Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8067 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23539-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6495/2021 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 09/03/2021 R.G.N. 16766/2018;
Oggetto
R.G.N. 23539/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 09/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 6495/2021 la Corte di cassazione ha respinto il ricorso con il quale RAGIONE_SOCIALE (da ora RAGIONE_SOCIALE aveva impugnato la sentenza della Corte di appello di Campobasso che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva annullato il licenziamento intimato a NOME COGNOME dalla società e condannato quest’ultima a reintegrarlo nel posto di lavoro in precedenza occupato ed a pagare un’indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni spettanti dal licenziamento alla reintegrazione oltre ai contributi previdenziali ed assicurativi spettanti nel medesimo periodo.
Secondo la Corte distrettuale, infatti, la condotta contestata al lavoratore – aver tenuto un comportamento contrario a correttezza e buona fede, fedeltà e diligenza in quanto nei giorni 11 e 29 ottobre e 29 novembre 2014 non aveva partecipato all’attività sindacale e si era arbitrariamente assentato dal posto di lavoro – per come era risultata in concreto accertatarientrava tra quelle punibili con una sanzione conservativa.
Per la revocazione della decisione ha proposto ricorso SEAC sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha depositato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’ unico motivo di ricorso la società ricorrente deduce ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 n. 4 c.p.c. l’errore
di fatto del giudice di legittimità chiedendo la revocazione della sentenza di cui in epigrafe sull’assunto che, per mera svista, era stata decisa una questione giuridica diversa da quella costruita e risolta dal giudice di secondo grado; quest’ultimo aveva accolto la impugnativa di licenziamento sul rilievo che la condotta contestata rientrava tra quelle punite con sanzione conservativa, come dimos trato dall’applicazione della tutela reintegratoria; il giudice di legittimità, viceversa, aveva mostrato di ritenere che l’annullamento del licenziamento scaturiva da un’operazione di integrazione della nozione legale della giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c. e di quella correlata di proporzionalità, anche con riferimento ai criteri utilizzati dalle parti collettive nella graduazione delle sanzioni disciplinari; il fatto oggetto di erronea percezione non aveva costituito un punto controverso fra le parti.
Parte ricorrente reitera, quindi, per la eventuale fase rescissoria i motivi di ricorso già formulati con il ricorso per cassazione e disattesi dalla sentenza revocanda.
3. Il motivo è inammissibile.
3.1. Come noto, l’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c. consente l’impugnazione per revocazione “se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in linea generale, l’errore di fatto previsto
dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali. L’errore in questione presuppone quindi il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; esula pertanto dall’ambito dell’errore revocatorio l’errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, esattamente percepite 2 nella loro oggettività (v. fra le altre, Cass.. 26890/2019, 13915/ 2005 e 2425/ 2006, Sez. Un. 9882/ 2001).
3.2. Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di cassazione si è affermato che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. 16136/09; 3365/09;
Cass. Sez. Un. 26022/08); come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 31032/2019) l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
3.3. Tale situazione non è dato ravvisare in relazione alla fattispecie in esame.
3.4. Invero, la sentenza di appello risulta essere stata percepita dal giudice di legittimità in termini corrispondenti a quello che l’odierna ricorrente assume essere stato il suo effettivo contenuto per il profilo di interesse, vale a dire che l’annullamento del licenziamento da parte del giudice del reclamo era avvenuto in quanto la condotta contestata rientrava tra quelle punite con sanzione conservativa; tanto emerge in maniera chiara e senza ambiguità dallo storico di lite della sentenza revocanda la quale così si esprime <> ( sentenza, pag. 3 , secondo capoverso).
3.5. Né l’assunto della esatta percezione delle ragioni del decisum risulta smentito dalle ragioni in diritto sviluppate dalla
decisione revocanda la quale risulta, viceversa, coerente con il presupposto enunciato e cioè che la sussunzione della condotta contestata all’ambito delle mancanze disciplinari punite con sanzione conservativa era frutto del concreto accertamento della stessa quale risultata all’esito della istruttoria svolta; ciò aveva comportato da parte del giudice del reclamo una valutazione di assimilabilità della condotta in concreto tenuta dal lavoratore alle ipotesi sanzionate da contratto collettivo con misura conservativa.
3.6. In tale specifico contesto ed in coerenza con esso si pone la ulteriore affermazione della sentenza impugnata secondo la quale <>. Tale affermazione, lungi dal denunziare, come opina parte ricorrente, l’errata individuazione delle ragioni dell’annullamento del licenziamento da parte del giudice del reclamo, si rivela con esse coerente, come reso esplicito dal riferimento al precedente di legittimità costituito dalla ordinanza n. 3283/2020, alla stregua del quale la tipizzazione delle cause di recesso stabilite dalla contrattazione collettiva non è comunque vincolante <>.
3.7. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite, da distrarsi in favore del procuratore giusta dichiarazione ex art. 93 c.p.c., e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.0 00,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME