Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15638 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15638 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22984/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso l ‘ordinanza della Corte di cassazione n. 9631/2020, pubblicata in data 26 maggio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17
aprile 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME proponeva opposizione avverso l’atto di precetto notificatole, sulla base di decreto ingiuntivo, dal RAGIONE_SOCIALE, deducendo di non aver mai ricevuto la notifica del decreto ingiuntivo, che era stata eseguita in luogo diverso da quello della sua residenza, e contestualmente proponeva -a seguito della costituzione della RAGIONE_SOCIALE fallimentare – opposizione tardiva ex art. 650 cod. proc. civ.
Il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 71/14, rigettava l’opposizione, per essere stato il decreto ingiuntivo notificato mediante consegna a soggetto qualificatosi come familiare convivente; riteneva, invece, inammissibile l’opposizione ex art. 650 cod. proc. civ.
Interposto gravame avverso la sentenza di primo grado, la Corte d’appello di Catanzaro lo respingeva, ritenendo perfezionata la notifica ed insussistenti i presupposti per l’opposizione tardiva ex art. 650 cod. proc. civ.
La sentenza d’appello è stata impugnata dalla soccombente con ricorso per cassazione e questa Corte, con ordinanza n. 9631/2020, lo ha dichiarato inammissibile.
In sintesi, premettendo che la Corte d’appello aveva rilevato che il decreto ingiuntivo era stato notificato in INDIRIZZO INDIRIZZO, a persona qualificatasi come familiare convivente, che la ricorrente aveva effettivamente risieduto in Mandatoriccio, alla INDIRIZZO, seppure al numero INDIRIZZO e che nella stessa INDIRIZZO risiedevano altre due omonime, ma nessuna di queste al numero INDIRIZZO, questa Corte ha ritenuto che incombesse su ll’opponente, al fine di superare la presunzione derivante
dall’essersi dichiarata la persona ricevente il plico convivente con la destinataria, l’onere di provare di non avere ricevuto l’atto; in difetto di tale prova, che non poteva essere offerta mediante la produzione di risultanze anagrafiche, ha considerato validamente eseguita la notifica ed inammissibile l’opposizione tardiva ex art. 650 cod. proc. civ.
NOME COGNOME propone ricorso per la revocazione, ex art. 391bis cod. proc. civ., della suddetta ordinanza, con un unico motivo.
RAGIONE_SOCIALE, pur ritualmente intimata, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Il Collegio si è riservato il deposito nel termine di sessanta giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo la ricorrente denunzia ‹‹Violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c.››, per essere la sentenza ‹‹l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa ›› .
Sostiene che l’errore di fatto in cui la Corte sarebbe incorsa consisterebbe nell’avere ritenuto non offerti elementi nuovi per modificare la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la notifica eseguita a familiare convivente impone alla parte che abbia lamentato di non averla ricevuta di fornire la prova contraria e che, in ogni caso, incombeva sulla RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare l’ identità della ingiunta e quella del consegnatario (che aveva apposto una sottoscrizione illeggibile), oltre che la convivenza e familiarità tra consegnatario e destinatario del decreto ingiuntivo.
Lamenta pure che la Corte sarebbe incorsa in errore di fatto per non avere considerato prova liberatoria la sola certificazione anagrafica e per avere ritenuto che la circostanza che le altre due
omonime non abitassero all’indirizzo presso il quale era stata ricevuta la notifica facesse presumere che la destinataria fosse la ricorrente.
Soggiunge che è pure errata la supposizione di fatto che la mera indicazione di ‹‹ familiare convivente ›› potesse essere sufficiente, in assenza della specifica qualità dello stesso, a far presumere la ritualità della notifica.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. Con il motivo sopra illustrato, in buona sostanza, si sollecita una censura al processo valutativo decisionale espresso dalla ordinanza di questa Corte e non al processo percettivo di uno o più fatti e tanto colloca la censura del tutto al di fuori della logica del rimedio revocatorio.
E ciò alla stregua di alcuni punti fermi, nell’elaborazione, da parte di questa Corte (tra molte, Cass., sez. U, 16/11/2016, n. 23306), dell’istituto della revocazione.
Va tenuta presente, in via preliminare (tra le tante, Cass., sez. 6 3, 30/07/2014, n. 17402; Cass., sez. 6- 3, 29/04/2016, n. 8472), la differenza tra giudizio di fatto e giudizio di diritto, sinteticamente precisando che: per fatto e giudizio di fatto deve intendersi tutto ciò che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o della falsità di dati empirici (fatti o atti) rilevanti per il diritto, fatta eccezione per le modalità di applicazione delle eventuali norme relative ad ammissibilità ed assunzione di prove, ovvero a prove legali; per diritto e giudizio di diritto si deve avere riguardo a tutto quanto attiene all’applicazione di norme e cioè all’individuazione o scelta della norma applicabile al caso concreto, all’interpretazione di tale norma, sia con riguardo alla fattispecie astratta, sia con riguardo al comando, alla sussunzione dei fatti, come ricostruiti, entro la fattispecie astratta ed all’individuazione o deduzione delle conseguenze da quella norma previste, con applicazione al caso di
specie.
Su questa premessa, l’errore revocatorio consiste allora in una falsa percezione della realtà, in un errore, cioè, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell’ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata; l’errore deve, quindi, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini o procedimenti ermeneutici (Cass., sez. U. 10/08/2000, n. 561; Cass. 01/03/2005, n. 4295; Cass. 18/09/2008, n. 23856; Cass., sez. U, 07/03/2016, n. 4413).
Pertanto, l’errore revocatorio non può articolarsi nella deduzione di un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, dovendo, invece, l’errore di percezione riguardare un fatto, vale a dire un evento esterno al processo e che deve essere rappresentato e ricostruito all’interno di questo come elemento di una fattispecie da sussumere nel successivo giudizio di diritto; sicché il contrasto tra verità e supposizione, rilevante ai fini dell’art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., è quello tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice; e, per di più, deve trattarsi di un contrasto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l’una e l’altra.
Determinante è quindi una radicale e insanabile contrapposizione fra due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, costituite l’una da quella risultante dalla sentenza del giudice e l’altra da quella
che si ricava univocamente dagli atti e dai documenti di causa; pertanto, deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale o meramente percettiva, riferita a fatti incontestabilmente ed univocamente percepibili nella loro ontologica esistenza e quindi insuscettibili di diverso apprezzamento, sicché non può mai rilevare, a detti fini, un errore che implichi un benché minimo margine di apprezzamento o valutazione o giudizio per la sussunzione del fatto; inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito da un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi, sicché non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass., sez. 1, 15/12/2011, n. 27094).
2.2. Tanto premesso, i pretesi errori, che l’odierna ricorrente individua, risultano enunciati non già secondo la struttura del paradigma del citato n. 4 dell’art. 395 cod. proc. civ., cioè sotto la specie percettiva, bensì come frutto di errate valutazioni imputabili alla ordinanza impugnata.
Il motivo di revocazione in esame non denuncia, invero, l’esistenza di un’erronea percezione o supposizione che sarebbe stata compiuta dalla Corte e che si sarebbe manifestata nella motivazione, ma la circostanza che la notifica del decreto ingiuntivo, che l’ordinanza qui impugnata ha ritenuto valida sulla base di un orientamento giurisprudenziale univoco, non si sarebbe, invece, perfezionata, sia perché l’orientamento giurisprudenziale richiamato non sarebbe pertinente, sia per la presunta mancata individuazione, nel caso specifico, del soggetto destinatario della notifica e di quello che l’ha ricevuta qualificandosi come ‹‹ familiare convivente ›› .
Ciò che si denuncia è la mera non ritualità della notificazione del
decreto ingiuntivo (tale da rifluire in errore di diritto), ma così facendo la ricorrente ribadisce il fatto processuale della mancata notifica, senza denunciare una specifica supposizione che sia stata espressione di un errore di percezione degli atti processuali.
La parte ricorrente, in definitiva, trascura di considerare che fatto costitutivo della revocazione è l’eventuale attività percettiva e di supposizione, manifestatasi nella motivazione, e non l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cass., sez. U, n. 15227/2009; Cass., n. 28019/2009; Cass., n. 22557/2012), e sollecita una rivisitazione dell’univoco orientamento giurisprudenziale, posto a fondamento della ritenuta ritualità della notifica del decreto ingiuntivo, di cui l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione.
3. Per le ragioni esposte, il ricorso è inammissibile.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del presente giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva della parte intimata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione