Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15693 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15693 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13057-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore, domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ e procuratore speciale, domiciliat a ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
Oggetto
MANDATO
Revocazione ex art. 391bis c.p.c. Inammissibilità del ricorso
R.G.N. 13057/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
Adunanza camerale
Avverso l ‘ordinanza depositata in data 22/11/2023;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
n. 32308/2023 di questa Corte di Cassazione, dello
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di due motivi, per la revocazione, ex art. 391bis , comma 1, cod. proc. civ., dell’ordinanza di questa Corte n. 32308/23, del 22 novembre 2023, che ne ha respinto il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 2192/22, del 26 ottobre 2022, della Corte d’appello di Bologna, a propria volta di reiezione del gravame da essa esperito contro la sentenza n. 2852/18, del 13 novembre 2018, del Tribunale della stessa città, e dunque confermativa del rigetto della domanda di risarcimento danni conseguente alla pur ritenuta illegittima risoluzione del rapporto contrattuale intrattenuto, fino al 1996, con la RAGIONE_SOCIALE
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria, al fine di far accertare l’illegittimità della risoluzione -comunicata dalla società RAGIONE_SOCIALE con nota del 5 giugno 1996 -di un venticinquennale rapporto commerciale, avente ad oggetto l o svolgimento dell’attività di concessione per la vendita di autoveicoli RAGIONE_SOCIALE nella zona di Salerno e Avellino.
Nelle more di tale giudizio (poi conclusosi, attraverso varie vicende processuali, con il definitivo riconoscimento dell’illegittimità della risoluzione, essendosi esclusa l’esistenza di qualsiasi inadempimento da parte della società concessionaria), veniva incardinata la presente controversia risarcitoria, il cui esito consisteva, in primo grado, nel rigetto della domanda volta al
ristoro ‘di tutti i danni, nella duplice componente di danno emergente e lucro cessante, subiti da Cesarmeccanica’ (oggi CM Irpinia), essendosi ritenuto che tutte le voci di danno -ivi comprese quelle indicate come tardivamente formulate -fossero ‘rimaste sostanzialmente prive di riscontro obiettivo’.
Esperito gravame, il giudice d’appello lo rigettava, non senza precisare -per quanto, qui, specificamente di interesse -non essere ‘state tempestivamente dedotte in giudizio’ taluni voci di danno, quali la ‘perdita dell’avviamento commerciale’ (che, al p ari di altro pregiudizio, e cioè la ‘sospensione del rapporto commerciale con il brand Ferrari’, si assume va essere stata allegata ‘per la prima volta in sede di atto d’appello’), nonché la ‘lamentata perdita di chance di conseguire futuri guadagni’, giacc hé ‘dedotta nel giudizio di primo grado solo in sede di memoria autorizzata per formulare osservazioni alla c.t.u.’.
COGNOME esperiva ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi.
Con il primo motivo, prospettava ‘la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 cod. civ., 112, 163 e 183 cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato ritenendo tardive le allegazioni successive a quelle esplicate nella prima perizia estimativa prodotta con la citazione’, e ‘contenute nella seconda memoria integrativa di prime cure’, trattand osi -a dire della ricorrente -di ‘semplici ed esemplificative declinazioni delle componenti patrimoniali cui era stato correlato il pregiudizio, e che la domanda originaria aveva fatto salve, ferma l’unicità e identità del fatto costitutivo’.
Con il secondo motivo prospettava ‘la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2909 e 2697 cod. civ., e degli artt. 112, 115 e 324 cod. proc. civ., poiché la Corte d ‘ appello avrebbe errato limitando la verifica del pregiudizio a un anno dalla revoca del mandato alla concessionaria deducente in ragione di
un recesso mai avvenuto e a fronte di una risoluzione accertata come illegittima, laddove, comunque, il regolamento comunitario n. 1475 del 1995, applicabile, prevedeva, come dedotto in appello, il termine di due anni, con conseguente illegittima esclusion e dell’accertamento da correlare ai costi di vendita e al margine proprio della concessionaria, ai costi di struttura, alla marginalità conseguita con il «business» Volvo, al budget futuro di ricavi e costi, all’Ebitda al netto delle imposte, al fabbisogno di capitale circolante, nonché alla struttura finanziaria complessiva quale emergente dalla documentazione prodotta e di cui era stata omessa la valutazione, al pari del fatto che i risultati dell’attività erano stati condizionati, tra il 1990 e il 1996, dall ‘ introduzione delle nuove disposizioni di legge in materia di gas di scarico delle autovetture, laddove, negli anni successivi al 1996, i bilanci Volvo avevano dato segnali positivi, sicché quanto meno era stato illegittimamente perso il significativo valore dell’avviamento’.
Con il terzo motivo si prospettava ‘la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2711 cod. civ., e degli artt. 112, 115, 118, 198 e 213 cod. proc. civ, poiché la Corte di appello avrebbe errato non solo equiparando la risoluzione negoziale, accertata come illegittima e presupposto risarcitorio, a un recesso mai esercitato e legittimante in tesi un mero indennizzo, ma, inoltre, mancando di constatare, come esposto nella seconda perizia depositata nella seconda memoria integrativa in prime cure, che la vendita delle automobili Ferrari era venuta meno proprio a causa delle difficoltà economiche determinate dalla condotta illegittima della controparte, con perdita del « core business » che aveva innescato l’involuzione societaria, senza che la successiva revoca della messa in liquidazione, nel 2012, potesse essere in alcun modo correlata a tali fatti, il tutto tenendo conto che le verifiche peritali officiose, trattandosi di consulenza contabile, avrebbero dovuto estendersi ai documenti non prodotti
attinenti ai fatti principali, e senza che la mancata contestazione in fase peritale ostasse ad alcunché’.
Infine, con il quarto motivo si prospettava ‘la caducazione della regolazione delle spese in ragione dell’invocata cassazione della decisione di merito impugnata’.
Questa Corte, scrutinando unitariamente i primi tre motivi di ricorso, rigettava lo stesso (dichiarando assorbito il quarto sulle spese), esito al quale perveniva -si assume nel presente atto di impugnazione -avendo ‘confermato la tesi del Giudice di sec ondo grado, secondo cui le voci di danno non dedotte con la prima memoria consentita ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., non potessero essere prese in considerazione ai fini della liquidazione del danno domandato perché non tempestivamente addotte e, dunque, tra queste quelle precisamente innanzi ricordate tra cui la perdita dell’avviamento commerciale e la perdita delle chance’.
Avverso l’ordinanza di questa Corte ha proposto ricorso per revocazione CM Irpinia, sulla base -come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia come l’ordinanza di questa Corte ‘si fondi sull’errore di fatto di ritenere che la domanda risarcitoria afferente alla specifica doglianza di perdita di chance sia stata proposta solo con la seconda memoria (istruttoria)’, ovvero quella ‘di cui al sesto comma dell’art. 183 cod. proc. civ.’, nel mentre ‘la medesima «domanda» trovavasi proposta sin dall’atto introduttivo di lite in primo grado, con specifica deduzione’.
3.2. Il secondo motivo denuncia come l’ordinanza di questa Corte ‘si fondi sull’errore di fatto di ritenere che la domanda risarcitoria afferente alla specifica doglianza della perdita di
avviamento commerciale sia stata proposta solo con la seconda memoria (istruttoria)’, ovvero quella ‘di cui al sesto comma dell’art. 183 cod. proc. civ.’, nel mentre ‘la medesima «domanda» trovavasi proposta sin dall’atto introduttivo di lite in primo grado, con specifica deduzione’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, con condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ .
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in ciascuno dei due motivi in cui si articola.
8.1. L ‘assunto di fondo del presente ricorso per revocazione consiste nell’addebitare a questa Corte di aver ‘confermato la tesi del Giudice di secondo grado, secondo cui le voci di danno non dedotte con la prima memoria consentita ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., non potessero essere prese in considerazione ai fini della liquidazione del danno domandato perché non tempestivamente addotte e, dunque, tra queste quelle
precisamente innanzi ricordate tra cui la perdita dell’avviamento commerciale e la perdita delle chance’.
Senonché, ciò equivale a ipotizzare -come ha esattamente rilevato la controricorrente -che il (supposto) ‘errore revocatorio’ invest a un fatto che ha già formato oggetto di discussione tra le parti, in sede appunto di appello, e attiene, oltretutto, all’interpretazione di un atto processuale, visto che CM Irpinia assume che la richiesta di liquidazione del danno da perdita di avviamento e da lucro cessante fosse già presente nella citazione di primo grado.
Ora, in disparte il rilievo che per il danno da perdita dell’avviamento commerciale la sentenza d’appello come riferisce la stessa CM Irpinia nel suo ricorso per revocazione, nel ricostruire lo svolgimento del giudizio -attesta, addirittura, la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., l’assunto dell’odierna ricorrente implica un (rinnovato) sindacato sull’interpretazione del contenuto dell’atto di citazione.
Infatti, si sostiene nel presente ricorso per revocazione che le analisi formulate nella perizia estimativa, allegata alla citazione, avrebbero comprovato ‘che il fatturato della RAGIONE_SOCIALE segna un progressivo incremento fino al 1996 quando, in ragione dell’intervenuta revoca della concessionaria, i suoi dati economici subiscono un radicale e irreversibile arresto (cfr. pag. 17-19 della Perizia) e che, per converso, il fatturato delle concessionarie Volvo italiane analizzate continua a segnare un costante e progressivo incremento di fatturato negli anni successivi al 1996 (cfr. pag. 15 della Perizia)’, sicché tanto basterebbe per ritenere che tra i danni, dei quali venne chiesto il ristoro, fosse ricompresa ‘la doglianza di perdita dell’avviamento commerciale’.
Parimenti, che nella citazione si facesse riferimento pure alla perdita di chance, sarebbe comprovato -secondo la ricorrente -da quel suo passaggio in cui si afferma che, ‘a partire dall’anno
1996 e per gli anni successivi, i fatturati medi dei concessionari RAGIONE_SOCIALE sono andati progressivamente incrementandosi in ragione dell’uscita di nuovi modelli che hanno trovato particolare gradimento presso la clientela (ad esempio il modello Volvo V40)’.
Da quanto precede, dunque, emerge non solo che -come già detto -la questione del preteso difetto di ‘novità’ delle richieste risarcitorie, relative alla perdita dell’avviamento e alla perdita di ‘chance’ ( per essere le stesse ‘enucleabili’ dall’atto di citazione ), venne già discussa nel corso del giudizio di merito, ma pure che tale questione implica, a dispetto del carattere ‘evidente’ ed ‘obiettivo’ che deve connotare l’errore revocatorio, un’interpretazione dell’atto di citazione, e non già la presa d’ atto del suo contenuto.
Senonché questa Corte, ancora di recente e nella sua massima sede nomofilattica, ha sottolineato che in tema di revocazione delle sentenze di cassazione ‘l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4), cod. proc. civ.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno d i discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte’, in particolare escludendo l’errore percettivo in caso di ‘omesso esame dei motivi articolati nel ricorso’ (così Cass. Sez. Un., ord. 19 luglio 2024, n. 20013, Rv. 671759-01).
Di qui, dunque, l’inammissibilità di entrambi i motivi del presente ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Sussistono, inoltre, le condizioni per applicare l’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., e dunque per la condanna della ricorrente a pagare, alla controricorrente, una somma che si reputa equo fissare in € 2.000,00.
Deve, invero, ribadirsi come lo scopo di tale norma sia quello di sanzionare una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di ‘abuso del processo’ (cfr., ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. Un., ord. 16 settembre 2021, n. 25041, Rv. 662248-02; Cass. Sez. 3, ord. 4 agosto 2021, n. 22208, Rv. 662202-01; Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9912, Rv. 648130-02; Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2018, n. 7901, Rv. 648311-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2017, n. 27623, Rv. 646080-01).
Tale ipotesi, in particolare, è stata ravvisata, quanto al giudizio di legittimità, in casi o di vera e propria ‘giuridica insostenibilità’ del ricorso (Cass. Sez. 3, sent. 14 ottobre 2016, n. 20732, Rv. 64292501), ‘non essendo sufficiente la mera infonda tezza, anche manifesta, delle tesi prospettate’ con lo stesso (così, Cass. Sez. Un., sent. n. 9912 del 2018, cit .), ovvero in presenza di altre condotte processuali al pari indicative dello ‘sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali’, e suscettibili, come tali, di determinare ‘un ingiustificato aumento del contenzioso’, così ostacolando ‘la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione’ (Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10327, Rv. 648432-01). Rilevano, in tale prospettiva, ‘la proposizione di un ricorso per cassazione basato
su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza’, ‘oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione de l vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ove sia applicabile, « ratione temporis », l’art. 348 -ter, comma 5, cod. proc. civ., che ne esclude l’invocabilità’ (Cass. Sez. 3, ord. n. 10327 del 2018, cit .).
Nella specie, l’abuso dello strumento impugnatorio è da ravvisare nella proposizione del ricorso ‘ prima facie ‘ inammissibile, in aperto contrasto con l’art. 391 -bis cod. proc. civ. e nell’interpretazione che dello stesso ha dato questa Corte, persino della sua massima sede nomofilattica, tanto da costituire ‘diritto vivente’.
Ai sensi del comma 4 dell’art. 96 cod. proc. civ. va anche disposta, a carico della ricorrente, la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, fissata equitativamente in € 1.000,00.
11. A carico della ricorrente, infine, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando RAGIONE_SOCIALE in liquidazione a rifondere, alla società RAGIONE_SOCIALE , le spese del presente giudizio, liquidate in € 6.500,00, più
€ 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., condanna, altresì, RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di €. 2.000,00 in favore di Volvo RAGIONE_SOCIALE S.p.a., nonché di una ulteriore somma di €. 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della