Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11325 Anno 2025
S.C. ex art. 391- bis c.p.c. – Inammissibilità del ricorso – Caducazione del titolo esecutivo – Condizioni – Credito da migliorie a fondo rustico
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 25.2.2025 AC
COGNOME
R.G.N. 23450/2023
NOME
Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
16488/2022
ORDINANZA
Sui ricorsi riuniti iscritti ai NN. 23450/2023 e 6149/2024 R.G., proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dal l’avv. NOME COGNOME come da procure in calce ai ricorsi, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
entrambi, contro
COGNOME NOMECOGNOME quale erede di COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dal l’avv. NOME COGNOME come da procure allegate ai controricorsi, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
nonché, il secondo, anche contro
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Massimo , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
avverso, rispettivamente, l’ordinanza della Corte di cassazione n. 22515/2023 pubblicata il 26.7.2023, nonché la sentenza della Corte d’appello di Venezia recante il n. 1946/2023 e pubblicata in data 29.11.2023;
udite le relazioni delle cause svolte nella adunanza camerale del 12.2.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RICORSO N. 23450/2023 R.G.
NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Treviso – Sezione specializzata agraria, il figlio NOME COGNOME titolare dell’omonima azienda agricola, chiedendo dichiararsi la risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di fondo rustico stipulato in data 11 novembre 2011, nonché la condanna al rilascio dei terreni affittati e al pagamento dei canoni insoluti. Il convenuto si costituì eccependo, in via preliminare, l’incompetenza della Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Treviso, in ragione dell’esistenza di una clausola compromissoria inserita nel contratto di affitto agrario, del seguente tenore (art. 13): ‘ Qualsiasi controversia relativa all’interpretazione ed applicazione della presente convenzione sarà deferita alla decisione di un Collegio Arbitrale composto da tre membri, due dei quali nominati dalle parti (uno ciascuno) ed il terzo, in funzione di Presidente dai primi due, ovvero in caso di disaccordo, dal Presidente del Tribunale di Treviso. Il Collegio Arbitrale deciderà in via irrituale , secondo diritto e senza formalità alcuna di procedura, salvo il principio del contraddittorio …’. Con sentenza n. 1778/2020 del 15.12.2020, l’adito Tribunale dichiarò improponibile la domanda attorea, stante
la clausola compromissoria pattuita nel contratto di affitto, ritenuta valida ed efficace tra le parti.
La sentenza venne impugnata da NOME COGNOME dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia – Sezione Specializzata Agraria che, nella resistenza di NOME COGNOME accolse parzialmente l’impugnazione con sentenza del 23.12.2021, accertando la nullità della clausola compromissoria contenuta nel contratto d’affitto e la conseguente competenza d el giudice ordinario, nonché dichiarando la risoluzione del contratto di affitto per inadempimento del conduttore, ed infine condannando quest’ultimo al rilascio del fondo.
NOME COGNOME propose quindi ricorso per cassazione, cui resistette con controricorso NOME COGNOME il ricorrente, con una ‘ istanza ‘ ex art. 375 n. 5 c.p.c., introdusse anche un ulteriore argomento a sostegno dell’accoglimento del ricorso, stante l’inammissibilità dell’appello proposto dalla madre avverso la sentenza di primo grado, posto che, avendo la sentenza di primo grado accolto l’eccezione di arbitrato, ai sensi dell’art. 819 -ter c.p.c. contro la stessa era soltanto proponibile regolamento di competenza e non già l’appello.
Con ordinanza n. 22515/2023, depositata il 26.7.2023, questa Corte dichiarò inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente alla refusione delle spese processuali. In particolare, con detta ordinanza si rilevò che, con la suddetta ‘ istanza ‘ ex art. 375 n. 5 c.p.c., il ricorrente aveva sostanzialmente proposto un motivo aggiunto, e si rilevò che, poiché avverso la sentenza di primo grado avrebbe dovuto proporsi regolamento necessario di competenza, e non l’appello, sulla prima decisione si era formato il giudicato; pertanto, concluse la Corte, il
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
ricorso per cassazione era da considerare inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali.
Avverso detta ordinanza NOME COGNOME ha proposto ricorso per revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 391bis e 395 n. 4 c.p.c., cui resiste con controricorso NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME deceduta dopo la pubblicazione della ordinanza revocanda. Le parti hanno depositato memoria.
RICORSO N. 6149/2024 R.G.
NOME COGNOME promosse nei confronti del figlio NOME COGNOME esecuzione forzata per il rilascio dei fondi agricoli siti in Mogliano Veneto di proprietà della prima oggetto del contratto di affitto agrario dell’11.11.2011, dichiarato risolto con sentenza d ella Corte d’ appello di Venezia n. 2526/2021 del 6.10.2021 (all ‘epoca, non definitiva) per grave inadempimento del conduttore NOME COGNOME (si tratta della medesima sentenza oggetto del ricorso per cassazione poi definito dalla suddetta ordinanza revocanda). Dopo la notifica del precetto e del titolo esecutivo, il 17.3.2022 l’Ufficiale giudiziario notific ò atto di preavviso di sloggio ex art. 608 ss. c.p.c. intimando il rilascio dei terreni agricoli. NOME COGNOME quale destinatario del preavviso di sloggio, e la società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE quale detentrice dei fondi, promossero quindi opposizione all’esecuzione ex art. 615, co mma 2, c.p.c.; la predetta società, in particolare, dedusse di essere subentrata nel detto contratto di affitto per effetto del conferimento nella RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME da parte dello stesso NOME COGNOME
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
con atto notarile del 22.1.2015, del ramo di azienda inerente alla propria azienda agricola e successivamente, dell’ulteriore conferimento da parte di RAGIONE_SOCIALE con atto notarile del 14.12.2018 del medesimo ramo d’azienda in essa RAGIONE_SOCIALE Gli opponenti eccepirono il diritto di ritenzione in capo all’affittuaria derivante dal diritto all’indennità per le migliorie apportate ai fondi vitivinicoli ai sensi dell’art. 17 della legge n. 203/1982, nonché l’avvenuto esercizio del diritto di riscatto da parte di RAGIONE_SOCIALE oggetto di un separato procedimento pendente davanti al Tribunale di Venezia, ostativo al rilascio.
Il g iudice dell’esecuzione del Tribunale di Treviso, con decreto inaudita altera parte del 13.5.2022, sospese l’esecuzione. Costituitasi, la procedente opposta NOME COGNOME chiese il rigetto dell’opposizione , contestando la legittimazione di RAGIONE_SOCIALE; intervenne in giudizio, resistendo all’opposizione, anche la RAGIONE_SOCIALE di Pesce Massimo, quale nuova proprietaria dei fondi agricoli oggetto di causa, acquistati con contratto di compravendita del 3.2.2020. Quindi, con ordinanza del 13.8.2022, il giudice dell’esecuzione dichiarò la propria incompetenza per materia in favore della Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Treviso, concedendo termine di due mesi per la riassunzione. Gli opponenti proposero reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., che il Tribunale di Treviso in composizione collegiale, con ordinanza del 9.11.2022, accolse quanto alla competenza, ma rigettò nel merito, negando la sospensione della procedura per rilascio.
Quindi, con ricorso depositato il 14.10.2022 davanti al Tribunale di Treviso, Sezione specializzata per le controversie agrarie, NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
introdussero il procedimento di merito, opponendosi all’esecuzione per rilascio. NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Massimo resistettero anche in questa fase. Con sentenza n. 185/2023 del 7.3.2023 , l’adito Tribunale rigettò l ‘ opposizione, regolando le spese. Osservò il Tribunale -dopo aver preso atto della risoluzione del contratto di affitto dell’11.11.2011 dichiarata dalla Corte d’Appello di Venezia con la citata sentenza n. 2526/2021 – che il predetto contratto si era risolto fin dal 2014, stante l’effetto retroattivo della pronuncia di risoluzione, sicché esso non poteva considerarsi ricompreso nell’azienda conferita nel 2015 da NOME COGNOME nella società RAGIONE_SOCIALE, né tantomeno essere poi nuovamente ricompreso nell’azienda conferita nel 2018 da quest’ultima nella società RAGIONE_SOCIALE. Nessun diritto, dunque, potevano vantare gli opponenti in ordine alle vicende del rilascio: né la RAGIONE_SOCIALE non essendo subentrata nel contratto di affitto, né NOME COGNOME avendo egli dichiarato espressamente di aver proposto opposizione solo in quanto destinatario formale dell’avviso di sloggio e di non essere più dal 2015 nella detenzione dei fondi.
NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE proposero quindi gravame dinanzi alla Corte d’appello di Venezia -Sezione specializzata per le controversie agrarie. Con successiva memoria depositata in data 31.7.2021, gli appellanti produssero copia dell’ordinanza di questa Corte di cassazione n. 22515/2023, pubblicata il 26.7.2023 (ossia, dell’ordinanza revocanda di cui s’è detto in relazione al ricorso N. 23450/2023 R.G.), sostenendo che detta pronuncia avrebbe comportato il venir meno del titolo esecutivo. Sulla base di tali premesse hanno chiesto, pertanto, la declaratoria di cessazione della materia del
contendere. Nella resistenza di NOME COGNOME (costituitasi quale erede della madre NOME COGNOME, deceduta il 28.7.2023), nonché della RAGIONE_SOCIALE di Pesce Massimo, la Corte territoriale, con sentenza del 29.11.2023, rigettò la domanda di cessazione della materia del contendere, nonché l’appello, confermando la prima sentenza. Osservò la Corte lagunare, quanto alla prima questione, che benché nell’ordinanza della S.C. n. 22515/2023 sia stato affermato che l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Treviso n. 1778/2020 non avrebbe potuto proporsi, sicché essa era da ritenere passata in giudicato -con la cennata d ecisione di legittimità s’era dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di essa Corte d’appello n. 2526/2021. , con conseguente suo passaggio in giudicato. Pertanto, ‘ ur in presenza di un apparente contrasto tra dispositivo e motivazione, allo stato, in assenza di eventuale correzione di errore materiale o di accertamento di nullità del provvedimento, dall’inammissibilità del ricorso consegue il passaggio in giudicato della sentenza di questa Corte d’Appello n. 2526/2021 ‘ (così la sentenza impugnata, p. 8). Per quanto concerne invece il merito dell’appello, la Corte territoriale -confermando la prima decisione -ribadì che il contratto di affitto in parola era da ritenersi risolto fin dal 2014, ossia in epoca antecedente alle pretese successioni nel contratto, donde l’impossibilità dei vari subentri prospettati dagli opponenti; per altro verso, si evidenziò che non risultava affatto provata la cessione del credito per miglioramenti in ipotesi effettuati da NOME COGNOME anzi espressamente esclusi nell’ambito dell’atto costitutivo della società RAGIONE_SOCIALE , nel 2015, donde l’impossibilità per la sua avente causa,
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
RAGIONE_SOCIALE, di avvalersi del relativo diritto di ritenzione; che, analogamente, tale diritto non poteva essere vantato da NOME COGNOME stante la già vista qualità dallo stesso spiegata all’atto della proposizione dell’opposizione. Avverso detta sentenza NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi, cui resistono con distinti controricorsi NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE di Pesce Massimo ; tutte le parti, tranne quest’ultima società, hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, dato atto della disposta riunione dei ricorsi in epigrafe, adottata con coeva ordinanza in seno al ricorso N. 6149/24 R.G., riunito al N. 23450/23 R.G. , trattandosi all’evidenza di cause strettamente connesse: a parte la parziale coincidenza soggettiva delle parti, il secondo ricorso, in particolare, attiene ad una opposizione all’esecuzione basata su un titolo esecutivo (sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2526/2021) oggetto dell’originario ricorso per cassazione poi definito dall’ordinanza di questa Corte n. 22515/2023, di cui col primo ricorso si è chiesta la revocazione.
RICORSO N. 23450/2023 R.G.
1.1 Con l’unico motivo si denuncia ‘ errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., nella percezione della realtà fattuale, in cui sono incorsi i Giudici di legittimità con riguardo alla individuazione della parte che ha proposto il mezzo di impugnazione sbagliato avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Treviso ‘ . Si sostiene che la Corte di cassazione, con l’ordinanza impugnata, sia incorsa in una svista nella individuazione, tra i litiganti, della parte che aveva
effettivamente proposto l’appello (NOME COGNOME , anziché il regolamento necessario di competenza, e che dunque avrebbe dovuto subire le conseguenze dell’accertata inammissibilità del gravame erroneamente proposto. Se la Corte, sulla premessa concettuale per cui l’appello non avrebbe neppure potuto proporsi, si fosse accorta che il gravame era stato avanzato da NOME COGNOME pure uscita vittoriosa da quel grado di giudizio, non avrebbe che potuto trarre una e una sola conseguenza: la cassazione senza rinvio, ex art. 382, comma 3, c.p.c. , della sentenza d’appello, perché l’ impugnazione della COGNOME era appunto inammissibile e la Corte territoriale non avrebbe potuto pronunciarsi nel merito; la Corte di cassazione, quindi, avrebbe dovuto eliminare dal mondo giuridico quella pronuncia che -senza che il giudice d’appello ne avesse il potere aveva sancito la soccombenza di esso NOME COGNOME COGNOME. Al contrario, la Corte di cassazione, censurando d’inammissibilità il ricorso dallo stesso proposto, ha evidentemente travisato il dato reale, ritenendo implicitamente che l’appello fosse stato proposto dallo stesso NOME COGNOME anziché dalla propria madre: solo in tale prospettiva, dunque, avrebbe potuto giustificarsi l’adozione del la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RICORSO N. 6149/2024 R.G.
1.2 Con il primo motivo, si denuncia la ‘ Nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 2909 c.c., per aver la sentenza impugnata erroneamente omesso di rilevare la caducazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2526/2021, nonostante Codesta Suprema Corte abbia al contrario accertato che il relativo giudizio d’appello non poteva essere
proposto e quindi ‘ si è formato il giudicato sine dubio ‘ sulla pronuncia del Tribunale di Treviso n. 1778/2020, del 15.12.2020 ‘ .
1.3 Con il secondo motivo, si denuncia ‘ In via conseguenziale: nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 615 c.p.c., nella parte in cui -conseguentemente -la Corte veneziana ha omesso di dare rilievo alla sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo in corso di giudizio d’opposizione all’esecuzione ‘.
1.4 Con il terzo moti vo, infine, si denuncia ‘ In via subordinata: violazione dell’art. 17, co. 2, L. n. 203/1982, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’appello stravolto la natura e la ratio del diritto all’indennità per migliorie apportate sul fondo oggetto di affitto, ancorandolo al necessario ‘ subentro nel rapporto giuridico intercorso ‘ anziché nel subentro del rapporto di legittima detenzione del fondo medesimo ‘. Si sostiene, in particolare, che il diritto all’indennità per migliorie apportate al fondo è del tutto slegato dal subentro nel contratto di affitto -questione che, a tal punto, diviene irrilevante -solo importando il rapporto di fatto col fondo stesso. Ove il credito indennitario sia rimasto insoddisfatto, cioè, il subentro nella detenzione del fondo comporterebbe necessariamente il subentro anche nella posizione creditoria, con conseguente mantenimento del diritto di ritenzione in capo al detentore, tanto ciò vero che, per la giurisprudenza di legittimità (si invoca, in particolare, Cass. n. 28008/2019), il credito in parola diviene esigibile solo al momento di effettiva dismissione del fondo e mai prima, a nulla quindi rilevando la retroattività della pronuncia di risoluzione del contratto.
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
2.1 -Iniziando l’analisi dal ricorso di più risalente iscrizione (N. 23450/2023 R.G.), in quanto avente natura logicamente pregiudiziale, ne va rilevata l’inammissibilità, sotto almeno due profili.
2.2 Ai fini della revocazione della sentenza per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., occorre che si integrino i seguenti presupposti:
a) l’errore (c.d. di percezione) non deve consistere in un errore di giudizio ma in un errore di fatto (svista percettiva immediatamente evincibile) che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato dagli atti di causa; esso postula l’esistenza di un contrasto risultante con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive -tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (Cass, Sez. Un., n. 31032/2019; Cass. n. 442/2018; Cass. n. 22171/2010);
b) l’errore deve essere essenziale e decisivo, nel senso che, in mancanza di esso, la decisione sarebbe stata di segno opposto a quella in concreto adottata (Cass. n. 16439/2021; Cass. n. 6038/2016; Cass. n. 24334/2014);
c) in particolare, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ex artt. 391bis e 395, n. 4 c.p.c., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere auton omo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità; diversamente, ove l’errore sia stato causa determinante della sentenza di merito, in relazione ad atti o documenti
che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio della sentenza deve essere fatto valere con gli ordinari mezzi di impugnazione (si veda, per tutte, la recente Cass., Sez. Un., n. 20013/2024);
d) il fatto incontrastabilmente escluso di cui erroneamente viene supposta l’esistenza (o quello positivamente accertato di cui erroneamente viene supposta l’inesistenza) non deve aver costituito oggetto di discussione nel processo e non deve quindi riguardare un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata; ove su un fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, la pronuncia del giudice non si configura, infatti, come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa delle risultanze processuali, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass. n. 2236/2022; Cass. n. 26890/2019; Cass. n. 9527/2019; Cass. n. 27622/2018; Cass. n. 14929/2018).
2.3.1 -Ebbene, ritiene la Corte, in primo luogo, che quello complessivamente denunciato sia un errore di giudizio e non già un errore di fatto revocatorio.
Va in proposito evidenziato, però, che c on l’ordinanza n. 22515/2023 il Collegio giudicante ha seguito un percorso decisorio che muove dal presupposto, evidentemente erroneo in iure , secondo cui la sentenza che, decidendo sull’eccezione di compromesso, non abbia parimenti deciso il merito (come nella specie), è impugnabile esclusivamente col regolamento necessario di competenza, a norma dell’art. 819 -ter , comma 1, c.p.c. Il che è senz’altro condivisibile, ma vale soltanto ove si tratti di arbitrato rituale, non anche di arbitrato irrituale (tra le moltissime, v. Cass. n. 21869/2012; Cass. n.
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
10300/2014; Cass. n. 19060/2017; Cass. n. 25939/2021; Cass. n. 33149/2022).
Senonché, come inequivocabilmente risulta dalla clausola di cui all’art. 13 del contratto di affitto d’azienda inter partes dell’11.11.2011, più sopra testualmente riportato, nella specie si era al cospetto di un arbitrato irrituale, sicché l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Treviso n. 1778/2020 era da ritenere pienamente ammissibile e, con l’ordinanza revocanda, avrebbe dovuto senz’altro esaminarsi il merito cassatorio del ricorso proposto da NOME COGNOME previo rigetto della ‘istanza’ ex art. 375 n. 5 c.p.c. depositata dal ricorrente; a tal ultimo proposito, peraltro, risultava del tutto irrilevante la qualificazione di quanto ivi esposto come sostanziale ‘motivo aggiunto’, posto che la questione con essa sollevata (inammissibilità originaria dell’appello) era senz’altro rilevabile d’ufficio da questa Corte, non essendo stata adottata una pronuncia esplicita sul punto e non essendosi, dunque, formato il giudicato interno al riguardo (v. per tutte, Cass. n. 20839/2021).
2.3.2 -Da tale erronea premessa, poi, è derivata l’ulteriore statuizione adottata con l’ordinanza revocanda, là dove sul rilievo per cui la sentenza del Tribunale trevigiano non era stata impugnata col mezzo ‘giusto’, ossia , come s’è valutato, col regolamento di competenza -si è da un lato evidenziato l’indubbio passaggio in giudicato della predetta sentenza di primo grado , ma dall’altro s’è dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da esso NOME COGNOME anziché cassare senza rinvio la sentenza d’appello, ex art. 382, comma 3, c.p.c., stante la pur ritenuta inammissibilità del gravame.
Invero, non v’è dubbio che, qualora la Corte di cassazione rilevi (anche d’ufficio, come s’è visto) l’inammissibilità dell’appello, la sentenza adottata in sede di gravame deve essere cassata senza rinvio, proprio perché l’appello non avrebbe potuto proporsi, né sussistendo alcuna ragione di inammissibilità del ricorso: una simile declaratoria, infatti, determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata col ricorso stesso, ed è incompatibile con la pur ritenuta inammissibilità del gravame.
Ma -da qui la fondamentale ragione di inammissibilità del ricorso per revocazione -si tratta appunto di un errore di giudizio, non già di fatto, perché l’unica decisione corretta che avrebbe dovuto adottarsi prescinde del tutto dalla identificazione della parte che, in concreto, l’ impugnazione della sentenza d’appello abbia proposto. Per scendere in concreto, la declaratoria della inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME, adottata con l’ordinanza n. 22515/2023 , prescinde del tutto dalla corretta individuazione della parte appellante: ove la ratio decidendi circa l’inappellabilità della sentenza di primo grado fosse stata corretta (il che, come già detto, è da escludere), la Corte avrebbe dovuto comunque cassare senza rinvio la sentenza d’appello ex art. 382, comma 3, c.p.c., sia che il gravame fosse stato proposto da NOME COGNOME sia che l’avesse proposto NOME COGNOME.
Risulta, pertanto, del tutto eccentrica ed insostenibile la tesi di parte ricorrente secondo cui , se questa Corte avesse ben percepito l’identificazione delle parti contendenti in relazione alla effettiva posizione di soccombenza nei precedenti gradi del giudizio, essa avrebbe senz’altro adottato una decisione diversa ; ciò perché l’unica decisione corretta lo si ripete, a seguire fino in fondo l’erronea
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
decisione sulla pur ritenuta inammissibilità del l’appello non poteva che essere la cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, chiunque avesse proposto il gravame.
2.3.3 -Da tanto, discende, dunque, l’inammissibilità del ricorso in esame, perché quello denunciato è, con ogni evidenza, un errore di giudizio e non un errore di percezione, rilevante ex art. 395, n. 4, c.p.c.
2.4 -Ma il ricorso per revocazione, a ben vedere, è inammissibile per una ulteriore significativa ragione.
Rassegnando le conclusioni in questa sede e dopo aver insistito per la revocazione dell’ordinanza , NOME COGNOME COGNOME ha chiesto, in via rescissoria, l’annullamento senza rinvio , ex art. 382, comma 3, c.p.c., della sentenza d’appello n. 2526/2021 del 23.12.2021 , con conseguente declaratoria del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Treviso n. 1778/2020. Una simile decisione, però, non potrebbe mai essere adottata da questa Corte, perché s’è già visto che si è al cospetto, nella specie, di una clausola di arbitrato irrituale, sicché l’appello al tempo proposto da NOME COGNOME era senz’altro ammissibile (v. supra, par. 2.3.1). Né, de resto, può ritenersi (come pure prospettato dal ricorrente, in memoria) che sul punto si sia formato il giudicato interno, a seguito della stessa Cass. n. 22515/2023, perché detta ordinanza non ha affrontato affatto la questione della natura della clausola arbitrale, né esplicitamente, né implicitamente.
Da tanto discende dunque che, non avendo NOME COGNOME riproposto in sede rescissoria i motivi di ricorso originario (non a caso, neppure riprodotti nel ricorso per revocazione) , ma soltanto avendo richiesto l’adozione
della suddetta pronuncia ex art. 382, comma 3, c.p.c. (che, come detto, non avrebbe giammai potuto adottarsi), il ricorso per revocazione qui in esame si rivela inammissibile per difetto d’interesse ex art. 100 c.p.c., avendo il ricorrente nella sostanza rinunciato ai motivi di cui all’originario ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 2526/2021, i soli eventualmente esaminabili, ove mai si fosse disposta la revocazione dell’ordinanza n. 22515/2023 .
3.1 -Possono adesso affrontarsi i motivi del ricorso N. 6149/2024 R.G.
I primi due vanno esaminati congiuntamente, perché intimamente connessi, e sono inammissibili.
Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione, prima adottata, sono risultati incontestabilmente consacrati sia la pronuncia di inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte veneta n. 2526/2021, sia il passaggio in giudicato di detta ultima sentenza (lo si ripete, si tratta del titolo esecutivo azionato dalla deceduta NOME COGNOME nell’ambito del procedimento per rilascio conclusosi con la sua immissione in possesso in data 19.1.2023, come risulta dalla sentenza impugnata). S’è già visto, in particolare, che il giudicato discende de plano dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione adottata da Cass. n. 22515/2023, come anche correttamente ritenuto dalla Corte veneta, con la cui ratio decidendi (nel senso che, finché gli effetti della suddetta ordinanza, ove tanto sia possibile, non vengono rimossi, di essa non può non tenersi conto) i ricorrenti omettono nella sostanza di confrontarsi.
Ciò, peraltro, pure palesando una intrinseca contraddizione (correttamente evidenziata dalla controricorrente NOME COGNOME, là dove si
confondono e sovrappongono le doglianze in esame con quelle, evidentemente di natura diversa, avanzate col ricorso per revocazione (dal solo NOME COGNOME) e già esaminate . Delle due l’una: o l’ordinanza n. 22515/2023 è errata, perché frutto di un errore di fatto, tanto da essersene richiesta la revocazione, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza d’appello ; oppure essa è pienamente valida ed efficace, tanto da essersi invocato un suo preteso effetto caducatorio della medesima sentenza d’appello , derivante -in thesi -da quel passaggio della motivazione in cui si fa riferimento al l’ avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Tertium non datur . Non si può, cioè, ad un tempo e senza alcun vincolo di subordinazione, sostenere entrambe le cose, perché assolutamente incompatibili sul piano logico-giuridico.
Il vero è, però, che del dictum di Cass. n. 22515/2023 non può non tenersi conto sotto ogni profilo, posto che la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione al tempo proposto dall’odierno ricorrente comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, come correttamente ritenuto dalla Corte lagunare e come più volte evidenziato. In alcun modo, dunque, avrebbe potuto pronunciarsi la declaratoria di cessazione della materia del contendere anelata dai ricorrenti in linea con l’invocato insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 25478/2021, perché il titolo esecutivo non è stato caducato.
Davvero ad abundantiam , può infine osservarsi -esclusa, per quanto già detto, la sussistenza di un giudicato implicito sulla qualificazione della clausola compromissoria come relativa ad arbitrato rituale -che l’ordinanza n. 22515/2023 non contiene alcun contrasto fra dispositivo e motivazione, giacché
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
non v’è traccia di affermazion i contrastanti nell’uno e nell’altro, bensì solo una erronea conseguenza in iure , nello stesso dispositivo, di quanto affermato nella motivazione, non essendosi compiutamente tratte le corrette conclusioni derivanti dal rilievo (peraltro erroneo, come s’è visto) del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
4.1 -Infine, il terzo motivo, proposto in subordine, è infondato.
La Corte lagunare, in primo luogo, ha correttamente collegato il diritto alle indennità da migliorie apportate al fondo alla posizione sostanziale di affittuario del fondo stesso, escludendo che -stante la retroattività della pronuncia di risoluzione del contratto al tempo di proposizione della domanda (2014) -nella detta posizione siano mai potute subentrare né la RAGIONE_SOCIALE né la sua avente causa RAGIONE_SOCIALE, posto che al tempo del conferimento del ramo aziendale dapprima (nel 2015) da potere di NOME COGNOME, e poi (nel 2018) dalla prima alla seconda società, non v’era alcun contratto di affitto del fondo in questione nell’ambito dell’azienda di volta in volta conferita. Per quanto qui rileva, dunque, correttamente la Corte d’ap pello ha ritenuto che la stessa RAGIONE_SOCIALE non fosse comunque legittimata ad opporsi al rilascio in forza della cennata posizione contrattuale, nella quale poteva dirsi non fosse mai subentrata (neppure indirettamente) all’originario affittuario.
