Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16005 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16005 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
Oggetto
Revocazione ex art. 391- bis cod. proc. civ.
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione iscritto al n. 14559/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
NOME, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
e nei confronti di
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-ricorrenti incidentali – avverso la sentenza n. 16120/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 7 giugno 2023;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
nella sentenza qui impugnata per revocazione ─ pronunciata in giudizio che ha visto contrapposti, da un lato, quale ricorrente, NOME COGNOME, erede di NOME COGNOME e NOME COGNOME , dall’altro, quali controricorrenti, NOME, NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME ─ il tema di lite trattato, per quanto interessa in questa sede, viene così descritto:
« NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1969 del 2020 della Corte di appello di Catania, esponendo che:
NOME COGNOME nel 2011 aveva convenuto NOME COGNOME, dante causa degli odierni controricorrenti, per la restituzione di somme corrisposte perché, quale suo prestanome, si aggiudicasse beni posti all’asta in una procedura esecutiva pendente contro la stessa, con l’accordo di ritrasferirli;
aveva esposto che COGNOME non aveva ritrasferito i beni, sicché sussisteva l’indebito;
NOME si era costituito chiamando in causa NOME COGNOME, marito di NOME, sul presupposto di aver regolato con lui quanto richiestogli dalla moglie, ed aveva eccepito l’intervenuta prescrizione;
-il Tribunale aveva accolto la domanda, ritenendo l’accordo originario tra COGNOME e RAGIONE_SOCIALE nullo per violazione del divieto di cui all’art. 579 cod. proc. civ., ma non contrario al buon costume, e la prescrizione interrotta con effetto permanente dal giudizio previamente introdotto da COGNOME, nel 1988, per la restituzione di uno degli immobili oggetto dell’accordo, definito con rigetto;
-la Corte di appello aveva invece accolto l’eccezione di prescrizione osservando che non poteva operare l’effetto interruttivo previsto dall’art. 2945 cod. civ. in relazione al diverso giudizio avente ad oggetto non la ripetizione d’indebito ma il ritrasferimento immobiliare ovvero, in subordine, i correlati danni »;
« … con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che nel 1988 era stata richiesta anche la condanna al risarcimento dei danni, comprensivi, quindi, innanzi tutto, delle somme originariamente corrisposte per l’acquisto dei due cespiti, e, comunque, perché si trattava dei medesimi fatti costitutivi ovvero, in ogni caso, causalmente collegati »;
la RAGIONE_SOCIALE ha accolto detto motivo di ricorso e conseguentemente cassato la sentenza d’appello, con rinvio della causa alla Corte etnea, in diversa composizione, anche per le spese;
a fondamento di tale decisione ha in sintesi rilevato che:
─ « la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva e sospensiva della prescrizione riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui inerisce, senza che occorra proporre, nello stesso o in altro giudizio, una specifica domanda diretta a farli valere e anche quando, in quello pendente, tale domanda non sia proponibile (cfr., tra le tante, Cass. 04/08/2016, n. 16293) »;
─ « nella fattispecie all’esame in questa sede, effettivamente l’azione di ritrasferimento degli immobili, da una parte, e l’azione di ripetizione d’indebito, dall’altra, hanno presupposti differenti, l’uno
volto a ottenere l’esecuzione di un accordo, l’altro la ripetizione delle somme corrisposte in base a quello perché nullo ;
─ e però il diritto alla ripetizione dell’importo versato risulta espressione del rapporto, latamente inteso, dedotto in via subordinata nel precedente giudizio, ovvero quello che sottende la domanda risarcitoria, rispetto alla quale non vi è un profilo ulteriore e autonomo quale la protrazione del godimento rispetto alla cessione del rapporto locativo, che costituisce il fondamento della spettanza dell’indennità di occupazione sopra discussa ;
─ a riprova, in effetti, depone il fatto che, con la memoria di precisazione delle allegazioni assertive, la domanda risarcitoria sarebbe stata evidentemente modificabile con quella di ripetizione d’indebito oggettivo, in quanto alternativa ma correlata all’ identica vicenda fattuale, a mente di Cass., Sez. U., 15/06/2015, n. 12310 … » ; ─ « … significativamente, in quella fattispecie, le Sezioni Unite affermarono l’ammissibilità della modifica dell’originaria domanda formulata ex art. 2932, cod. civ., con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo; e ad analoga conclusione si sarebbe dovuti giungere, nella fattispecie qui in scrutinio, anche qualora fosse stata proposta domanda d’indennizzo ex art. 2041, primo comma, cod. civ., stante la simmetria tra diminuzione patrimoniale e importo versato; la differenza dei presupposti e la non implicazione necessaria delle domande vanno utilmente letti alla luce della deducibilità, con emenda, della distinta domanda nel giudizio della cui idoneità interruttiva si discute; questo indice costituisce, infatti, a ben vedere, la coerente specificazione della relazione di causalità tra unitario rapporto dedotto, anche subordinatamente, e diritti rivendicati con le diverse domande, le une come tali idonee a interrompere la prescrizione delle azioni svolte con le altre »;
─« … una coerente applicazione del principio generale causalistico discusso, e come tale non revocato in dubbio dai vari precedenti,
conduce dunque alla valorizzazione dell’unitarietà del fatto cui sono ricollegate le domande volte a un’unitaria tutela rispetto alla quale le azioni sono serventi … »;
avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per revocazione, cui resiste NOME COGNOME, depositando controricorso;
hanno depositato controricorso anche NOME e NOME COGNOME, per proporre a loro volta ricorso per revocazione pienamente adesivo a quello proposto in via principale dal congiunto;
NOME COGNOME ha depositato altro controricorso per resistere anche al detto ricorso incidentale;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; tutte le parti hanno depositato memorie;
ritenuto che:
a fondamento sia del ricorso principale che di quello incidentale si deduce che la decisione impugnata è viziata da errore di fatto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. consistito nell’« avere travisato il contenuto dell’atto di citazione del 1988 … indicato come atto interruttivo della prescrizione », errore determinante perché ha condotto all’accoglimento « totale » del principale motivo del ricorso;
si osserva, infatti, che:
─ è indiscusso e non oggetto di contesa tra le parti che, con l’azione di ripetizione di indebito, la NOME (e prima ancora la defunta madre NOME COGNOME) ha inteso rivendicare la restituzione della complessiva somma di Lire 58.896.000, pari ad Euro 30.417,25, quale asserito corrispettivo servito ed utilizzato per l’aggiudicazione di n. 3 immobili espressamente indicati;
─ con la citazione del 5 aprile 1988 la COGNOME, contrariamente a quanto lascia intendere la sentenza oggi impugnata, non ha inteso rivendicare la restituzione di due dei tre immobili e conseguentemente neanche i correlativi danni avendo incentrato l’azione, all’epoca proposta, solo ed esclusivamente sulla asserita mancata restituzione
del terzo immobile e in via subordinata sui correlati danni per la mancata sua restituzione;
─ nella citazione del 1988 la stessa COGNOME ammette, se si vuole anche implicitamente, di non averne diritto nel momento stesso in cui afferma, in riferimento agli altri due immobili, di averli avuti restituiti, motivo per cui non aveva senso rivendicare la loro già avvenuta restituzione e neanche gli importi assertivamente serviti per la loro aggiudicazione e, infatti, nessuna pretesa è stata avanzata con l’azione del 1988;
─ nell’impugnata sentenza si dà invece per certo che con l’azione del 1988 la COGNOME abbia inteso rivendicare tutti e tre gli immobili e quindi i correlativi danni e non invece un solo immobile e giammai gli altri due che la stessa, si ripete, aveva precisato di averli avuti restituiti;
─ l’unico presupposto di tutto il ragionamento espresso dalla Corte e posto a base della ritenuta valenza interruttiva della prescrizione riconosciuta alla citazione del 1988 è quella secondo la quale in quel giudizio era stata proposta, sia pur in via subordinata, un’azione di risarcimento del danno per la mancata restituzione di tutti gli immobili e ciò costituisce la prova non solo dell’errore di fatto compiuto ma anche della sua decisività stante che nessun altro atto interruttivo è stato oggetto di disamina oltre quello assertivamente riconosciuto alla storica citazione del 5 aprile 1988;
la doglianza è infondata;
giova premettere che, con specifico riferimento alle sentenze (o ordinanze) della Suprema Corte, di cui sia chiesta la revocazione ex art. 391bis c.p.c., sono ampiamente acquisite nella giurisprudenza di questa Corte le affermazioni secondo cui l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4:
consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto,
la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione tra le parti;
non può concernere l’attività interpretativa e valutativa;
deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche;
deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione revocanda deve esistere un nesso causale tale da affermare con certezza che, ove l’errore fosse mancato, la pronuncia avrebbe avuto un contenuto diverso;
deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili contro la decisione stessa (v. Cass. n. 35879 del 2022; n. 29634 del 2019; n. 12283 del 2004; n. 3652 del 2006; n. 10637 del 2007; n. 5075 del 2008; n. 22171 del 2010; n. 27094 del 2011; n. 4456 del 2015; n. 24355 del 2018; n. 26643 del 2018);
nella specie non è certamente ravvisabile alcun errore che abbia le caratteristiche indicate;
il fatto che, secondo i ricorrenti, sarebbe stato malamente percepito dalla RAGIONE_SOCIALE (vale a dire il contenuto e l’estensione della domanda formulata nel pregresso giudizio promosso nel 1988) risulta in realtà esattamente tenuto presente in sentenza, ciò emergendo chiaramente dalla parte narrativa della stessa, là dove (pag. 2, quart’ultimo e terz’ultimo rigo), nel descrivere l’oggetto della domanda azionata nel 1988 della cui efficacia interruttiva si dibatteva tra le parti, si riferisce che questa mirava alla « restituzione di uno degli immobili oggetto dell’accordo » (enfasi qui aggiunta);
ciò posto, diversamente da quanto postulato dai ricorrenti, non può dirsi che dal prosieguo della motivazione emerga in modo chiaro, univoco, in termini di evidenza assoluta e immediata rilevabilità, che la decisione si fondi sull’erroneo presupposto che la pretesa risarcitoria azionata nel precedente giudizio riguardasse il danno da mancata restituzione di tutti gli immobili oggetto dell’accordo nullo anziché, come vero, di uno solo di essi;
in motivazione, invero, è svolto un ragionamento molto più complesso che non consente affatto di escludere che la detta circostanza (relativa cioè alla parametrazione ad uno solo degli immobili, anziché a tutti, della pretesa risarcitoria azionata nel primo giudizio) non sia stata comunque tenuta presente e sia stata nondimeno ritenuta irrilevante ai fini della quaestio iuris che si trattava di dirimere, che riguardava l’efficacia interruttiva di quell’azione rispetto al credito restitutorio ex art. 2033 cod. civ. azionato nel successivo giudizio;
la soluzione positiva che a tale quesito viene data è, invero, affidata essenzialmente a quello che in sentenza viene chiamato « principio generale causalistico », ossia al rilievo dell’esistenza di un rapporto di diretta connessione causale non già tra i diritti formanti specifico oggetto nei due giudizi ( petita ) quanto piuttosto tra ciascuno di questi (di cui anzi si riconosce la diversità di petitum e causa petendi attraverso il richiamo, di importanza centrale nello sviluppo argomentativo, a Cass. Sez. U. 15/06/2015, n. 12310) e il rapporto (o vicenda sostanziale) cui sia l’uno ch e l’altro ineriscono;
è in tal senso che devono essere lette ─ o quanto meno « possono » essere lette, il che è già sufficiente ad escludere la possibilità di un sindacato revocatorio ─ le affermazioni contenute alle pagine 8 e 9 della sentenza, secondo cui:
─ « il diritto alla ripetizione dell’importo versato risulta espressione del rapporto, latamente inteso, dedotto in via subordinata nel
precedente giudizio, ovvero quello che sottende la domanda risarcitoria » (dove il verbo « sottende » evoca evidentemente una situazione distinta e più ampia di quella che costituisce specifico oggetto della domanda risarcitoria);
─ « la differenza dei presupposti e la non implicazione necessaria delle domande vanno utilmente letti alla luce della deducibilità, con emenda, della distinta domanda nel giudizio della cui idoneità interruttiva si discute; questo indice costituisce, infatti, a ben vedere, la coerente specificazione della relazione di causalità tra unitario rapporto dedotto, anche subordinatamente, e diritti rivendicati con le diverse domande, le une come tali idonee a interrompere la prescrizione delle azioni svolte con le altre » (dove l’idoneità interruttiva è evidentemente affermata come conseguenza del fatto che la prima domanda, indipendentemente dai limiti del petitum , è comunque idone a a porre in questione l’intero rapporto sottostante e attivare, almeno in potenza, le pretese che da esso possono farsi derivare);
d’altra parte, anche i ricorsi -principale e incidentalenon forniscono l’indicazione del fatto erroneamente affermato o negato e di quello risultante dall’atto di citazione ; ci si duole con essi, piuttosto, di un’attività interpretativa e, dunque, valutativa di quel contenuto , non, dunque, di un errore non di percezione, ma di valutazione: a pag. 8 il ricorso principale lamenta il « non avere accertato » e riferisce il lamentato « travisamento », al « contenuto dell’atto di citazione »;
i noltre, avendo la questione dell’esegesi della citazione costituito punto controverso prospettato con il ricorso ordinario ed essendo stato deciso come tale, si configura per ciò stesso ulteriore e assorbente ragione di inammissibilità;
la memoria che, come detto, è stata depositata dai ricorrenti non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio del ricorso;
entrambi i ricorsi devono essere pertanto rigettati;
alla soccombenza segue la condanna sia del ricorrente principale che di quelli incidentali, in solido tra di essi, alla rifusione, in favore della controricorrente NOME COGNOME, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
non si ravvisano i presupposti per la chiesta condanna dei ricorrenti al pagamento di somma ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei predetti ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Condanna il ricorrente principale e i ricorrenti incidentali, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione