Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27035 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27035 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24867/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-ricorrente –
contro
COGNOME , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1456/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME nel 2014 chiese revocarsi la sentenza n. 1470 del 25/9/2013, con la quale la Corte d’appello di Firenze aveva rigettato l’impugnazione di costei avverso la sentenza del Tribunale di Livorno, Sezione Distaccata di Piombino, n. 3 dell’8/1/2008.
1.1. La COGNOME aveva convenuto il marito NOME COGNOME dal quale viveva legalmente separata (sentenza del 7/10/1996), chiedendo di essere riconosciuta comproprietaria pro-indiviso per la quota del 50% di entrambi i poderi acquistati dal coniuge nell’esercizio dell’attività d’imprenditore agricolo, ex art. 177 lett. a) cod. civ. (comunione immediata). Aveva precisato che uno dei due fondi era stato acquistato nel 1983 e l’altro il 16/12/1996, due mesi dopo la pronuncia della sentenza di separazione, ma ancora in regime di comunione legale, non essendo ancora divenuta irrevocabile la decisione.
Aveva, inoltre, chiesto che il convenuto fosse condannato, a titolo di risarcimento del danno, a corrispondere il 50% del prezzo incamerato dalla vendita di due fabbricati facenti parte di uno dei due fondi, alienati senza il consenso della esponente.
In via di subordine aveva chiesto, infine, di essere riconosciuta comproprietaria dei restanti immobili del convenuto, quale comunione ‘de residuo’ ex art. 178 cod. civ., o, in alternativa, che fosse dichiarata creditrice della metà del valore dei due fondi.
1.2. Il Tribunale aveva dato torto alla Russo ritenendo che il primo dei due fondi (‘Paduletto 2’) fosse stato acquistato dal convenuto nell’esercizio dell’impresa di coltivatore diretto, che il medesimo esercitava già da prima del matrimonio e perciò, ai sensi dell’art. 178 cod. civ., si sarebbe potuta avere solo comunione ‘de residuo’, limitatamente agli incrementi patrimoniali sussistenti al
momento dello scioglimento della comunione. Di conseguenza, legittimamente il convenuto aveva alienato i due fabbricati edificati sull’anzidetto fondo, senza che fosse insorto credito, ex art. 184, u.c., in favore dell’attrice, la quale non risultava neppure creditrice per le migliorie, non essendo rimasto provato che le stesse fossero state effettuate con denaro della comunione. La Russo non aveva provato l’incremento di valore dell’impresa al momento dello scioglimento della comunione.
L’acquisto dell’altro podere era successivo allo scioglimento della comunione. Pur dandosi atto che lo scioglimento, sulla base della normativa applicabile, aveva effetto ‘ex nunc’, poiché nella specie la separazione era stata richiesta da entrambi i coniugi e la sentenza era stata impugnata dal solo COGNOME in punto di negato addebito alla moglie, il capo di cui si discuteva era divenuto irrevocabile ai sensi dell’art. 325 cod. proc. civ.
La Corte di appello di Firenze con sentenza n. 1456 del 28/7/2020 dichiarò inammissibile l ‘impugnazione per revocazione.
2.1. La parte impugnante in revocazione aveva fatto valere, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., un duplice errore di fatto della sentenza d’appello.
(a) Errando, il Giudice d’appello aveva affermato che il primo fondo (‘Paduletto 2’) non fosse esistente al momento dello scioglimento della comunione ‘de residuo’, in aperto contrasto con il fatto pacifico che il COGNOME aveva alienato non l’intero fondo, bensì solo due dei tre appartamenti edificati. Poiché la sentenza aveva <>.
(b) Quanto all’altro fondo (quello acquistato dopo la sentenza di separazione), la decisione d’appello aveva errato ad affermare che la pronuncia che aveva statuito sulla separazione fosse passata in giudicato prima dell’anzidetto acquisto. Per contro, l’attrice aveva sostenuto con l’appello <>.
2.1. Questi, in sintesi , gli argomenti salienti dell’ordinanza che ha deciso sulla revocazione.
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Quanto al tempo del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, il prospettato errore <>.
NOME COGNOME propone ricorso fondato su quattro motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso ulteriormente illustrato da memoria.
Con il primo motivo viene denunciata nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La ricorrente addebita alla decisione impugnata di non essersi pronunciata <>.
Con il secondo motivo viene denunciata nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La ricorrente addebita alla sentenza di non essersi pronunciata <>.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 177, 178 e 2697 cod. civ., nonché nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, n.4, cod. proc. civ.
La ricorrente addebita alla sentenza di non avere statuito <>.
Con il quattro motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 324 cod. proc. civ., 2909, 177 e 178 cod. civ., nonché nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, n.4, cod. proc. civ.
La ricorrente, avuto riguardo al secondo errore revocatorio negato dalla sentenza impugnata, sostiene che, a dispetto di quanto affermato dal Giudice della revocazione, <>.
Il complesso censorio, unitariamente scrutinabile non supera il vaglio d’ammissibilità.
10.1. I motivi sono accomunati dall’impropria finalità di contestare in diritto la sentenza d’appello della quale era stata chiesta la revocazione. Nonché, da quella di addebitare alla sentenza di revocazione l’omessa pronuncia in diritto e, allo stesso tempo il difetto assoluto di motivazione, pur avendo questa ragionatamente escluso sussistere gli errori revocatori denunciati.
Il ricorso, in definitiva, dà vita, per un verso a un’anomala impugnazione della sentenza d’appello, della quale era stata chiesta la revocazione e, per altro verso, a una parimenti anomala sottoposizione al giudizio di legittimità della sentenza che dichiara inammissibile la revocazione, censurata non già per essere incorsa in errore nel giudizio sulla revocazione, bensì per non avere esaminato le critiche in diritto alla prima sentenza d’appello, mosse fuori contesto processuale, utilizzando distortamente l’istituto della revocazione.
Allora è evidente essere fuori luogo le denunce di omessa pronuncia e omessa motivazione (esposte con i motivi dal primo al terzo) sulle domande fatte oggetto d’impugnazione e scrutinate dalla sentenza d’appello, della quale si è chiesta la revocazione (sulla necessaria specifica attitudine censoria del motivo di ricorso è costante la giurisprudenza di questa Corte).
In altri termini, non è dubbio che la revocazione consente denunciarsi l’erronea percezione di un fatto auto -evidente e non di certo le conseguenze giuridiche che dal fatto il giudice ne ha tratto.
Diversamente opinando il rimedio si trasformerebbe in una sorta d’impugnazione extra ordinem e, nel caso in esame, addirittura della precedente sentenza della quale era stata chiesta la revocazione.
Quanto al quarto motivo va osservato quanto appresso.
La Russo addebitò alla sentenza della quale chiese la revocazione, di avere erroneamente affermato che la medesima avesse sostenuto che la sentenza di separazione di primo grado fosse divenuta irrevocabile solo all’esito della pronuncia d’appello che aveva deciso sull’impugnazione del COGNOME, mentre invece costei aveva sempre sostenuto che il passaggio in giudicato fosse avvenuto solo dopo consumato il termine per proporre appello incidentale (alla prima udienza del giudizio d’appello del 2076/1997), da ciò facendo discendere la conseguenza che il fondo COGNOME era stato alienato dal COGNOME in costanza di comunione legale.
La Corte della revocazione ha giudicato inammissibile il prospettato errore di fatto sulla base dei seguenti argomenti: ‘ in ogni caso l’errore sarebbe irrilevante ai fini del decidere perché comunque il giudice di primo grado aveva ritenuto il passaggio in giudicato della sentenza di separazione contestualmente alla sua pubblicazione sull’assunto che sul punto non vi era soccombenza di nessuna delle parti e che perciò nessuna di esse aveva interesse a proporre impugnazione. L’errore di percezione perciò commesso dalla Corte in nulla avrebbe spostato la decisione sul punto che è stata quella di considerare l’appello inammissibile per difetto di specificità di motivo per contrastare l’affermazione del Tribunale secondo cui la decisione di primo grado era già irrevocabile per carenza di interesse elle parti ad impugnare la statuizione sullo status avendo richiesto entrambe la separazione ‘.
In primo e decisivo luogo va osservato che, a tutto concedere, si verserebbe in una congetturata ipotesi di errore di diritto, che in alcun modo implicherebbe una distorta percezione di un fatto storico-documentale.
Va, in definitiva, escluso che il denunciato errore addebitato alla prima sentenza d’appello rientri nel novero di quelli preveduti dal n. 4 dell’art. 395 cod. proc. civ., il quale include, in forma tassativa, le dispercezioni fattuali o documentali, ove ‘il fatto non costituì un punto controverso’, e non già l’interpretazione degli atti processuali delle parti, soggetta alle ordinarie critiche impugnatorie.
È del tutto evidente che la ricorrente, non soddisfatta della soluzione giuridica adottata dalla sentenza qui impugnata, insti per la decisività dello ‘errore’, che , peraltro, decisivo comunque non sarebbe stato sulla base di quanto correttamente spiegato dalla Corte di Firenze (sulla natura dell’errore di fatto e sulla sua decisività si vedano, fra le tante, Cass. nn. 2236/2022 e 26890/2019).
In conclusione, lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente a ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità dell’intero ricorso , poiché tale norma opera in funzione di filtro esonerando la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (cfr. S.U. n. 7155/17).
Il regolamento delle spese segue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso e le stesse vanno liquidate, tenuto
conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
13. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME