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Errore di fatto: quando la revocazione è inammissibile

Un gruppo di lavoratori ha chiesto la revocazione di un’ordinanza della Corte di Cassazione, sostenendo un errore di fatto nell’identificazione di chi avesse condotto le selezioni del personale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione risiede nel fatto che il presunto errore di fatto non era decisivo per l’esito del giudizio. La questione centrale, infatti, non era chi avesse materialmente svolto la selezione, ma la mancata prova da parte dei lavoratori che tale selezione rispettasse i principi di imparzialità, pubblicità e trasparenza richiesti per l’assunzione in una società a partecipazione pubblica. Di conseguenza, anche correggendo l’errore, la decisione finale non sarebbe cambiata.

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Errore di fatto: la Cassazione chiarisce i limiti della revocazione

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti della revocazione per errore di fatto. La vicenda, nata da una complessa causa di lavoro, dimostra come non ogni svista del giudice possa portare all’annullamento di una decisione, ma solo quelle che incidono in modo determinante sull’esito del giudizio. Analizziamo insieme i dettagli di questa ordinanza per comprendere meglio i principi in gioco.

I fatti di causa: la battaglia per il riconoscimento del rapporto di lavoro

Un gruppo di lavoratori si era rivolto al Tribunale per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con una grande società a partecipazione pubblica operante nel settore energetico. Sostenevano di essere stati impiegati tramite un appalto illecito, configurando una vera e propria interposizione fittizia di manodopera, tra il 2010 e il 2012.

Sia in primo grado che in appello, le loro domande erano state respinte. La Corte d’Appello, in particolare, aveva basato la sua decisione sul fatto che la società convenuta, essendo una ‘società in house’ dello Stato, è soggetta alle regole del reclutamento pubblico. Di conseguenza, non è possibile costituire un rapporto di lavoro per via giudiziale se non attraverso procedure selettive che garantiscano imparzialità e trasparenza.

L’ordinanza della Cassazione e il presunto errore di fatto

I lavoratori, non arrendendosi, hanno presentato ricorso in Cassazione, che è stato nuovamente rigettato. Successivamente, hanno proposto un ricorso per revocazione contro quest’ultima ordinanza, basandosi su un presunto errore di fatto.

Secondo i ricorrenti, la Corte di Cassazione avrebbe erroneamente affermato che le procedure di selezione del personale erano state gestite ‘autonomamente dalle società appaltatrici e sub-appaltatrici’. Al contrario, essi sostenevano che, nel periodo in questione, la selezione era stata curata direttamente dalla società pubblica committente, un fatto che a loro dire era pacifico e non controverso. Questo errore, secondo loro, era nato da una confusione con un altro caso simile discusso nella stessa giornata.

La decisione della Corte: perché l’errore di fatto non era decisivo?

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso per revocazione inammissibile, spiegando in modo chiaro perché l’errore lamentato, anche se fosse sussistito, non avrebbe potuto cambiare le sorti della causa.

Il punto focale della decisione non risiedeva nell’identificare chi avesse materialmente gestito la selezione, ma nel verificare se quella selezione, chiunque l’avesse condotta, avesse rispettato i canoni di imparzialità, pubblicità e trasparenza. La Corte d’Appello aveva stabilito che l’onere di dimostrare la natura ‘concorsuale o para-concorsuale’ della selezione gravava sui lavoratori, e che questi non avevano fornito tale prova. Anzi, le prove raccolte avevano smentito tale circostanza.

I requisiti dell’errore rilevante per la revocazione

La Cassazione ha ribadito i severi requisiti che un errore di fatto deve possedere per giustificare una revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.:
1. Deve consistere in una percezione errata dei fatti di causa, supponendo l’esistenza di un fatto escluso dagli atti o viceversa.
2. Non può riguardare l’attività interpretativa o valutativa del giudice.
3. Deve essere evidente e immediatamente rilevabile dal confronto tra la sentenza e gli atti.
4. Deve essere essenziale e decisivo: senza di esso, la decisione sarebbe stata diversa.

In questo caso, mancava proprio il requisito della decisività.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra l’accertamento di un fatto e la sua qualificazione giuridica. La ratio decidendi delle sentenze precedenti era imperniata non su chi avesse fatto la selezione, ma sulla qualità di quella selezione. Poiché i lavoratori non avevano dimostrato che le procedure, seppur gestite per conto della società pubblica, fossero assimilabili a un concorso pubblico, la loro domanda non poteva essere accolta.

L’asserito errore nell’identificazione del soggetto che ha curato la selezione diventa quindi irrilevante. Anche se la Corte avesse affermato correttamente che era stata la società pubblica a selezionare il personale, la conclusione sarebbe rimasta identica: in assenza di prova di una procedura selettiva pubblica, non si può costituire giudizialmente un rapporto di lavoro con un ente di quella natura.

Le conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante: il rimedio della revocazione è eccezionale e non può essere utilizzato per rimettere in discussione la valutazione delle prove o l’interpretazione giuridica del giudice. L’errore di fatto che apre le porte alla revocazione deve essere una ‘svista’ palese e, soprattutto, così fondamentale da essere l’unico pilastro su cui si regge una decisione altrimenti errata. In questo caso, il pilastro era un altro: l’onere della prova non soddisfatto dai lavoratori, un aspetto che l’errore denunciato non scalfiva minimamente.

Quando un errore di fatto può portare alla revocazione di una sentenza della Cassazione?
Un errore di fatto può portare alla revocazione solo se possiede i caratteri di essenzialità e decisività, ovvero se, in sua assenza, la decisione sarebbe stata certamente diversa. Deve trattarsi di un’erronea percezione di un fatto processuale incontestabile, non di una valutazione o interpretazione giuridica.

In caso di appalto illecito con una società pubblica ‘in house’, chi deve provare che la selezione del personale è avvenuta correttamente?
Secondo la decisione, l’onere di dimostrare che le procedure selettive del personale fossero rispondenti ai canoni di imparzialità, pubblicità e trasparenza tipici dei concorsi pubblici grava sui lavoratori che chiedono la costituzione del rapporto di lavoro.

Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione in questo caso?
La Corte lo ha dichiarato inammissibile perché l’errore denunciato (chi avesse effettuato la selezione del personale) non era decisivo. La vera ragione della decisione originaria era la mancata prova, da parte dei lavoratori, che la selezione avesse avuto le caratteristiche di un concorso pubblico. Pertanto, anche correggendo l’errore, l’esito del giudizio non sarebbe cambiato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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