Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25118 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25118 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19287/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliate ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, come da procura speciale in atti.
-ricorrenti- contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp. p.t. domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
Avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 30057/2020 depositata il 31/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per revocazione ai sensi degli articoli 391 bis e 395, n. 4, c.p.c., affidato a un motivo rescindente avverso l’ordinanza n.30057/2020 emessa da questa Corte, pubblicata il 31 dicembre 2020 e non notificata, con la quale -per quanto di interesse – è stato deciso il ricorso proposto dalle odierne ricorrenti per conseguire la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna n.2489/2018, pubblicata l’8 ottobre 2018, nei confronti del Comune di Parma, in persona del legale rapp. p.t., con cui – in sede di cassazione con rinvio a seguito della precedente pronuncia di questa Corte n.15269/2014 -il Comune di Parma era stato condannato al pagamento in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME della somma di euro 298.443,40=, dovuta a titolo di risarcimento del danno per occupazione illegittima, oltre accessori di legge come specificato in sentenza.
Il Comune di Parma ha replicato con controricorso. Le parti costituite hanno depositato anche memorie. É stata disposta la trattazione camerale.
CONSIDERATO CHE:
2.- Le ricorrenti svolgono un unico motivo revocatorio ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 numero 4) c.p.c. per errore di fatto e deducono che l’ordinanza sarebbe effetto di un errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti della causa, per non avere considerato la natura espropriativa del vincolo così come positivamente accertato dal consulente tecnico di ufficio nel corso
del giudizio di rinvio, ritenendolo invece conformativo, al fine della quantificazione del risarcimento richiesto.
Sostengono che questa Corte avrebbe ignorato un elemento di fatto assolutamente certo e decisivo al fine dell’accertamento e della ricostruzione della verità sostanziale e, quindi, dell’accoglimento delle doglianze delle ricorrenti , e cioè che il vincolo apposto sulle aree di proprietà COGNOME (aree poi espropriate) era, a tutti gli effetti, espropriativo e non conformativo e che questa circostanza di fatto -che sarebbe emersa dalla Consulenza Tecnica d’Ufficio AVV_NOTAIO 08/02/2018, pagg. 12 e 13 -non sarebbe stata valutata.
3.1.- Il motivo è infondato.
3.2. -Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (cfr. Cass., Sez. VI, 10/06/2021, n. 16439; Cass., Sez. III, 14/02/2006, n. 3190). In riferimento alle sentenze di cassazione, esso deve inoltre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, cioè quelli che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere
esclusivamente sulla sentenza di cassazione (cfr. Cass., Sez. I, 22/10/2018, n. 26643; Cass., Sez. V, 5/03/2015, n. 4456; Cass., Sez. lav., 18/02/2014, n. 3820).
Inoltre, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Cassazione della quale si censuri la valutazione del motivo di ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. n. 3760/2018)
Ancora, non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla irrilevanza di una produzione documentale, vertendosi, in tali casi, su pretesi errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione (Cass. n. 22868/2012).
Infine, è esperibile, ai sensi degli artt. 391 -bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (Cass. n. 31032/2019).
3.3.Tanto premesso, va rilevato che l’assunto delle ricorrenti è infondato ed è smentito dal chiaro tenore dell’ordinanza impugnata, che ha riepilogato il motivo di ricorso allora proposto e ne ha illustrato le ragioni di infondatezza, nei termini che seguono, proprio in relazione alla circostanza di fatto (esito CTU svolta in
grado di appello, in sede di rinvio, circa la natura espropriativa e non conformativa del vincolo apposto al terreno), su cui è svolta l’odierna doglianza, e ciò nei seguenti termini:
« Deducono le ricorrenti che l’istruttoria espletata nel secondo giudizio di rinvio e, in particolare, le risultanze della consulenza espletata dall’ AVV_NOTAIO sono decisive ai fini del corretto inquadramento del vincolo imposto dall’amministrazione comunale sulle aree oggetto di contenzioso. Le ricorrenti danno atto che, con la sentenza n. 15269/2014 di questa Corte, era stato accertato che il vincolo per cui è causa fosse conformativo e non espropriativo e che la causa era stata rinviata alla Corte di Appello di Bologna affinché venisse accertata l’entità del risarcimento dovuto dall’amministrazione comunale. Tuttavia, ad avviso delle ricorrenti, in base a quanto accertato dal CTU il vincolo imposto dal PGR come zona a verde pubblico urbano e comprensoriale era stato ritenuto anche dal Comune di Parma di carattere espropriativo…. 4. Il ricorso principale è infondato. 4.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità (Cass. n. 20887/2018; n. 20981/2015; 17353/2010). 4.2. Nel caso di specie, questa Corte, con la sentenza n. 15269/2014 di annullamento con rinvio, ha affermato che “La destinazione posta
dal Piano regolatore alla zona cui appartengono i terreni occupati è “a verde pubblico urbano e comprensoriale”. Non si tratta dunque di un vincolo a carattere particolare, ma di una destinazione generale e astratta, secondo la logica della ripartizione zonale, che agli effetti dell’incidenza sul diritto di proprietà, ha connotazione conformativa. Su tale inquadramento zonale è intervenuta la destinazione a opere di viabilità, che costituisce, questa sì, vincolo preordinato a esproprio. Ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio e del risarcimento per occupazione appropriativa, deve essere esclusa la qualità edificatoria dell’area che, al momento dell’esproprio, sia destinata a pubblici impianti in base a progetti approvati dall’autorità amministrativa, in virtù delle norme dello strumento urbanistico, che regolino il territorio comunale con previsione generale e astratta, ripartendolo in zone omogenee, con la conseguenza che la destinazione urbanistica di inedificabilità, che la detta zonizzazione comporta, da luogo a vincolo di tipo non ablativo ma conformativo, sicchè dell’incidenza della suddetta destinazione sul valore del bene deve tenersi conto ai fini della valutazione del fondo (Cass. 25.11.2008, n. 28051; 5.9.2013, n. 20457; per la destinazione a verde: Cass. 14.5.2013, n. 11455). Nè può avere rilevanza l’eventuale previsione di una pur limitata volumetria consentita in tale zona, che non costituisce estrinsecazione dello ius aedificandi, ma è funzionale alla realizzazione del fine pubblicistico (Cass. 9.3.2004, n. 4732). Pur in mancanza della prerogativa dell’edificabilità, il danno per la perdita dell’immobile va commisurato al valore di mercato, all’epoca dell’illecito e dell’occupazione, tenendo conto delle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio. In particolare, trattandosi di zona a verde, il valore va rapportato alla domanda di aree idonee ad ospitare attività, anche con il supporto di strutture mobili, nel quadro di iniziative
economiche volte alla valorizzazione e gestione degli spazi liberi del tessuto urbano, con criteri di imprenditorialità”. La “regola” giuridica enunciata, in ordine all’inedificabilità dell’area ed alla natura conformativa del vincolo, è stata, pertanto, correttamente ritenuta dal giudice di rinvio per lo stesso vincolante anche con riferimento agli accertamenti di fatto già compresi nell’ambito di tale enunciazione (area “a verde pubblico urbano e comprensoriale” con destinazione generale e astratta, secondo la logica della ripartizione zonale). Quell’accertamento di fatto non può più essere messo in discussione, pena la violazione del principio dell’intangibilità del giudicato, e al giudice del rinvio la causa era stata rimessa solo per la rideterminazione del danno da occupazione illegittima.»
3.4.- In sintesi, la questione proposta, di carattere giuridico e non fattuale, circa la natura del vincolo apposto nel caso di specie, alla luce dell’esito della CTU svolta in appello in sede di rinvio, non è stata affatto ignorata da questa Corte, ma è stata presa in esame e motivatamente è stata ritenuta infondata perché, per costante giurisprudenza di questa Corte, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logicogiuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità (Cass. n. 20887/2018; n. 20981/2015; 17353/2010).
Nel caso di specie, questa Corte, con la sentenza n. 15269/2014 di annullamento con rinvio, aveva già affermato che nella fattispecie in esame non si discuteva di un vincolo a carattere particolare, ma di una destinazione generale e astratta, secondo la logica della ripartizione zonale, che agli effetti dell’incidenza sul diritto di proprietà, aveva connotazione conformativa.
3.5.- Da ciò si evince che, sul punto, questa Corte si era espressamente pronunciata sia nella prima pronuncia, con cui aveva affermato la natura conformativa del vincolo, formando tale statuizione oggetto di giudicato implicito interno, e aveva cassato con rinvio, sia nella seconda ordinanza, emessa all’esito dell’impugnazione della sentenza di merito resa in sede di rinvio ed oggetto del presente ricorso, e ciò rende palese l’infondatezza della censura revocatoria perché l a natura conformativa del vincolo non poteva essere più messa in discussione, attesa l’intangibilità del giudicato interno.
3.6. -Ma vi è di più. L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli ‘atti interni al giudizio di legittimità’, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. Sez. U. n. 31032/2019). Nel caso concreto viene imputata alla Corte la mancata valutazione di un atto, la c.t.u., che non costituisce atto interno al giudizio di cassazione, e che doveva essere, pertanto, valutato dal giudice di merito, non certo in sede di legittimità. Per cui correttamente questa Corte ha ritenuto legittima la sentenza di rinvio, che non ha tenuto conto della c.t.u. ivi espletata, per l’effetto intangibile del giudicato.
3.7.- Ne consegue il rigetto del motivo proprio della fase rescindente; ciò esclude che si possa procedere alla fase rescissoria
attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, sul medesimo motivo già esaminato dall’ordinanza impugnata.
4.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 7.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge, in favore del controricorrente;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 28 giugno 2024.