Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34427 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34427 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 21036/2023
promosso da
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. prof. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME (in proprio e in qualità di erede di NOME COGNOME), NOME COGNOME (in qualità di erede del predetto NOME COGNOME) e NOME COGNOME (sempre in qualità di erede di NOME COGNOME), tutti rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME ) e NOME COGNOME ), elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC dei difensori, in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrenti –
avverso l’ordinanza n. 24839/2023 di questa Corte di cassazione, pubblicata il 18/08/2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (di seguito, MPS), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (quest’ultimo dante causa di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) citavano in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini la menzionata banca, lamentando di essere stati indotti, in maniera non corretta e diligente, a sottoscrivere un contratto di gestione patrimoniale denominato ‘Linea di gestione Condor 22’, con presunta violazione di numerose norme poste dalla disciplina finanziaria e dal codice civile.
Su tali presupposti, gli stessi chiedevano in via principale la declaratoria di inefficacia ovvero la nullità dei rispettivi contratti, e comunque la condanna al risarcimento del danno, di rimborso e altro.
Nel costituirsi, la MPS chiedeva il rigetto delle domande avversarie.
Con sentenza n. 1369/2012, il Tribunale di Rimini dichiarava la nullità dei contratti di gestione sottoscritti dai clienti, per asserita mancanza della clausola di ripensamento di cui all’art. 30, comma 6, TUF.
La MPS impugnava detta sentenza, censurando con i primi tre motivi, l’accertata violazione dell’art. 30 TUF e la conseguente dichiarazione di nullità del contratto di gestione patrimoniale, nonché, con il quarto, la disposta regolamentazione delle spese, per non aver tenuto conto di una sostanziale soccombenza reciproca in ragione del rigetto delle avanzate domande risarcitorie.
Nel costituirsi, gli appellati, si opponevano all’accoglimento dell’appello e riproponevano tutte le domande e difese svolte in primo grado, e dunque:
i) la nullità dei contratti per violazione dell’art. 24 TUF per difetto di forma scritta; ii) l’inadempimento da parte della banca degli obblighi informativi di cui all’art. 28 Reg. Consob; iii) la violazione degli obblighi particolari incombenti sull’intermediario in relazione ai contratti di gestione individuale di portafogli; iv) la violazione dell’obbligo assunto dalla banca di utilizzare i derivati per fini di copertura del rischio di andamento negativo dei mercati; v) il mancato rispetto del benchmark prefissato dalla banca in ciascuno dei contratti in questione; vi) la riscossione da parte della banca di commissioni non pertinenti con la linea di gestione prescelta, il carattere abusivo delle clausole di gestione RAGIONE_SOCIALE; vii) la responsabilità accertata dalla Consob degli esponenti aziendali della MPS; viii) l’eccessiva movimentazione della gestione RAGIONE_SOCIALE, con nullità o risoluzione per inadempimento dei contratti, o comunque inadempimento della banca e conseguente condanna alle restituzioni o al risarcimento dei danni.
Con sentenza n. 3015/2018, la Corte d ‘appello di Bologna accoglieva l’impugnazione e, in riforma della sentenza del Tribunale, respingeva tutte le domande in origine presentate dagli appellati, condannando quest’ultimi alle restituzioni in favore della MPS delle somme da essi ricevute in esecuzione della impugnata sentenza di primo grado, compensando tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
In particolare, la Corte di appello riteneva che: a) non vi era stata violazione dell’art. 30, commi 6 e 7, TUF, ritenuta invece esistente dal giudice di primo grado; b) la domanda di accertamento della nullità dei contratti di gestione – perché recanti esclusivamente la sottoscrizione dell’investitore, e non quella dell’intermediario – era infondata; c) infondata era anche l’ulteriore censura relativa al dedotto inadempimento dell’intermediario finanziario agli obblighi di consegna del documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisizione delle informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in
materia di investimenti previsti dall’art. 21 d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa regolamentare secondaria, trattandosi di obblighi che sorgono nella fase che precede la stipulazione del contratto in relazione alla quale non risultava allegato né provato il relativo specifico danno; d) anche le ulteriori domande degli appellati, incentrate sull’addebito alla banca di aver unilateralmente modificato la linea di gestione prescelta, e dunque adottato, senza il loro consenso e in violazione dell’art. 7 delle condizioni generali di contratto, una strategia di investimento non caratterizzata, come pattuito, dalla prevalenza di strumenti finanziari derivati e dagli ambiziosi obiettivi di rendimento della linea, erano in realtà infondate, posto che: i) la causa in appello non era stata istruita né erano state reiterate istanze istruttorie dalle parti che si erano infatti limitate a produrre c.t.u. ed i soli appellati le prove testimoniali espletate in giudizi analoghi, aventi ad oggetto il medesimo tipo di gestione patrimoniale, denominata RAGIONE_SOCIALE; ii) la gestione individuale di portafogli d ‘ investimento è il contratto con il quale il cliente affida alla banca parte del proprio patrimonio affinché la stessa provveda, con la diligenza e la professionalità richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c., a gestirla in maniera autonoma ma nel rispetto delle indicazioni del conferente; iii) i clienti appellati erano tuttavia venuti meno allo specifico onere di allegare e provare i singoli inadempimenti della banca alle indicazioni fornite, non avendo spiegato in cosa fosse consistita la difformità della strategia di investimento posta in essere rispetto a quella concordata ed in quale misura l’intermediario finanziario si fosse discostato dal benchmark, ossia dal parametro oggettivo di riferimento al quale confrontare il rendimento della gestione, contrattualmente fissato; iv) nel caso di specie, tutte le posizioni dei diversi investitori risultavano infatti essere state trattate, nel corso del giudizio, genericamente e indistintamente, senza alcun riferimento all’effettivo svolgimento dei rapporti da ciascuno di essi in concreto intrattenuti, ciò comportando non soltanto l’impossibilità di valutare la
gravità dell’affermato inadempimento, ma, prima ancora, di accertare se tale inadempimento si fosse effettivamente verificato e se esso riguardasse tutte le gestioni ovvero soltanto alcune di esse, v) non erano pertanto accoglibili né la domanda di risoluzione contrattuale, né quella di risarcimento dei danni da inadempimento, dovendosi sottolineare, con riguardo a quest’ultima, che non risultava in ogni caso fornita la prova dell’esistenza di un nesso causale tra il comportamento contestato e le perdite subite da ciascuno degli investitori, non potendosi ritenere in via presuntiva che il maggior ricorso a contratti derivati, e dunque, più rischiosi, avrebbe determinato perdite inferiori rispetto a quelle registrate; vi) non vi era neanche la prova del danno da asserita violazione dell’art. 28 Reg. Consob per non aver l’intermediario informato prontamente e per iscritto il cliente delle perdite, essendo anche tale domanda stata formulata in modo del tutto generico, senza alcuna indicazione, con riferimento a ciascuno contratto, del momento in cui le perdite si sarebbero verificate e del nesso causale con il presunto ed anch’esso non specificato danno; vii) inaccoglibili per assoluta genericità risultavano le ulteriori domande relative alla riscossione da parte della banca di commissioni – anch’esse non indicate superiori a quelle previste e alla eccessiva movimentazione della gestione RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza della Corte d’appello veniva impugnata dagli investitori con ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.
Il procedimento veniva iscritto al n. 18412/2019 R.G.
La banca si difendeva con controricorso e, depositate memorie difensive da tutte le parti, questa Corte, all ‘esito dell’udienza camerale del 07/07/2023, pronunciava l’ordinanza n. 24839/2023, ora impugnata per revocazione , con la quale venivano accolti il quarto e l’ottavo motivo di ricorso e, respinti i primi tre motivi, assorbiti gli altri, veniva cassata con rinvio la sentenza della Corte d’appello.
I motivi ricorso accolti venivano come di seguito sintetizzati dai ricorrenti:
«4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cpc ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (da pag. 15 a pag. 20).
La Corte ha omesso di considerare un fatto pacifico tra le parti ovvero che la Banca abbia deciso, successivamente alla stipula dei contratti di gestione individuale di portafogli e della linea di gestione denominata “RAGIONE_SOCIALE“, di gestire il patrimonio conferito dai Ricorrenti, senza informarli, in difformità rispetto alla linea di gestione prescelta e formalizzata nei termini previsti dal TUF e dal Reg. Consob 11522/1998» (p. 3 del ricorso per cassazione nel procedimento n. 18412/2019 R.G.).
«8) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (da pag. 26 a pag. 31).
La Corte ha omesso di valutare la prova decisiva per il giudizio ovvero l’intervenuta modifica unilaterale, assunta dalla Banca, della linea di gestione scelta contrattualmente dai Ricorrenti all’insaputa degli stessi e, comunque, il fatto stesso, neppure contestato, che è stato oggetto di discussione tra le parti limitatamente ai soli conseguenti effetti giuridici e sull’accoglimento o meno della domanda (risoluzione del contratto per grave inadempimento o responsabilità in capo all’Intermediario).» (p. 4 del ricorso per cassazione nel procedimento n. 18412/2019 R.G.).
Questa Corte, su tali motivi, statuiva come segue:
«4.3 Rileva il Collegio come i ricorrenti abbiano riportato, con deduzione specifica ed autosufficiente, gli atti del giudizio di merito ove la banca non aveva in alcun contestato ed anzi aveva ammesso la Circostanza posta dai ricorrente alla base dell’allegato inadempimento contrattuale agli obblighi convenzionalmente assunti dalla banca per la gestione del portafoglio titoli, e cioè di essersi la banca discostata dalle indicazioni dei clienti, con la
conseguenza che il giudizio della Corte di appello risulta inevitabilmente viziato dalla mancata considerazione di una circostanza decisiva ed addirittura pacifica tra le parti.
4.4 Quanto al sopra riferito profilo di decisività, non può essere dimenticato che, nella gestione individuale dei portafogli titoli, gli obblighi informativi e di condotta sono più stringenti. Ed invero, è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, ordinanza n. 23568 del 27 /10/2020), “nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, il “benchmark”, cioè la linea d’investimento prescelta dal cliente, di cui all’art. 42 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, importa la costituzione di obblighi di condotta da parte del gestore, rappresentando un parametro di riferimento coerente con i rischi della gestione, al quale devono essere commisurati i risultati di questa; pertanto il “benchmark” prescelto, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario, derivandone che, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dall’investitore, l’intermediario risponde delle perdite che il cliente abbia subìto in conseguenza”.»
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per revocazione la MPS, formulando un solo motivo di censura.
Gli intimati si sono difesi con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e unico motivo di ricorso è richiesta la revocazione dell’ordinanza per errore di fatto risultante dagli atti della causa , ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere questa Corte ritenuto che la Corte d’appello non avesse considerato una circostanza decisiva, consistente nella dedotta unilaterale variazione della linea di gestione,
operata dalla Banca che, invece, era stata specificamente considerata dalla Corte d’appello , come pure emergeva dallo svolgimento del processo, riportato alle pagine 5, 6 e 7 d ell’ordinanza in questa sede impugnata, che riassumeva le ragioni poste a fondamento della decisione della Corte felsinea di respingere tale addebito.
Occorre prima di tutto rilevare che al presente procedimento si applica il nuovo testo dell’art. 391 bis c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022 (come modificato dalla l. n. 197 del 2022), tenuto conto che il ricorso risulta notificato il 18/11/2023.
Occorre premettere che l ‘ orientamento ora prevalente di questa Corte esclude l’inammissibilità indiscriminata di tutte le impugnazioni per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. avverso le statuizioni del giudice di legittimità che dispongano la cassazione con rinvio della decisione impugnata (come pure sostenuto da Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 20393 del 12/10/2015; v. anche Cass., Sez. L, Sentenza n. 16184 del 25/07/2011).
Questo Collegio condivide tale orientamento, che riprende un’opinione maturata in passato (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15660 del 20/10/2003), secondo la quale il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio denunciato abbia portato a non esaminare eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio, ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia considerato come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione (Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 12046 del 17/05/2018; Cass.,
Sez. 5, Ordinanza n. 23871 del 25/09/2019; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7758 del 17/03/2023).
Come spiegato da questa Corte, tale soluzione interpretativa è in linea con l ‘ art. 111 Cost. e con il principio della ragionevole durata del processo, giacché consente che non si discuta superfluamente di revocazione se la materia su cui deve cadere l’accertamento del giudice di rinvio include (espressamente o implicitamente) la materia che si pretende essere incisa dall’errore di fatto del giudice di legittimità. Per contro qualora tale apertura complessiva non vi sia, la revocazione della sentenza di cassazione di annullamento con rinvio risponde alla esigenza di verificare da parte dello stesso giudice che si è pronunciato se l’errore di fatto vi sia stato (Cass., Sez. 6, Ordinanza n. 12046 del 17/05/2018).
La soluzione tiene conto del rapporto che viene ad instaurarsi tra il giudizio di legittimità che ha portato alla cassazione con rinvio e il giudizio di rinvio, in modo da selezionare le ipotesi in cui il giudice del rinvio può comunque valutare la sussistenza dell’errore di fatto dedotto oppure no , ammettendo la revocazione ex art. 391 bis c.c. solo in quest’ultima ipotesi .
3.1. Nel caso di specie, le censure accolte dalla Corte di cassazione nell’ordinanza in questa sede impugnata attengono all’omess o esame di un fatto processuale, riconducibile alle allegazioni difensive della banca che, secondo gli investitori, nel corso del processo, non aveva negato di avere operato una modifica unilaterale della linea di gestione prescelta dagli investitori.
I ricorrenti hanno, in particolare, dedotto, con il quarto motivo di ricorso, la violazione dell’art. 115 c.p.c. e, con l’ottavo motivo di ricorso, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
In base a quanto appena illustrato, dunque, la richiesta di revocazione è da ritenersi ammissibile con riferimento alla statuizione di accoglimento che attiene al dedotto vizio in procedendo .
Il ricorso è, comunque, inammissibile per altre ragioni.
4.1. Come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4), c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione, ma solo l’errore di fatto (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 8984 del 11/04/2018 e Cass., Sez. U, Sentenza n. 30994 del 27/12/2017).
Tale tipologia di errore, rilevante ai fini della revocazione della decisione, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla decisione impugnata e l’altra dagli atti processuali. Detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (così Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 16439 del 10/06/2021).
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla statuizione impugnata per revocazione e l’altra dagli atti o documenti processuali, sempreché la realtà desumibile da tale statuizione sia frutto di supposizione e non di giudizio formatosi sulla base della valutazione di situazioni controverse tra le parti (così Cass., Sez. 5, Sentenza n. 442 dell’11/01/2018).
È infatti evidente che, ove l’errata rappresentazione del fatto abbia costituto un punto controverso della causa, su cui le parti abbiano discusso,
che il giudice abbia valutato ai fini della decisione, non si tratta di errore revocatorio ma di un eventuale errore di giudizio (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 15227 del 30/06/2009).
Se, poi, l’errore non attiene alla percezione di un fatto ma alla valutazione giuridica dello stesso, l’errore dipende dalla violazione o dalla falsa applicazione della norma che regola la fattispecie.
L’errore che giustifica l’impugnazione per revocazione è, dunque, un errore determinato dall’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, poiché consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale, che porti ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso o l’inesistenza di un fatto positivamente accertato, senza che quel fatto abbia costituito un punto controverso tra le parti su cui il giudice si è pronunciato (così Cass., Sez. L, Sentenza n. 24395 del 03/11/2020).
4.2. Nella specie, parte ricorrente ha dedotto che la Corte di cassazione, nell’ordinanza in questa sede impugnata, è incorsa in una svista, perché ha ritenuto che la Corte d’appello non ha esaminato la questione relativa alla contestata modifica unilaterale della linea di gestione prescelta, mentre, invece, proprio dalla lettura della menzionata ordinanza risulta il contrario, avendo la Corte di cassazione riportato, nello svolgimento del processo (pagine 5, 6 e 7 dell’ordinanza impugnata) , le ragioni che il Giudice del gravame aveva esposto per giustificare il rigetto delle domande fondate su tale addebito.
Proprio dalla lettura dell’ordinanza in questa sede impugnata, tuttav ia, si evince chiaramente che questa Corte di cassazione , nell’accogliere il quarto e l’ottavo motivo di ricorso, non ha affermato che il Giudice di appello non ha esaminato la questione della modifica unilaterale della linea di gestione, ma ha affermato che la Corte d’appello non ha tenuto conto del
fatto che la banca, nel corso del processo, non avesse contestato la circostanza, ritenuta decisiva, consistente nella unilaterale modifica della linea di gestione prescelta.
Si legge, infatti a pagina 11 dell’ordinanza impugnata quanto segue: «4.3 Rileva il Collegio come i ricorrenti abbiano riportato, con deduzione specifica ed autosufficiente, gli atti del giudizio di merito ove la banca non aveva in alcun contestato ed anzi aveva ammesso la Circostanza posta dai ricorrente alla base dell’allegato inadempimento contrattuale agli obblighi convenzionalmente assunti dalla banca per la gestione del portafoglio titoli, e cioè di essersi la banca discostata dalle indicazioni dei clienti, con la conseguenza che il giudizio della Corte di appello risulta inevitabilmente viziato dalla mancata considerazione di una circostanza decisiva ed addirittura pacifica tra le parti.»
In altre parole, secondo la Corte di cassazione, il Giudice d’appello ha respinto le domande fondate su ll’addebito d ella condotta inadempiente sopra descritta, senza tenere conto che la stessa banca non aveva contestato di averla tenuta.
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, in sintesi, questa Corte non ha ritenuto che la Corte di appello non abbia esaminato la questione relativa alla prospettata modifica unilaterale della linea di gestione patrimoniale da parte della banca, ma ha ritenuto che la Corte d’appello, nel valutare tale questione, non abbia tenuto conto del fatto che la MPS non aveva contestato che si era discostata dalle indicazioni di investimento dei clienti.
4.3. Né la banca ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di legittimità, aveva negato di avere tenuto la menzionata condotta, richiamando e riportando il tenore di atti in grado di rappresentare l’errore in cui aveva allegato essere incorso il Giudice di legittimità.
4.4. Inoltre, la dedotta svista materiale, cui nella prospettazione della ricorrente sarebbe incorsa questa Corte, attiene a circostanze che hanno costituito la materia del contendere, essendo la menzionata condotta posta a fondamento della richiesta di risoluzione e di risarcimento del danno formulata dagli investitori, sicché non può ritenersi che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il Giudice di appello si sia pronunciato.
Il ricorso deve essere, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dai controricorrenti , che liquida in € 5 .000,00 per compenso, oltre € 200 ,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, i n applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile