Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2613 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2613 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19875/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-controricorrente-
per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione n. 7228/2023, depositata il 13 marzo 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione del 17 febbraio 2014, la RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2907 del 2013, emesso dal Tribunale di Udine, con il quale le aveva ordinato il pagamento della somma di euro 810.685,02 in favore della RAGIONE_SOCIALE somma pretesa sulla base di varie fatture relative ai lavori eseguiti in virtù del contratto di subappalto sottoscritto fra le parti il 24 luglio 2000, in forza del contratto di appalto stipulato il 23 giugno 2000 dalla medesima COGNOME RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione di un complesso termale, commissionati alla intimante per la realizzazione di impianti meccanici e elettrici; aggiungeva l’opponente che con il contratto di subappalto l’ingiungente aveva accettato che gli obblighi e gli oneri derivanti dal contratto di appalto principale, posti a carico della COGNOME RAGIONE_SOCIALE, risultassero trasferiti in capo alla subappaltatrice; proseguiva di avere accertato che vi erano stati accordi diretti fra la Terme di Saturnia e la RAGIONE_SOCIALE, in violazione dell’art. 38.2 della condizioni generali di contratto ed effettuato il collaudo delle opere subappaltate, con scrittura 16 febbraio 2004 la RAGIONE_SOCIALE aveva riconosciuto che i ritardi nell’ultimazione dei lavori erano dovuti a responsabilità di Terme di Saturnia, per cui la COGNOME, in accordo con l’intimante aveva sospeso i propri pagamenti in attesa della definizione della controversia con Terme di RAGIONE_SOCIALE; quest’ultima a seguito di collaudo definitivo delle opere aveva contestato alla RAGIONE_SOCIALE vizi e difformità che riguardavano le opere di RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che i crediti di cui alle fatture erano stati tutti contestati; inoltre era stato instaurato fra la RAGIONE_SOCIALE e la Terme di Saturnia un giudizio arbitrale, il cui esito, in base al contratto di subappalto, clausola 13.2, sarebbe stato vincolante anche per la RAGIONE_SOCIALE;
infine, deduceva la circostanza che il credito ingiunto era stato dalla pretesa creditrice ceduto a Banca Monte di Paschi di Siena s.p.a., con conseguente difetto di legittimazione attiva dell’opposta; tutto ciò premesso, chiedeva che il decreto fosse dichiarato nullo.
Con sentenza n. 104 del 2017, il Tribunale di Udine, costituita la RAGIONE_SOCIALE, ritenuta la validità della clausola n. 13.2, affermava che non vi era stata alcuna rinuncia alla stessa in seguito all ‘ intervenuta scrittura del 16 febbraio 2004, rilevava però la fondatezza della richiesta di accertamento della cattiva gestione della lite con RAGIONE_SOCIALE sollevata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della opposta e, per l’effetto, dichiarava estinto il debito risarcitorio.
2. -Sul gravame interposto dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Trieste, nella resistenza di COGNOME RAGIONE_SOCIALE – che proponeva anche appello incidentale, chiedendo la riforma della decisione relativamente all’accertamento della propria mala gesti° di lite e la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento pro quota delle spese di arbitrato – con sentenza n. 570 del 2018, rigettava l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, condannava l’appellante al pagamento della somma complessiva di euro 85.903,07, oltre interessi legali della domanda al saldo e alle spese. Più esattamente, la Corte di appello, nel ricordare che i fatti oggetto di causa erano collegati alla questione relativa alla rinuncia da parte di Terme di Saturnia s.p.a. alla domanda relativa ai vizi dell’opera fatti valere innanzi al Tribunale di Grosseto nel parallelo contenzioso fra le parti, con conseguente “abbandono di ogni pretesa della committente principale rispetto ai difetti delle opere eseguite in subappalto”, riteneva che in quella sede la committente principale aveva rinunciato alla sola domanda e non all’azione, né al diritto sottostante. Inoltre, quanto alla decadenza di RAGIONE_SOCIALE dalle contestazioni fatte ex art. 1670 cod. civ., la Corte territoriale condivideva quanto affermato dal Tribunale, secondo cui la Magit
aveva preso piena visione della relazione preliminare di collaudo del febbraio 2004 e aveva svolto le proprie osservazioni, non essendo nemmeno possibile sostenere che il diritto fatto valere da RAGIONE_SOCIALE (garanzia per vizi) fosse estinto per prescrizione, posto che nel caso di specie la prescrizione era quella decennale, trattandosi di lavori non completati, come da collaudo negativo.
-Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
La Corte di cassazione, con sentenza n. 7228/2023, depositata il 13 marzo 2023, ha rigettato il ricorso.
–RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per revocazione avverso la pronuncia della Cassazione affidato a un unico motivo.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con l’unico motivo di revocazione si deducono gli errori di fatto ai sensi del combinato disposto degli artt. 391 bis e 395 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. che vizierebbero la sentenza oggetto del ricorso per aver ritenuto sussistenti, allorché esclusi dai documenti versati in atti, i seguenti fatti: i) rinuncia al giudizio di Terme RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE nel procedimento R.G. n. 1631/2005 precedentemente pendente innanzi al Tribunale di Grosseto, in luogo della rinuncia verificatasi dell’azione riconvenzionale per l’accertame nto dei presunti vizi nelle opere realizzate da RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Ing. NOME & C.; ii) qualificazione di tale rinuncia da parte del giudice toscano come rinuncia alla domanda anziché rinuncia all’azione . Entrambe tali circostanze sarebbero smentite per tabulas dall’analisi degli atti del procedimento. Con riferimento al profilo i), emergerebbe incontrovertibilmente come Terme di Saturnia abbia rinunciato alla
propria azione riconvenzionale e che la stessa non venne ulteriormente coltivata nel procedimento di arbitrato poiché la RAGIONE_SOCIALE non è stata coinvolta nello stesso. Per quanto invece attiene al tema ii), dal semplice confronto tra la sentenza di Cassazione, che riprende il testo di quella della Corte di Appello di Trieste, e quella di primo grado del Tribunale di Grosseto trasparirebbe come il giudice toscano avesse qualificato come rinuncia all’azione la rinuncia di Terme di Saturnia alla riconvenzionale, tanto è vero che non venne chiesto alle controparti di accettare tale rinuncia, essendo superflua.
La sentenza n. 7228 del 2023 della Suprema Corte di cui si chiede la revocazione si fonda sull’affermazione di esistenza di fatti che, per converso, la realtà documentata in atti esclude. Infatti, la Suprema Corte ha affermato come nel caso di specie non si sarebbe in presenza di una rinuncia alla domanda principale, bensì di una rinuncia al giudizio proposto da Terme di Saturnia nei confronti di COGNOME COGNOME in forza delle previsioni convenzionali tra loro intercorse per l’instaurazione di un arbitrato. La Corte qualifica tale rinuncia come rinuncia al giudizio sulla base del fatto che Terme di Saturnia avrebbe successivamente coltivato la domanda di accertamento dei vizi nel procedimento arbitrale.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
L’errore di fatto, che legittima l’impugnazione per revocazione ex art. 395 cod. proc. civ. consiste in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obiettivamente e immediatamente rilevabile, tale da aver indotto il giudice ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in essi (sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia). L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini
ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. III, 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. I, 9 maggio 2007, n. 10637; Cass., Sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3652).
L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass., Sez. Un., 27 novembre 2019, n. 31032).
La RAGIONE_SOCIALE ricorre allo strumento di revocazione per sottoporre all’esame della Cassazione una questione che in maniera identica aveva formato oggetto del giudizio già svoltosi dinanzi a questa Suprema Corte con l’impugnazione della sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 570/2018.
Si tenta di introdurre una duplicazione del procedimento già svolto in sede di legittimità sotto la veste di un giudizio di ‘revocazione’ , essendosi la Cassazione espressa sull’odierno motivo di revocazione laddove ha deciso sul primo motivo del ricorso
proposto dalla RAGIONE_SOCIALE rigettandolo in quanto ‘privo di pregio giuridico’ e confermando la correttezza della decisione e del principio.
-Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, al rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avvocato dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione