Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10431 Anno 2025
Corte di cassazione ex art. 391- bis c.p.c. – Inammissibilità del ricorso
NOME COGNOME
Presidente
COGNOME
Consigliere
AUGUSTO COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 12.2.2025 AC
COGNOME
R.G.N. 16667/2024
16488/2022
NOME
Consigliere – Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 16667/2024 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dal l’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
e contro
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrenti –
COGNOME NOME
intimato –
avverso la ordinanza della Corte di cassazione recante il n. 17119/2024 e pubblicata in data 20.6.2024;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 12.2.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto dell’11.1. 2011, NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Napoli la Deutsche Bank s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti per essere stato indagato per ricettazione, ai sensi dell’art. 648 c.p., per la negoziazione di quattro assegni non tra sferibili ‘emessi a sua insaputa e a sua insaputa a lui intestati’, incassati da terzi presso una filiale del predetto istituto di credito, dopo essere stati accreditati sui conti intestati a NOME e NOME COGNOME, correntisti della Banca. Quest’ulti ma chiamò in giudizio NOME e NOME COGNOME titolari dei conti su cui erano stati negoziati detti assegni, nonché NOME COGNOME che aveva materialmente apposto le firme di girata apparentemente riferibili al COGNOME. Con sentenza del 4.9.2015 n. 11267, il Tribunale di Napoli rigettò la domanda, ritenendo non provato il nesso di causalità tra la condotta della banca e i danni reclamati. La sentenza fu appellata dal COGNOME e la Corte d ‘appello di Napoli, con sentenza dell’8.2.2018 n. 621, rigettò il gravame. La Corte partenopea ritenne pacifico che i quattro assegni fossero stati negoziati dai COGNOME presso la Deutsche Bank sui conti correnti accesi da costoro, anche se muniti di clausola di non trasferibilità sulla base di firme di girata apparentemente riferibili al COGNOME, da questi disconosciute, che
si era accertato essere state apposte da tale NOME COGNOME che era in possesso anche di fotocopie di un documento d’identità del COGNOME; ritenne però la Corte che la ragione del coinvolgimento del COGNOME nella indicata indagine penale non fosse quella dell’illegittimo incasso di quei quattro assegni da parte di un soggetto terzo, bensì il fatto che il COGNOME, quale mandatario elettorale di Bassolino, risultasse beneficiario di tredici assegni dei quali il PM aveva ipotizzato essere frutto della concussione effettuata da alcuni pubblici ufficiali nei confronti delle società operanti nel porto di Napoli.
Contro detta sentenza il COGNOME propose ricorso per revocazione dinanzi alla Corte partenopea; questa dichiarò l’impugnazione inammissibile con sentenza del 6.10.2020, ritenendo che il vizio denunciato consistesse eventualmente in un errore di diritto e non in un errore nella percezione del contenuto dei documenti offerti. All’esito, la sentenza d’appello (n. 621/2018) venne impugnata per cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su tre motivi, iscritto al N. 27457/20 R.G. Resistettero i COGNOME con controricorso, nonché la Deutsche Bank con separato controricorso contenente anche un motivo di ricorso incidentale ed uno di ricorso incidentale condizionato. L’intimato NOME COGNOME non svolse difese; tutte le parti costituite depositarono memoria.
Con ordinanza n. 17119 del 20.6.2024, questa Corte di cassazione dichiarò inammissibili sia il ricorso principale sia quello incidentale. Si osservò, in particolare, che il ricorso del COGNOME neppure sottoponeva a critica né specifiche affermazioni della sentenza impugnata, né – ove mai possibile – proponeva una lettura alternativa dei fatti di causa, ma solo della stessa inchiesta penale e delle valutazioni ivi svolte dal Pubblico Ministero. A tale singolare impostazione, ha
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proseguito questa Corte, si è accompagnata una assoluta genericità delle censure, che facevano riferimento a documenti non adeguatamente richiamati e neppure indicati come prodotti, privando la stessa Corte di ogni possibilità di riscontro. Inoltre, quanto al terzo motivo, inerente al nesso di causalità, la doglianza mirava a sollecitare una rivalutazione del fatto, riservata al giudice del merito; infine, si ravvisava una ulteriore ragione di inammissibilità, venendo in rilievo una ipotesi di ‘doppia conforme’, donde l’inammissibilità delle doglianze avanzate ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Avverso detta ordinanza, NOME COGNOME propone ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., fondato su un unico articolato motivo, corredato da memoria. Resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME che hanno anche depositato memoria, nonché la Deutsche Bank s.p.a., che ha anch’essa depositato memoria, mentre l’altra parte intimata non ha svolto difese. Il Collegio ha riservato il deposito della motivazione entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con l’unico articolato motivo il ricorrente lamenta l’errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., per travisamento del fatto e violazione dell’ art. 115 c.p.c., in cui la Corte di cassazione sarebbe incorsa con l’impugnata ordinanza. Espone infatti che, nella ricostruzione delle vicende, la Corte avrebbe travisato i fatti circa il coinvolgimento del COGNOME nel procedimento penale. Da tale travisamento discenderebbe, in thesi , la ‘ 1) Mancata applicazione della legge 10.12.1993 n° 515 istitutiva della figura del mandatario elettorale. 2) Errata applicazione dell’art. 648 c.p.. 3) Mancata applicazione del nesso di causalità esistente tra il comportamento della banca, che permetteva la negoziazione dei titoli recanti la
clausola di non trasferibilità a terzi, e la incriminazione successiva di ricettazione in capo al ricorrente intestatario degli assegni, dovuta a svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile dei documenti ‘.
Contesta, più in dettaglio, quel passaggio dello svolgimento del processo, operato dall’ordinanza, nella parte in cui si precisa ‘ …ma riteneva che la ragione del coinvolgimento del COGNOME nella indagine penale non fosse quello dell’illegittimo incasso di quei quattro assegni da parte di un soggetto terzo ma il fatto che il COGNOME, quale mandatario elettorale di Bassolino, risultasse beneficiario di tredici assegni dei quali il PM aveva ipotizzato fossero frutto della concussione effettuata da alcuni pubblici ufficiali nei confronti delle società operanti nel porto di Napoli..’, evidenziando che invero la Corte d’appello ave va espressamente precisato come ‘ il suo coinvolgimento nella vicenda non fu correlato al ruolo di mandatario elettorale svolto nel 2005 in favore del candidato NOME COGNOME, come ingiustamente ritenuto dal Tribunale’.
Il ricorrente, inoltre, deduce che, diversamente da quanto affermato a fondamento della valutazione di inammissibilità del terzo motivo del ricorso per cassazione, non sussiste alcuna ipotesi di doppia conforme, poiché la Corte d’appello, seppur confermando la sentenza di primo grado, ha negato il coinvolgimento dell’odierno ricorrente al ruolo di mandatario elettorale svolto nel 2005 in favore del candidato COGNOME, come invece ritenuto dal Tribunale, analizzando i fatti di causa diversamente rispetto al giudice di primo grado. Il ricorrente lamenta altresì l’errore di fatto revocatorio in cui sarebbe incorsa questa Corte per aver dichiarato la genericità delle censure, facendo riferimento a documenti ‘ non espressamente richiamati e dei quali non si indica neppure
che siano stati depositati ‘, laddove invero egli aveva esattamente indicato gli stessi alla voce ‘elenco depositi’, evidenziando anche esattamente i documenti sia nel ricorso che nella memoria ex art. 380bis 1 c.p.c., prodotta dieci giorni prima dell’adunanza camerale. Dunque, nell’ordinanza revocanda questa Corte avrebbe supposto la genericità delle censure con riferimento a documenti la cui produzione specifica era invece incontestabilmente risultante dagli atti di causa.
2.1 Il ricorso è palesemente inammissibile.
Ai fini della revocazione della sentenza per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., occorre che si integrino i seguenti presupposti:
a) l’errore (c.d. di percezione) non deve consistere in un errore di giudizio ma in un errore di fatto (svista percettiva immediatamente evincibile) che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato dagli atti di causa; esso postula l’esistenza di un contrasto – risultante con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive – tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (Cass, Sez. Un., n. 31032/2019; Cass. n. 442/2018; Cass. n. 22171/2010);
b) l’errore deve essere essenziale e decisivo, nel senso che, in mancanza di esso, la decisione sarebbe stata di segno opposto a quella in concreto adottata (Cass. n. 16439/2021; Cass. n. 6038/2016; Cass. n. 24334/2014);
c) in particolare, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ex artt. 391bis e 395, n. 4 c.p.c., deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Corte può esaminare direttamente,
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con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità; diversamente, ove l’errore sia stato causa determinante della sentenza di merito, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati in quella sede, il vizio della sentenza deve essere fatto valere con gli ordinari mezzi di impugnazione (si veda, per tutte, la recente Cass., Sez. Un., n. 20013/2024);
d) il fatto incontrastabilmente escluso di cui erroneamente viene supposta l’esistenza (o quello positivamente accertato di cui erroneamente viene supposta l’inesistenza) non deve aver costituito oggetto di discussione nel processo e non deve quindi riguardare un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata; ove su un fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, la pronuncia del giudice non si configura, infatti, come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa delle risultanze processuali, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass. n. 2236/2022; Cass. n. 26890/2019; Cass. n. 9527/2019; Cass. n. 27622/2018; Cass. n. 14929/2018).
3.1 Il ricorso non rispetta nessuna delle superiori condizioni.
In particolare, e ancor prima, il ricorrente insiste in questa sede (anche in memoria) nel perorare una impostazione in iure evidentemente eccentrica, già giustamente stigmatizzata con l’ordinanza qui impugnata, laddove si sostiene che, a legislazione vigente, il reato di ricettazione a suo carico non poteva che essere ipotizzato dal PM solo in funzione della negoziazione dei quattro assegni in questione e non anche dei tredici assegni inerenti alla campagna elettorale
per la Regione Campania del 2005. Con ciò lamentando ed ampiamente dissertando, ancora in questa sede, circa una pretesa mancata o errata applicazione della legge sulla figura del mandatario elettorale e, addirittura, di una disposizione del codice penale, aspetti che, con ogni evidenza, costituivano solo gli elementi di sfondo della vicenda (risarcimento danni da iscrizione nel registro degli indagati a seguito di illegittima negoziazione di assegni), non certo correlati a disposizioni normative con cui risolverla, come mostra di aver invece inteso il ricorrente.
Già sul piano logico, prim’ancora che giuridico, emerge dunque in tutta evidenza come ciò che il COGNOME denuncia, al fondo, è una sorta di ‘violazione mediata’ delle disposizioni richiamate, prima da parte della stessa Corte d’appello e, poi, di questa Corte (non è ben chiaro, per la verità, in che termini), ipotesi che sfugge al prisma dei vizi denunciabili, rispettivamente, col ricorso per cassazione (come correttamente evidenziato nell’ordinanza impugnata, la cui affermazione – ove mai fosse possibile farlo – non risulta neppure contrastata dal ricorrente) e, a maggior ragione, col ricorso per revocazione ex art. 391bis c.p.c. avverso il provvedimento della Corte di cassazione reso sul primo.
Non senza dire che, anche sul piano formale (v. sintesi dei motivi, p. 3), il COGNOME insiste pure nella prospettazione dei medesimi motivi dell’originario ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, evidentemente ciò significando che l’ordinanza revocanda – da quanto è dato comprendere – ne sarebbe parimenti affetta, per effetto del preteso errore revocatorio; ciò che, però, già collide con l’intuitiva necessità per cui, con la revocazione, si denuncino vizi propri del provvedimento revocando, da selezionare nel novero delle ipotesi dell’art. 395
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c.p.c., non certo con riferimento ai vizi della sentenza d’appello già al tempo prospettati , quasi a sollecitare una riedizione del potere – di cui ormai si è verificata la consunzione – di esaminarli.
3.2 Per il resto, basti qui considerare che, in ogni caso:
le censure proposte dal COGNOME attengono principalmente ad eventuali (e del tutto ipotetici) errores in iure non certo a sviste ( et similia ) su circostanze di fatto insuscettibili di diversa valutazione e relative agli atti propri del giudizio di legittimità – in cui questa Corte sarebbe incorsa, come invece sarebbe stato necessario ai sensi del combinato disposto degli artt. 395 n. 4 e 391bis c.p.c., per superare il vaglio dell’ammissibilità della proposta impugnazione , fatto salvo quanto segue immediatamente;
la pretesa mancata considerazione della documentazione prodotta non è affatto decisiva, proprio in ragione della già vista eccentricità dell’impostazione della originaria impugnazione; infine,
tutte le questioni agitate dal COGNOME hanno costituito ampio oggetto di dibattito processuale, sicché su di esse non è possibile ritornare con la revocazione, esclusa appunto quando su quanto se ne vorrebbe oggetto vi sia stato dibattito nel giudizio concluso con il provvedimento gravato.
4.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida per ciascun gruppo di controricorrenti in € 6.600,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ed al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data