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Errore di fatto: quando non si può revocare un’ordinanza

Una lavoratrice chiede la revocazione di un’ordinanza della Cassazione, lamentando un errore di fatto nella valutazione del suo rapporto di lavoro. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, specificando che la cattiva valutazione delle prove costituisce un errore di giudizio, non un errore di fatto idoneo a fondare la revocazione.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Errore di Fatto vs. Errore di Giudizio: La Cassazione Traccia i Confini della Revocazione

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione sui limiti della revocazione, un rimedio processuale straordinario. La Corte di Cassazione ha chiarito la netta distinzione tra un errore di fatto, che può giustificare la riapertura di un caso, e un errore di giudizio, che non può farlo. Il caso nasce dalla richiesta di una lavoratrice di far revocare una precedente ordinanza della stessa Corte, sostenendo che i giudici avessero avuto una percezione errata dei fatti processuali.

Il Contesto: La Richiesta di Regolarizzazione Contributiva

La vicenda ha origine dalla domanda di una lavoratrice volta a ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva presso l’Ente Previdenziale. La richiesta si fondava sull’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con un Ente Locale. Dopo una sentenza d’appello sfavorevole, la lavoratrice aveva presentato un primo ricorso in Cassazione.

Tale ricorso, tuttavia, era stato dichiarato inammissibile. La Corte aveva ritenuto che i motivi presentati fossero confusi e sovrapposti, e che la censura relativa alla valutazione delle prove (violazione dell’art. 115 c.p.c.) fosse inammissibile in sede di legittimità, in quanto rientrante nell’autonoma valutazione del giudice di merito.

Il Ricorso per Revocazione e l’ipotesi di errore di fatto

Non arrendendosi, la lavoratrice ha impugnato l’ordinanza di inammissibilità con un ricorso per revocazione, basato su due motivi principali. Con il primo, deduceva un presunto errore di fatto. Sosteneva che la Corte avesse erroneamente percepito l’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato, mentre, a suo dire, tale circostanza era stata documentalmente provata nel corso del processo. In sostanza, la ricorrente lamentava una svista da parte dei giudici nella lettura degli atti.

Con il secondo motivo, la lavoratrice lamentava la violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), affermando che la Corte non avesse condotto un esame sufficientemente attento e rigoroso degli elementi probatori forniti.

Le Motivazioni della Corte: Perché non si tratta di errore di fatto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso per revocazione inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura dell’errore di fatto revocatorio. I giudici hanno spiegato che l’errore che può portare alla revocazione deve riguardare un fatto che non ha costituito un punto controverso su cui è caduta la decisione. Deve trattarsi di una svista materiale, una falsa percezione di ciò che emerge dagli atti, e non di un errore nell’apprezzamento critico delle prove.

Nel caso specifico, la valutazione dell’esistenza del rapporto di lavoro e delle relative prove era proprio il cuore della controversia. Pertanto, lamentare una cattiva valutazione delle risultanze processuali non configura un errore di fatto, bensì un errore di giudizio. Come affermato dalla Corte, “l’errore nella valutazione degli atti processuali sottoposti al controllo della Corte di cassazione, è errore di giudizio e non di fatto”.

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha precisato che la revocazione per violazione della CEDU è un rimedio esperibile solo in presenza di una sentenza della Corte Europea che abbia specificamente condannato lo Stato italiano per quella decisione. Il motivo, così come formulato, si limitava a criticare nuovamente la valutazione delle prove, risolvendosi in un’altra doglianza per un presunto errore di giudizio.

Le Conclusioni: I Limiti della Revocazione

La decisione riafferma un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la revocazione è un rimedio eccezionale e non può essere utilizzata come un terzo grado di giudizio per ridiscutere il merito della controversia o la valutazione delle prove operata dal giudice. La distinzione tra errore di fatto (una svista oggettiva su un dato non controverso) ed errore di giudizio (una critica all’interpretazione delle norme o alla valutazione delle prove) è fondamentale. L’ordinanza stabilisce con fermezza che contestare come il giudice ha “letto” e interpretato le prove non apre la strada alla revocazione, ma rientra nell’ambito dell’errore di giudizio, non sindacabile tramite questo strumento straordinario.

Quando un errore nella valutazione delle prove può essere considerato un ‘errore di fatto’ ai fini della revocazione?
Secondo la Corte, un errore nella valutazione degli atti processuali non è un errore di fatto, ma un errore di giudizio. L’errore di fatto revocatorio deve riguardare un fatto decisivo che non è stato un punto controverso su cui la Corte si è pronunciata.

È possibile chiedere la revocazione di una sentenza della Cassazione per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)?
No, a meno che non sia intervenuta una specifica sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che abbia accertato la violazione. Dedurre genericamente una violazione della Convenzione si traduce in una critica alla decisione, ovvero un errore di giudizio, non un motivo di revocazione.

Qual è la differenza fondamentale tra errore di fatto ed errore di giudizio?
L’errore di fatto è una percezione sbagliata di un dato processuale pacifico (es. leggere una cosa per un’altra). L’errore di giudizio, invece, riguarda la valutazione critica delle prove o l’interpretazione e l’applicazione delle norme di legge, e non può essere motivo di revocazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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