Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8389 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8389 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 1928/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, (C.F. CODICE_FISCALE), in proprio e quale unico erede di COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), giusta procura in atti;
-controricorrenti – per la revocazione dell’ ordinanza n. 27882/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 30.10.2019;
DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Ad.06/02/2024 CC
R.G.N. 1928NUMERO_DOCUMENTO
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Con ordinanza di questa Corte n. 3186/2023, pubblicata il 30/10/2019, venne rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME ed NOME COGNOME, avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, n. 398/2018, pubblicata il 9/3/2018, nei confronti di NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
Il COGNOME, in proprio e quale unico erede della COGNOME propone ricorso per la revocazione della suddetta ordinanza, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ..
NOME e NOME COGNOME ed NOME COGNOME resistono con controricorso.
Sono pervenute memorie.
Con l’ordinanza oggetto di revocazione questa Corte disattese i tre motivi prospettati dalla parte ricorrente, la quale era insorta contro la sentenza d’appello che ne aveva rigettato l’impugnazione, proposta avverso la sentenza di primo grado, che aveva, a sua volta, rigettato la domanda attorea, con la quale era stato chiesto, siccome riporta l’ordinanza di questa Corte, fatta oggetto dell’istanza di revocazione: <>.
3.1. In estrema sintesi va ricordato che il primo motivo, denunciante violazione degli artt. 948, 2697 e 2729 cod. civ., il secondo motivo, denunciante violazione degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ., nonché 2729 cod. civ. e, infine, il terzo motivo,
denunciante l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, giudicati fra loro connessi, vennero disattesi, per una pluralità di ragioni:
-dall’esame dei titolo divisorio del 1943 la sentenza impugnata della Corte d’appello aveva fatto discendere la presunzione di comproprietà del cortile in capo ai controricorrenti;
le conclusioni de Giudice di merito erano conformi ai principi enunciati in sede di legittimità, secondo i quali <>, oltre che con il principio di presunzione legale di comunione di talune parti (art. 117 cod. cod. civ.);
poiché trattavasi di pertinenza, erravano i ricorrenti a esigere un separato titolo di proprietà;
-non superava lo scrutinio d’ammissibilità il terzo motivo, che, peraltro, riprendeva i temi esposti, in quanto, piuttosto che evidenziare un fatto controverso omesso, finiva per dolersi del vaglio istruttorio e rifluiva, nella sostanza, nelle critiche mosse con il secondo motivo.
La parte ricorrente in revocazione con il primo motivo, assume sussistere errore di fatto della Corte di Cassazione per averla condannata al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, sul presupposto che il controricorso fosse stato notificato, il che non era avvenuto.
Con il secondo motivo viene allegato errore di fatto per avere l’ordinanza erroneamente giudicato pacifica la <>.
Con il terzo motivo si addebita all’ordinanza di avere travisato l’affermazione della sentenza d’appello, la quale, riferendosi all’immobile degli attori aveva precisato: <>.
Con il quarto motivo si evidenzia che l’ordinanza aveva erroneamente dichiarato inammissibile il terzo motivo dell’originario ricorso, con il quale non si era instato per una rivalutazione delle prove, ma, ben diversamente, lamentato l’omesso esame di tre documenti, prodotti nella causa e che sarebbero stati decisivi per il giudizio.
Gli ultimi tre motivi sono stati oggetto di rinunzia, come dichiarato espressamente in memoria dal ricorrente. rinunciati e, quindi, occorre esaminare solo il primo.
Il motivo è inammissibile.
9.1. L’errore di fatto revocatorio ricorre, come risulta dalla piana descrizione normativa, ‘quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita’; cioè deve annidarsi in una oggettiva erronea percezione da parte del Giudice di legittimità della ricostruzione fattuale siccome operata dalla sentenza d’ appello o rappresentata dai documenti esaminabili (allorquando la Cassazione è eccezionalmente giudice del fatto); e certamente tale non può considerarsi un apprezzamento o una conseguenza giuridica, come nel caso di specie, non potendo il Giudice della legittimità essere chiamato a decidere nuovamente la causa in una sorta di anomalo nuovo giudizio, a seguito d’una impropria opposizione, anche a riguardo delle statuizioni processuali.
9.2. Nel caso di specie, i ricorrenti, con il primo motivo, si dolgono palesemente di un preteso errore giuridico, che sarebbe dipeso da una errata valutazione circa la regolare presenza in giudizio dei controricorrenti, dipendente dalla preliminare verifica (ovviamente giuridica) dell’avvenuta notificazione del controricorso. Ovviamente, da quanto anticipato discende che in questa sede non è consentito alla Corte verificare l’eventuale fondamento giuridico della doglianza.
Principio, questo, già più volte espresso dalla Cassazione a riguardo di prospettazioni del tutto analoghe.
Si è, così affermato che l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio escludendo il vizio revocatorio in un giudizio per cassazione nel quale era stato omesso il rilievo che il controricorso era stato notificato alla parte personalmente, anziché al procuratore nel domicilio eletto) -Sez. 6, n. 16439, 10/6/2021, Rv. 661483 -.
Analogamente, si detto che non rappresenta un vizio riconducibile al combinato disposto degli artt. 391 bis e 395, n. 4), c.p.c. la prospettazione di una errata valutazione in ordine alla ritualità della costituzione del controricorrente, per non avere la Corte rilevato che quest’ultimo aveva proceduto alla notifica del controricorso presso la cancelleria, sebbene il ricorso per cassazione contenesse l’indicazione della PEC del difensore del ricorrente, poiché l’errore, ove sussistente, non costituirebbe un errore di fatto, ma un errore di giudizio, conseguente a una errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali (Sez. 6- L. n. 24672, 11/8/2022, Rv. 665817).
9.3. Più in generale è utile ricordare che questa Corte reiteratamente ha avuto modo di chiarire che il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione.
È inammissibile il ricorso al rimedio previsto dall’art. 391 bis cod. proc. civ. nell’ipotesi in cui il dedotto errore riguardi norme giuridiche, atteso che la falsa percezione di queste, anche se indotta da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, integra gli estremi dell’ “error iuris”, sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata (riconducibile all’ipotesi della violazione) -Sez. 6, n. 29922, 29/12/2011, Rv. 620988; conf., ex multis, Cass. 4584/2020 -.
Fa da corollario il principio incontroverso secondo il quale l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di
cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ., consiste in una svista su dati di fatto, produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione, sicché è inammissibile il ricorso per revocazione che suggerisca l’adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata (Sez. 6, n. 3494, 12/02/2013, Rv. 625003).
Né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia (Sez. U, n. 8984, 11/04/2018, Rv. 648127; cfr., anche, Sez. U., n. 30994, 27/12/2017; Sez. 6, n. 14937, 15/6/2017).
Sulla scorta dei citati principi, che il Collegio ribadisce, è evidente che nel caso in esame non ricorre nessun errore revocatorio, perché la censura investe la valutazione delle risultanze del processo.
Inoltre, il motivo è anche privo di specificità.
il ricorso a pag. 4 che l’ordinanza di questa Corte n. 27882/2019 danno atto del fatto che nel precedente giudizio di
legittimità davanti alla sesta sezione i ricorrenti avevano depositato una memoria a seguito della proposta di manifesta infondatezza del consigliere relatore: ebbene, sarebbe stato necessario trascrivere, almeno per le parti di rilievo il contenuto della memoria per consentire alla Corte di Cassazione di verificare se la questione fosse stata già trattata in quella sede, visto anche lo specifico rilievo contenuto a pag. 5 del controricorso.
In conclusione la domanda di revocazione è inammissibile.
Consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti e distratte in favore del loro difensore, dichiaratosi anticipatario, che si liquidano come da dispositivo.
Non si reputa opportuno aumentare i compensi, siccome richiedono i controricorrenti, ai sensi dell’art. 4 del d.m. n. 55/2014, poiché l’inammissibilità del ricorso appariva ex se evidente, non occorrendo un’attività di studio e impegno, oltre l’ordinario, per contrastare il ricorso.
La domanda di condanna ex art. 96 non risulta riproposta in memoria (v. pag. 9).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge, distratti in favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 febbraio 2024