinato dall’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, poiché consiste in una
falsa percezione della realtà o in una svista materiale, che porti ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso o l’inesistenza di un fatto positivamente accertato, senza che quel fatto abbia costituito un punto controverso tra le parti su cui il giudice si è pronunciato (così Cass., Sez. L, Sentenza n. 24395 del 03/11/2020; v. anche Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2236 del 26/01/2022; Cass, Sez. 5, Sentenza n. 26890 del 22/10/2019).
Come di recente precisato, nella nozione di punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare rientra, non solo il fatto che è stato controverso in ragione di un effettivo dibattito fra le parti, ma anche quello che, introdotto da una parte per mezzo di un atto difensivo, è divenuto per ciò solo controvertibile, così da formare comunque oggetto, implicito o esplicito, della successiva pronuncia con cui il giudice di merito ha definito il processo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7435 del 15/03/2023).
2.3. Nel caso di specie, come si evince dall’illustrazione del primo e del secondo motivo di ricorso per cassazione, poi accolto da questa Corte, il carattere della pertinenzialità ad immobili privati del parcheggio in questione è stato chiaramente contestato dalla ICO, che ha ampiamente illustrato la propria opinione, censurando la sentenza impugnata, tra l’altro, per vizio di sussunzione, in riferimento al disposto dell’art. 9, comma 4, l. n. 122 del 1989, ritenendo che alla fattispecie tale disposizione non fosse applicabile (v. supra e p. 21 e ss. del ricorso per cassazione nel proc. n. 4131/2018 R.G.).
La questione della pertinenzialità o meno del parcheggio è stata, dunque, oggetto della materia del contendere, ed anzi, ha costituito la ragione dei primi due motivi di ricorso, sui cui le parti si sono confrontate.
Non può, dunque ritenersi che la decisione impugnata si sia fondata su un aspetto che non è stato controverso tra le parti.
2.4. Inoltre, la valutazione in ordine alla pertinenzialità o meno del parcheggio non è un vero e proprio fatto, ma è una valutazione giuridica che attiene al vincolo eventualmente esistente tra due beni.
La Corte di cassazione, accogliendo i primi due motivi di ricorso, ha operato una valutazione giuridica delle caratteristiche del parcheggio, così come strutturato, in relazione alle caratteristiche e alla collocazione, escludendo il carattere di pertinenzialità, e riconducendolo alla nozione di opera pubblica realizzata nel sottosuolo di un bene demaniale del Comune.
Non si tratta dunque di omesso esame di un fatto, poiché semplicemente la Corte di cassazione ha operato una ricostruzione giuridica diversa da quella operata dalle ricorrenti, e conforme a quella prospettata dalla ICO nell’originario ricorso per cassazione .
Anche per tale motivo, dunque, il ricorso risulta inammissibile.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La statuizione sulle spese di lite segue la soccombenza.
Le ricorrenti, pertanto, devono essere condannate al pagamento delle spese di lite sostenute dalla ICO.
Tenuto conto, invece, del tenore delle difese svolte da Roma Capitale, le spese di lite devono essere interamente compensate tra quest’ultima e tutte le altre parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , l. n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna le ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente ICO , liquidate nella somma di € 6.000,00 per compenso oltre € 200,00 per esborsi e accessori di legge ;
compensa interamente tra Roma Capitale e le altre parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile