Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16709 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16709 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12858/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE TIBERIO IMPERATORE N. 45/63/65 IN NOME, elettivamente domiciliato in NOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE NOME n. 10432/2023 depositata il 19/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 7196/2017, pubblicata il 15.11.2017, rigettando l’appello proposto da Roma Capitale, confermò la sentenza del Tribunale di Roma, con la quale era stato dichiarato non dovuto l’importo di euro 8.103,08 relativo all’avviso emesso da Roma Capitale a titolo di canone per l’occupazione permanente di spazi ed aree pubbliche (COSAP) per l’anno 2011, in relazione alle griglie ed alle intercapedini ubicate in prossimità del Condominio di INDIRIZZO n.45/63/65.
Secondo il giudice di seconde cure, l’appello proposto da Roma Capitale andava respinto avuto riguardo alla ragione più liquida, in forza della quale non poteva dirsi dovuto il canone in discussione in assenza di concessione.
Avverso tale decisione propose ricorso per cassazione Roma Capitale, affidato ad un motivo, al quale ha resistito il Condominio di INDIRIZZO nn.45,63,65 con controricorso. Il ricorso, posto in decisione all’udienza camerale del 24.1.2023, si concluse con l’ordinanza della Suprema Corte numero 10432 del 2023 emessa all’esito dell’udienza camerale , che accolse il ricorso di Roma Capitale, cassò la sentenza impugnata e rinviò alla Corte di Appello di Roma anche per le spese.
Avverso l’ordinanza della Suprema Corte numero 10432 del 2023 ha proposto ricorso per revocazione il ricorrente INDIRIZZO in Roma affidato ad un motivo e memoria. Roma Capitale resiste con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per una migliore comprensione dei fatti di causa qui di seguito si riporta la breve motivazione dell’ordinanza 10423 del 2023 della Suprema Corte impugnata col presente ricorso per revocazione: ‘Con l’unico motivo di ricorso – denunciando la violazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, in combinato disposto con l’art. 16 del Regolamento del Comune di Roma in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente assume che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto che, non essendo stata nel caso concreto rilasciata concessione alcuna che legittimasse il pagamento del canone, la somma richiesta a tale titolo dall’ente comunale non fosse dovuta. Non si può anzitutto tenere conto dell’eccezione di giudicato di cui alla memoria ex art. 378 c.p.c., avendo il controricorrente richiamato sentenze tutte precedenti alla decisione di appello impugnata in questa sede, le quali non risultano corredate – tanto nemmeno affermando il resistente – dall’attestazione di passaggio in giudicato e che non risultano prodotte nel giudizio di merito né menzionate nella sentenza di appello (Cass. 1534/2018; Cass. 12754/2022; Cass., S.U. 13916/2006). Ciò posto, il ricorso è fondato. Ed invero, questa Corte ha più volte chiarito che “il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici”, cosicché esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare eccezionale che ne trae il singolo. Il presupposto applicativo del RAGIONE_SOCIALE è costituito quindi dall’ uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del, suolo pubblico (Cass. n. 1435/2018; Cass.n.10733/2018; Cass. n. 18037 /2009;Cass.n.18171/2022). Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) costituisce, pertanto, il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni (Cass. 16395/2021; Cass. 18171/2022), sicché anche le occupazioni eseguite su aree private soggette a servitù di pubblico passaggio sono soggette ad imposizione per il pagamento del relativo canone (Cass. 28869/2021). A tali
principi non si è affatto conformato il giudice dì appello che, 4 per converso, ha escluso la legittimità della pretesa spiegata da Roma Capitale, ritenendo che l’assenza di una specifica concessione in relazione all’occupazione del suolo escluderebbe la RAGIONE_SOCIALE , affermazione che, come si è detto, è in contrasto con quanto affermato nei precedenti sopra ricordati. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va accolto’.
Con unico motivo di ricorso per revocazione il condominio ricorrente denuncia: Errore di fatto ex art. 391 bis per supposta inesistenza di documenti versati in atti in quanto la ordinanza della Corte Suprema di Cassazione sarebbe l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti e soprattutto dai documenti di causa. Infatti, la ordinanza impugnata sarebbe fondata sulla presunta inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita (l’esistenza di un giudicato esterno, risultante da più provvedimenti versati in atti), che peraltro non ha mai costituito un punto controverso del giudizio, non essendo mai stato contestato da Roma Capitale.
Il fatto ignorato secondo il ricorrente è l’esistenza di tre sentenze: 1) la sentenza n. 412/2013, con la quale il Tribunale Ordinario di Roma ha annullato l’avviso di pagamento n. 668/2007, relativo all’imposta 2002 ;
la sentenza n. 17974/2013, con la quale il Tribunale di Roma ha accolto l’impugnativa proposta dal Condominio annullando l’avviso di liquidazione n. 150/2007, relativo all’imposta COSAP 2004;
la sentenza n. 18267/2012, con la quale il Tribunale di Roma, ha accolto l’impugnativa proposta dal Condominio, annullando l’avviso di liquidazione n. 95/07, relativa all’imposta COSAP 2002.
La decisione si fonda sulla supposizione di una mancata produzione delle sentenze richiamate nei precedenti atti di giudizio mentre al contrario tutte le suindicate sentenze erano state allegate alla memoria ex art. 183, 6 comma n. 2 c.p.c. che, peraltro, era stata prodotta in formato cartaceo presso la Cancelleria del Tribunale che ne aveva attestato (con l’apposizione del timbro), l’avvenuto deposito.
La mancata impugnazione delle suindicate sentenze da parte di Roma Capitale avrebbe reso inoppugnabile secondo il condominio ricorrente l’assenza dei presupposti per la valida richiesta dell’imposta COSAP non solo per gli anni 2002, 2004 e 2005, bensì anche per le ulteriori annualità.
Il ricorso è inammissibile. Invero, si evidenzia come sia costante in giurisprudenza il principio secondo cui, in tema di giudicato, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, e uno dei due sia stato definito con sentenza passata in gi udicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di quesiti di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato. Tale orientamento è stato recentemente ribadito in Cassazione n.39550 del 16/9/2021.
Tuttavia l’ordinanza impugnata afferma che ‘il controricorrente ha richiamato sentenze tutte precedenti alla decisione di appello impugnata in questa sede, le quali non risultano corredate – tanto nemmeno affermando il resistente – dall’attestazione di passaggio in g iudicato e che non risultano prodotte nel giudizio di merito né menzionate nella sentenza di appello ‘.
L’ordinanza gravata da revocazione non risulta quindi frutto di una svista di fatto risultante incontrovertibilmente dagli atti di causa, atteso che sono state esaminate le pronunce su cui si fondava l’eccezione di giudicato ma, in iure, se ne è data una valutazione contraria a quella posta dell’eccezione. , pur sempre, però, sulla base di atti e documenti oggetto di specifica indagine dell’ordinanza impugnata. Non vi è stata un’errata percezione del fatto, una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il Giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, ma una valutazione giuridica dei fatti allegati e dei documenti prodotti.
Deve essere, infine, rilevato, un ulteriore profilo di inammissibilità costituito dal fatto che la rilevanza del giudicato esterno è stata oggetto di discussione, diversamente da quanto richiesto dall’art. 395, primo comma, n. 4 c.p.c., trattandosi proprio di punto controverso.
Per quanto sopra deve essere dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese processuali devono essere compensate tra le parti per la complessità e non univocità delle questioni attinenti al giudicato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione