Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19821 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19821 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
REVOCAZIONE ORDINANZA CORTE DI CASSAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione iscritto al n. 505/2024 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– Ricorrente –
Contro
FALLIMENTO NR. 998/2002 DELLA RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME.
– Controricorrente –
E contro
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME.
– Controricorrente – avverso l ‘ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 30254/2023 depositata il 31/10/2023.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.
Rilevato che:
Il Tribunale di Roma respinse la domanda di NOME COGNOME volta ad ottenere la declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione di un immobile di Roma, intestato alla RAGIONE_SOCIALE, successivamente fallita.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3762 del 2022, respinse l’appello dell’attore sul rilievo che la sottoscrizione di un contratto di locazione da parte dello stesso appellante indicava la consapevolezza dell’altruità dell’immobile , mancando altresì la prova dell’interversione del possesso;
questa Corte, con ordinanza n. 30254/2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che ha condannato alle spese del procedimento di cassazione e al pagamento degli importi di cui agli artt. 96 commi 3 e 4 c.p.c., dato che il ricorso veniva deciso in maniera conforme alla proposta del consigliere delegato ex art. 380 bis c.p.c.;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza della Corte di cassazione n. 30254/2023 del 31/10/2023, sulla base di un motivo.
Il Fallimento n. 998/2002 della RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno resistito con distinti controricorsi.
In data 21/03/2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c ., che è stata ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso. È stata quindi fissata l’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
In prossimità dell’udienza, hanno depositato memorie il ricorrente ed il Fallimento n. 998/2002 della RAGIONE_SOCIALE
Considerato che:
l’unico motivo di ricorso denuncia ‘errore di fatto in ordine alla mancata e contraddittoria motivazione relativa all’effettivo possesso del bene da parte del sig. COGNOME e all’onere probatorio’.
Si lamenta l’ errore commesso dalla Corte, consistente nell ‘omessa valutazione della circostanza che l’attore, sin dal primo grado, aveva chiesto di provare il possesso dell’immobile ai fini dell’usucapione e, nella stessa ottica, aveva articolato, nella memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., prove testimoniali, che non erano state ammesse, sicché, nella prospettiva del ricorrente (vedi pag. 6 del ricorso), ‘non è possibile ritenere che vi sia mancanza di prova del possesso precedente del bene che si intende usucapire, se è stato, di fatto, impedito ogni tipo di valutazione, non ammettendo la prova testimoniale’;
1.1. il motivo è inammissibile;
quello lamentato non è un errore di fatto revocatorio secondo la costante accezione della giurisprudenza di legittimità.
L ‘ errore di fatto riparabile, ai sensi dell ‘ art. 395 n. 4 c.p.c., attraverso il rimedio della revocazione, deve consistere in una mera svista di carattere materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l ‘ esistenza di un fatto la cui verità è esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto positivamente accertato in un modo parimenti indiscutibile. Pertanto, non può aversi errore revocatorio per pretesi vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico giuridico (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 19/06/2007, Rv. 596982; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7778 del 27/03/2017, Rv. 644833; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27570 del 30/10/2018, Rv. 651070).
Nel la fattispecie all’attenzione del Collegio non si censura un errore di fatto, ma si stigmatizza un asserito errore di diritto poiché si
critica la statuizione dell’ordinanza revocanda secondo cui i due motivi di ricorso per cassazione miravano, nella sostanza, a rimettere in discussione la valutazione delle risultanze probatorie e il giudizio di inammissibilità della prova per testi, che avevano costituito l’antecedente logico -giuridico della sentenza di rigetto del gravame emessa dalla Corte territoriale.
In altre parole, non si fa valere un errore di percezione, ma si contesta un’attività valutativa che, se fosse davvero errata, integrerebbe un errore di giudizio e non errore di fatto deducibile come vizio revocatorio (Cass. n. 25200/2023).
A questa considerazione se ne affianca un’altra: il presunto errore revocatorio -ove mai sussistente -sarebbe stato commesso dalla Corte d’appello e non dalla S.C.: infatti, a pag. 5 del ricorso per revocazione è riportato il passaggio argomentativo dell’ordinanza revocanda che dà atto che il giudizio di ‘inutilità’ delle prove testimoniali, che già in primo grado non erano state ammesse, era stato espresso (appunto) dalla Corte territoriale. E, in effetti, la censura a base della domanda di revocazione (vedi pag. 6, righi terzo e ss., del ricorso per cassazione) è la stessa censura che era stata sollevata in appello (vedi pag. 5, righi quattro e ss.. della sentenza d’appello) e che la Corte d’appello aveva (implicitamente) respinto ;
il ricorso, pertanto, è inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo;
poiché il ricorso è deciso in conformità della proposta formulata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380 bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in
dispositivo), nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad euro 500 e non superiore a euro 5.000. Cfr. Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 -01; Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023, Rv. 668850 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 27947 del 04/10/2023, Rv. 669107 -01);
4. ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore del Fallimento n. 998/2002 della RAGIONE_SOCIALE in euro 8.500,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, e in favore di NOME Antonio COGNOME in euro 8.500,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Condanna il ricorrente al pagamento dell’importo di euro 5 .000,00 in favore di ciascun controricorrente, ex art. 96 comma 3 c.p.c., e al pagamento di una ulteriore somma di euro 3.000,00, in favore della cassa delle ammende, ex art. 93 comma 4 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 18 giugno 2025.
Il Presidente NOME COGNOME