In tale prospettiva – si ripete, in sé corretta l’unico soggetto che avrebbe , in teoria, avuto titolo ad esercitare il diritto di ritenzione (ove mai i crediti da migliorie fossero stati dimostrati, il che è del tutto superfluo nell’economia della decisione impugnata) era proprio NOME COGNOME ma questi ha dichiarato di proporre l’opposizione all’esecuzione solo quale formale
destinatario del precetto e del preavviso di sloggio, senza null’altro chiedere o eccepire, sicché la sua posizione non avrebbe mai potuto giustificare l’accoglimento dell’opposizione stessa, come pure correttamente rilevato dal giudice d’appello .
Per quanto concerne, poi, la posizione della società RAGIONE_SOCIALE è pacifico tra le parti che i crediti per migliorie di cui si discute siano tutti riferibili alla posizione di NOME COGNOME in altre parole, come anche accertato dalla Corte veneta, è escluso che i miglioramenti in questione siano riferibili al periodo di detenzione ( rectius, di occupazione di mero fatto) vantato dalla predetta società, sicché, dopo essersene esclusa la legittimazione ad opponendum in relazione alla cennata posizione contrattuale, non può che ritenersi altrettanto anche in relazione al mero rapporto di fatto col fondo; di conseguenza, neppure può discutersi -già sul piano astratto – di un diritto di ritenzione da parte dell’occupante sine titulo , quand’ anche, nel caso, in buona fede.
Infine, la Corte lagunare ha accertato che la RAGIONE_SOCIALE non era mai subentrata, a titolo derivativo, nella mera posizione creditoria eventualmente ed originariamente ascrivibile al solo NOME COGNOME: ciò perché l’atto costitutivo della società RAGIONE_SOCIALE, del 2015, espressamente escludeva la cessione di ogni credito del conferente il ramo d’azienda . Di conseguenza, quest’ultima società non avrebbe poi potuto trasferire, nel 2018, detti crediti alla RAGIONE_SOCIALE, non essendone mai stata titolare.
La decisione si rivela esente da censure, perché la tesi del ricorrente – che, invocando giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 28008/2019; Cass. n. 2037/1994), sostiene che al tempo del conferimento del ramo d’azienda da parte
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
sua (nel 2015) giammai avrebbe potuto cedersi un credito ancora inesistente, venendo esso ad esistenza solo all’atto della riconsegna del fondo agricolo – oltre che infondata in iure , è clamorosamente smentita dalla circostanza per cui detti crediti, in eventum , non potevano che essere già esistenti all’atto del conferimento, giacché le migliorie, nel caso, erano state apportate proprio da esso NOME COGNOMEovviamente, prima del conferimento stesso, posto che, per l’epoca successiva, non risulta che egli abbia neppure vantato alcun rapporto col fondo, in proprio, come evincibile dagli atti legittimamente consultabili da questa Corte).
Quanto al profilo dell’infondatezza della tesi suddetta, basti qui considerare, infine, che la giurisprudenza invocata dai ricorrenti attiene alla questione della esigibilità del credito (emergente, appunto, al momento della effettiva dismissione del fondo), questione ovviamente affatto diversa da quella circa la sua esistenza e la sua idoneità alla circolazione.
5.1 In definitiva, il ricorso iscritto al N. 23450/23 R.G. è inammissibile; quanto al ricorso iscritto al N. 6149/24 R.G., i primi due motivi sono inammissibili, mentre il terzo è infondato. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione dei due ricorsi riuniti (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti N. 23450/23 R.G. e N. 6149/24 R.G., dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo. Condanna il ricorrente NOME
N. 23450/23 + 6149/24 R.G.
COGNOME alla rifusione delle spese di lite relative al primo ricorso, che liquida, in favore di NOME COGNOME , in € 8.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi ; condanna altresì NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in solido, alla rifusione delle spese di lite relative al secondo ricorso, che liquida, in favore di NOME COGNOME, in € 7.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, nonché, in favore di RAGIONE_SOCIALE di Pesce Massimo, in € 4.500,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi , il tutto oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, per ciascun ricorso, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data